Negli ultimi 40 anni i partiti curdi hanno indirizzato i loro sforzi di lotta, sia armata sia politica, non più soltanto contro le potenze, contro i singoli regimi repressivi dell’Iran, della Turchia, della Siria e prima ancora dell’Iraq. La lotta per l’indipendenza ha assunto i connotati propri delle lotte di liberazione da parte delle minoranze oppresse in corso anche in altri Paesi nel mondo. Ma questa affermazione è solo in apparenza semplice: in realtà, spesso per i curdi è difficile individuare il vero nemico, e ciò dipende da numerosi fattori: per esempio, taluni Paesi lontani dal Kurdistan, ma presenti sulla scena internazionale, formalmente approvano e sostengono l’indipendenza dei curdi, ma in sostanza da sempre appoggiano la politica repressiva dei governi nemici di questo popolo, spesso con aiuti economici ai vari regimi, nascondendo così le consuete dinamiche dell’imperialismo dietro un intervento indiretto ma ugualmente efficace. Basti pensare a quanto avvenuto il 9 ottobre scorso con l’attacco di Erdogan ai curdi della Siria dopo il precipitoso ritiro delle truppe americane.
Civiltà, non piccolo gruppo minoritario
II Kurdistan esiste da almeno quattromila anni, abitato da una popolazione di stirpe indoeuropea, di religione originariamente zoroastriana convertitasi all’islam dopo la conquista araba; un’etnia che ha vissuto fino al secolo scorso perfettamente integrata con le altre culture del Medio Oriente. Alla fine della prima guerra mondiale questo territorio è stato arbitrariamente suddiviso dalle potenze europee vincitrici che perseguivano i propri interessi coloniali nella regione: da allora la situazione è rimasta invariata, e il popolo curdo combatte per riavere il diritto a vivere libero e in pace nella propria terra.
Cerchiamo di chiarire ai lettori italiani cosa vogliamo noi curdi. Noi chiediamo che la nostra minoranza venga riconosciuta dai governi negli Stati nei quali risiede; chiediamo di potere fruire della nostra lingua, della nostra tradizione e della nostra scuola, ma soprattutto vogliamo la democratizzazione dei Paesi che controllano il Kurdistan. Questo è sempre stato il problema da cui sono scaturite le brutali repressioni da parte dei singoli occupanti.
La prima guerra del Golfo, nel 1991, aveva portato alla ribalta mediatica le persecuzioni di cui erano stati e sono tuttora oggetto i curdi. Allora era emerso palesemente l’aspetto tragico e terribile della repressione armata, ma quello che era sfuggito – e che continua a rimanere ancor oggi ai margini dell’informazione – è un’analisi più attenta agli aspetti storici e culturali di questo popolo. Si tratta infatti di una delle più importanti e antiche civiltà dell’Oriente, eppure questa verità elementare resta spesso nell’ombra. Una “dimenticanza” dovuta, con tutta probabilità, almeno nel campo dei media, a una “colta” ignoranza. Certo, il popolo curdo non può vantare gli uomini più ricchi del pianeta, e di solito lo si liquida come una semplice minoranza oppressa: un modo spiccio per descrivere una civiltà e spiegarne lo smembramento. È in questi luoghi comuni che annegano ogni giorno le speranze di migliaia di uomini…
La diaspora
La formazione di una diaspora curda in Europa è un fenomeno recente. Nel 1960, i curdi provenienti dalla Turchia hanno iniziato ad arrivare in Germania, Austria, Svizzera e Francia come lavoratori nel quadro di contratti governativi e accordi in materia di lavoro degli immigrati. Ma dopo la rivoluzione islamica del 1979 in Iran, il colpo di Stato in Turchia del 1980, il massacro perpetrato dal regime iracheno con l’operazione Anfal e la campagna, lanciata nel 1992, di evacuazione forzata e distruzione di villaggi curdi abbinata a una politica di assassinio politico di élite da parte di “squadroni della morte” e forze paramilitari, l’esodo dei curdi verso l’Europa è parecchio aumentato. Il gruppo più consistente (circa 850 mila) si trova in Germania, ma altri Paesi dell’Unione Europea ospitano comunità numerose. In Italia vivono circa 3000 curdi, sparsi nel centro e nel settentrione, per lo più con regolare permesso di lavoro.
Ora tutti questi Paesi che si proclamano sostenitori dei diritti umani e dei popoli, dovrebbero sforzarsi una buona volta di individuare gli strumenti idonei ad affrontare una situazione ormai insostenibile dal punto di vista morale.