Nel silenzio dei media il sangue dei martiri cristiani, mescolato a quello del Crocifisso, viene versato a causa delle unità armate dall’islamismo, dal Medio Oriente all’Asia, all’Africa subsahariana, in misura superiore che ai tempi di Nerone e Diocleziano. A ciò si aggiunge la colpevole pavidità di sacerdoti e vescovi che non denunciano, neppure verbalmente, le aggressioni anticristiane per non alimentare l’islamofobia; tema classico della narrativa modernista, più vivo nelle menti degli intellettuali laicisti che nell’evidenza dei numeri.
Giorni fa due cattolici armeni sono stati uccisi dall’ISIS a Qamishli, nella zona nord-orientale siriana di Dar ar-Zor, senza grande seguito da parte dei media generalisti. Le vittime sono il pastore della comunità cattolica armena di Qamishli, Housib Abraham Bidoyan, e suo padre, mentre un diacono è stato ferito. Oltre Tevere, neppure ai massimi livelli gerarchici della Chiesa, nessuno ha mostrato l’identico e incondizionato trasporto dedicato, per esempio, alle performance del Sinodo sull’Amazzonia.
L’esempio di san Giovanni de Matha
Per questo, in questi tempi ove gli esempi di coraggio vengono meno, è utile andare all’esempio di san Giovanni de Matha (1154-1213), che nel XII secolo fondò l’Ordo Sancte Trinitatis Captivorum. Scelto dal grande papa medievale Innocenzo III (1161-1216), con san Felice di Valois (1127-1212), per trattare il riscatto dei cristiani prigionieri dei musulmani in Africa del Nord, offrì sé stesso in ostaggio dando in cambio i suoi averi. Nato da una nobile famiglia provenzale alpina il 23 giugno 1154 a Faucon, studiò ad Aix en Provence e frequentò l’università di Parigi, dove insegnò teologia ottenendo l’attestato di magister theologus. Insieme a Felice, con cui scelse l’eremitaggio senza trovare la letizia sperata, pose le basi a Cefroid nella diocesi di Meaux per il primo insediamento, e nel 1195 abbozzò la Regola monacale in onore della SS. Trinità, modello e scopo della vocazione religiosa dell’Ordine.
A Parigi, dopo essersi fatto consigliare dal vescovo e dall’abate di San Vittore, fece proseliti e riuscì a conquistare molti alla sua causa, anche perché nel (luminosissimo) Medioevo vigeva l’incrollabile convinzione che la fede fosse la maggior forza del mondo; anzi, il bene più prezioso! Secondo le fonti disponibili, nel 1198 Giovanni e Felice arrivarono a Roma, portando con sé lettere di raccomandazione dei prelati e dei teologi della Sorbona e altri documenti per papa Innocenzo III, nel frattempo salito al soglio pontificio e appena intronizzato.
Il pontefice, verificando la bontà del propositum e intantio dell’Ordine, con la bolla Operante divine dispositionis, redatta nello stile tipico della cancelleria papale duecentesca, il 17 dicembre 1198 dette il placet. Giovanni fu nominato Superiore; insieme a Felice si attivò per la diffusione dell’Ordine che ebbe come motto: “Gloria tibi, Trinitas, et captivis libertas”, sotto la santa protezione della Vergine del Rimedio.
Secondo le fonti narrative del XIII secolo, il giorno del primo solenne Ufficio di Giovanni, al momento dell’elevazione dell’Ostia consacrata, in chiesa apparve un angelo a fianco di Gesù Cristo. L’angelo indossava una veste luminosa con una croce di colore rosso-azzurro, divenuta Signum Trinitatis e veste dell’Ordine. Teneva per le braccia due schiavi: uno moro l’altro cristiano, che furono subito liberati. Intuì che l’apparizione era una “ispirazione divina”, un messaggio che gli indicava di dedicarsi alla redenzione degli schiavi, fondando un Ordine destinato al riscatto dei prigionieri cristiani in mano ai musulmani che sarebbero stati venduti in Tunisia, Algeria e Marocco: problema angoscioso per tutta la cristianità. L’evento fu fissato nel mosaico circolare a opera di Giacomo Cosmato e di suo figlio Cosma, marmorari romani, intorno all’anno 1210, tuttora visibile sulla porta della chiesa di San Tommaso in Formis, donazione di papa Innocenzo III.
L’Ordine, inizialmente formato da quattro preti e da tre novizi ancora nello status di laici, fu una formazione inerme (non militare) organizzata in piccole comunità. Il suo fondatore e capo carismatico non intendeva predicare le crociate, ma salvare in primo luogo la fede degli schiavi cristiani. Servì, in questo modo, la politica lungimirante di papa Innocenzo III tesa a trattare sul piano diplomatico con i musulmani. L’Ordine dei Trinitari infatti si sviluppò fuori dagli schemi di contrapposizione militare dell’epoca e si rivelò una vera novità per la società cristiana del tempo.
Richiamandosi alla severità dei costumi, proclamò un modello di povertà austera senza eccessive ambizioni estetiche per il culto. La Regola di vita, di chiaro richiamo evangelico, prevedeva i voti di povertà, castità e obbedienza, il digiuno per quasi la metà dell’anno e l’astensione da carne, pesce e vino (salvo nelle solennità). Era permesso viaggiare cavalcando solo gli asini, per questo venivano anche chiamati fratres asinorum. La principale attività della comunità era l’elemosina, che andava per un terzo al sostentamento dei religiosi, un terzo all’assistenza di malati e pellegrini, e il resto al pagamento del riscatto dei fratelli nell’anelito della liberazione dei cristiani in schiavitù.
L’Ordine cresceva rapidamente attirando a sé gli uomini migliori. Aprì i monasteri di De Planels e di Bourg-la-Rein, anche grazie ai nobili cattolici italiani, francesi e del Miejour che elargivano fondi destinati a un’operazione rischiosa, quella d’entrare nei territori di fede musulmana. Per esempio: la carità offerta all’Ordine da Margherita, Contessa di Bourgougne venne motivata in opponentes ab inimici Crucis Christi.
Nell’anno 1199 fu organizzata la prima spedizione dell’Ordine in Marocco. Sostenuti da Innocenzo III consegnarono al re, detto Marmolino, una proposta del papa con una soluzione per liberare gli schiavi cristiani, anche attraverso l’interscambio dei captivi musulmani. Il modus operandi dei Trinitari era arrivare nel territorio interessato e, ottenuta l’autorizzazione dalle autorità, visitare le prigioni, verificare le situazioni più urgenti e risolvere il problema del rilascio con gli strumenti della diplomazia. Salvati i cristiani, impartivano i sacramenti ai prigionieri pagani con la promessa che, appena possibile, sarebbero tornati a liberarli.
Il ritorno di Giovanni a Marsiglia con i primi duecento cristiani liberati fece una grande impressione, muovendo la commozione di tutta la città. Egli li accompagnò mettendosi alla testa della processione fino alla cattedrale, mentre il popolo ringraziava la SS. Trinità per l’avvenuta liberazione cantando in gregoriano il salmo In exitu Israel de Aegypto.
L’ambiente storico in cui si esplicò l’opera di mistica trinitaria e di servizio alla redenzione furono le crociate. La prima conquistò Gerusalemme che fu in seguito occupata, nel 1187, dal sultano d’Egitto e di Siria – il “Saladino” – dopo la vittoria sui cristiani a Tiberiade. Le successive crociate si sarebbero svolte con alterne fortune lasciando molti soldati nelle mani dei vincitori, e nell’anno 1244 la città Santa sarebbe definitivamente caduta in mano dei musulmani.
Intanto, nel 1200 e 1201 i Trinitari aprirono altre case in Francia e in Spagna, con ospedali e ospizi per i poveri schiavi gravemente malati. Giovanni, spinto dall’amore che lo animava, chiedeva la carità in nome di Dio a tutti: ai potenti per il riscatto degli schiavi, e ai vescovi il permesso di formare comunità monacali nelle loro diocesi ed espandere l’ordine. Come missionario era sempre in viaggio, mentre Felice, più vecchio, restava a Cerfroid nella casa madre dell’Ordine, raccogliendo le risorse necessarie per il pagamento dei riscatti e insegnando teologia ai novizi.
Ogni anno, nella settimana di Pentecoste, i Padri superiori si trovavano per il Capitolo Generale, e nel 1209 i conventi erano quasi trenta. È difficile calcolare il numero degli schiavi (si parla di decine di migliaia) liberati da Giovanni de Matha. Intanto i confratelli della famiglia religiosa si moltiplicarono velocemente: bisogna pensare che verso il 1250, dunque a mezzo secolo dalla fondazione dell’Ordine, sarebbero arrivati a seicento! Giovanni intanto andò a Roma dal papa per essere consigliato. Il Santo Padre, visto il lavoro del monaco, gli donò la chiesa e il monastero di San Tommaso in Formis, affinché potesse compiere l’opera di carità. Nel monastero visse nella preghiera, nella predicazione e nella penitenza gli ultimi quattro anni della sua vita. I biografi e gli storici sostengono che avesse invitato san Francesco d’Assisi, venuto a chiedere l’approvazione (1209) dell’Ordine dei Frati Minori da parte di papa Innocenzo III.
Il 4 novembre 1212, Felice di Valois morì nel convento di Cerfroid a ottant’anni. Giovanni morì quasi un anno dopo, il 17 dicembre 1213, accompagnato alla Casa del Padre dal Vicario di Cristo che lo aveva sempre sostenuto. Fu sepolto il 21 dicembre 1213, nella chiesa di san Tommaso in Formis a Roma. Innocenzo III, salito al soglio pontificio a soli trentott’anni, morirà nel 1216 dopo diciannove anni di pontificato sognando una guerra di liberazione che fosse frutto della profonda aspirazione di tutta la cristianità ed espressione dell’unità di questa. Il suo pontificato si manifesterà come un impasto inestricabile di religiosità e forza politico-diplomatica.
Nel 1578, papa Gregorio XIII approvò una riforma per riportare l’Ordine all’austerità primitiva: i Trinitari si divisero così nelle due Famiglie degli Scalzi (riformati) e dei Calzati. Nel 1609 diventò ordine mendicante, e subì i colpi della Riforma Protestante.
Il 19 marzo 1665, due frati spagnoli entrati di nascosto nottetempo nel convento divenuto proprietà dei laici, trafugarono la maggior parte delle spoglie del Santo che furono traslate il 9 ottobre 1666 a Salamanca, nel collegio dell’Ordine della Santissima Trinità. Un’altra parte delle reliquie furono portate in segreto a Madrid, presso le suore contemplative dello stesso Ordine e presentate al Nunzio Apostolico di Spagna. La sacra Congregazione dei Riti, fatta una nuova ricognizione, decretò, con l’approvazione di Innocenzo XIII, che appartenevano a Giovanni.
Nei secoli successivi la venerazione rivolta ai fondatori andò alle immagini e alle statue nelle chiese. Tuttavia Urbano VIII vietava il culto pubblico di uomini di Chiesa non ancora santificati e i frati dell’Ordine gli chiesero di portare avanti almeno la causa di canonizzazione. Il processo canonico, iniziato verso il 1630, terminò nel 1666 con la canonizzazione dei fondatori da parte di papa Alessandro VII.
L’Ordine soccombette alle soppressioni regie e rivoluzionarie settecentesche, rinascendo però nel XIX secolo, con case impegnate in Europa e in America nelle missioni, assistenza ospedaliera e ministero. A Roma nella chiesa di San Crisogono si conserva, tra due cristalli nell’altare della cappella di Gesù Nazareno, la reliquia d’un osso della spalla di Giovanni de Matha, mentre un dito della mano destra è visibile vicino all’altare destro della chiesa di San Tommaso in Formis.
Il 15 aprile 2012 vi fu un’apertura straordinaria, sia della chiesa di San Tommaso, solitamente chiusa, sia della cella dove visse fino alla morte.
Il santo viene festeggiato ogni 17 dicembre.
La Regola di San Giovanni è fondamento dello spirito dell’Ordine. Essa, è stata arricchita nel corso dei secoli dall’opera da Giovanni Battista della Concezione (1561-1613). A Valdepeñas (Ciudad Real, Spagna) si è stabilita la prima comunità di Trinitari Scalzi. Con il breve Ad militantes Ecclesiae (1599), papa Clemente VIII diede validità ecclesiastica alla “Congregazione dei fratelli riformati e scalzi dell’Ordine della Santissima Trinità”, istituita per osservare la Regola di San Giovanni di Matha in tutto il suo rigore. Giovanni Battista della Concezione (1561-1618) fondò 18 conventi di religiosi e uno di religiose di clausura, trasmettendo lo spirito di carità, preghiera, umiltà e penitenza, mantenendo la consegna solidale ai prigionieri e ai poveri.
L’Ordine oggi
Le nuove Costituzioni, approvate dal Capitolo generale del 1983 e confermate da Roma nel 1984, raccolgono e traducono il carisma della fondazione plasmato nella Regola, la nuova situazione storica e le sue sfide, definendo gli elementi essenziali dell’identità trinitaria: 1) l’unità originaria, carismatica, di mistica trinitaria e servizio di redenzione e misericordia: “Gloria alla Trinità e libertà agli schiavi”. 2) L’esperienza di vita della Trinità sentendo la vocazione come la chiamata a essere segno del mistero del Dio cristiano, testimoniando, personalmente e collettivamente, che il Dio di Gesù è amore, libertà, comunione, Trinità, il “Dio dei fratelli nella schiavitù”. 3) Il servizio di liberazione realizzato in vari modi: ascoltando le nuove forme di schiavitù da dove riecheggiano i gemiti che arrivarono al cuore del fondatore; assistendo i fratelli la cui fede corre il pericolo di vacillare o di spegnersi; prestando un servizio di liberazione totale al fratello schiavo in tutti i modi, e svolgendo il compito di evangelizzazione, sia in Paesi di missione, sia nei Paesi di tradizione cristiana.
Oggi, l’Ordine svolge il compito di evangelizzazione, in terre di missione come di tradizione cristiana, mantenendo sempre una grande devozione verso il fondatore.