La fine del Regno delle Due Sicilie si identifica generalmente con la caduta della Fortezza di Gaeta allorché il re Francesco II di Borbone e sua moglie Maria Sofia di Baviera (sorella minore di Sissi) il 13 febbraio 1861 lasciarono la città a bordo di una nave per raggiungere Terracina e, successivamente in carrozza, Roma, accolti calorosamente dal Pontefice Pio IX, Giovanni Mastai Ferretti, e dal Segretario di Stato, cardinale Giacomo Antonelli. Certamente questo epilogo, considerata l’importanza dei personaggi, è il segno più tangibile della fine del Regno meridionale ma non rappresenta l’ultima resistenza.
La cittadella all’interno della città di Messina ad esempio, si arrese alle truppe piemontesi del generale Enrico Cialdini, in seguito insignito del titolo di Duca di Gaeta, il successivo 13 marzo, quattro giorni prima cioè della proclamazione del Regno d’Italia avvenuta solennemente a Torino.
Ma anche Messina, per quanto storicamente importante, non fu l’ultima: il 20 marzo 1861, al comando del Maggiore del Regio Esercito Borbonico Luigi Ascione, la cittadina abruzzese di Civitella del Tronto (Teramo) si arrese alla truppe italiane guidate dal generale Luigi Mezzacapo.
Ma andiamo con ordine poiché al riguardo le notizie sono spesso contrastanti. Iniziamo con il dire che la presenza del maggiore Ascione, che ufficialmente dichiarerà lo stato d’assedio, appare più di facciata che di azione effettiva: il capitano Giuseppe Giovine, il sergente Angelo Messinelli, il capo partigiano Zopìto Di Bonaventura e il frate Leonardo “Campotosto” Zilli, sembrano infatti i veri trascinatori della resistenza. Informata dell’azione ribelle, la regina Maria Sofia si dichiarerà felice e spronerá i suoi sudditi a non mollare, dichiarando di essere con loro “in anima, cuore e volontà”. Iniziato l’assedio intorno alla metà di novembre 1860 al comando del generale Ferdinando Pinelli, questi nel gennaio 1861 verrà destituito per manifesta incapacità e, soprattutto, per la durezza verso la popolazione indifesa intorno al territorio, sottoposta a gratuite cattiverie senza motivo.
Quando il 15 febbraio il subentrante generale Mezzacapo riceve i nuovi cannoni a tiro rapido, tutto sembra risolto ma, inaspettatamente, la popolazione insorge contro chi vuole alzare bandiera bianca e incita alla resistenza. Mezzacapo, informato delle cadute di Gaeta e Messina e anche venuto a conoscenza che il 17 marzo ci sarà la manifestazione a Torino, cerca di forzare i tempi e sembra riuscirci proprio lo stesso 17 ma gli abitanti decideranno ancora di resistere. Il 20 però tutto crolla: i diversi “capi” sono arrestati e fucilati per alto tradimento, i restanti inviati in tre campi di concentramento in Piemonte dai quali la maggior parte non tornerà più e il ministro della Guerra dell’epoca, senatore Manfredo Fanti, ordinerà la distruzione della Fortezza, sembra d’intesa con il Capo del Governo Camillo Benso di Cavour (che morirà 80 giorni dopo) ma non del Re Vittorio Emanuele II, del quale si dice che, addirittura, avrebbe voluto concedere gli onori militari ai valorosi sconfitti.
Eventi oscuri di brigantaggio intorno a questo episodio non modificano la realtà di quanto comunque avvenne a Civitella del Tronto in quei giorni.
Sergio De Benedetti, “Libero”.