Il 24 luglio 2020 ha avuto luogo la prima preghiera del venerdì nella basilica cristiana di Santa Sofia a Istanbul, trasformata in moschea per imposizione del governo turco.
Il luogo profanato è stato occupato da una folla di dignitari guidati dal presidente Recep Tayyip Erdogan, mentre migliaia di musulmani seguivano le preghiere intorno all’edificio. Il neo-sultano sunnita, rifacendosi al “sogno” di Osman, fondatore nel 1300 dell’impero ottomano, avrebbe affermato che la riconversione in moschea – ora “Ayasofia” – sarebbe un “diritto sovrano” della Turchia.
Erdogan proviene dal partito islamista Refah, e fa parte dei sufi naqshbandyya, una della sètte islamiche più conservatrici; è di Istanbul, che ha le sue radici nella Turchia degli altipiani anatolici. I dervisci, membri di una confraternita religiosa musulmana, vorrebbero avvicinarsi a Dio nell’estasi della rotazione vorticosa su sé stessi: una danza che fa loro raggiungere uno stato di trance fino a farli svenire. Erdogan, al contrario, vedrebbe nel sufismo una mistica guerriera. Resta “solamente” da sottolineare una differenza nella comparazione tra le due religioni che il satrapo dittatore e guerriero volutamente omette.
Duemila anni fa il cristianesimo fece l’ingresso nel mondo attraverso una morte violenta da parte del suo fondatore e dei suoi apostoli. Per secoli il sangue cristiano scorse per fertilizzare la terra: “Il sangue dei martiri è un seme di cristiani”, affermava Tertulliano (Apologeticum 50, 13). Al contrario, circa millequattrocento anni fa l’islam iniziò a imporre la sua legge e per secoli cercò di diffondersi sul sangue versato ovunque. Dal VII all XI secolo l’islam attaccò e invase senza posa gran parte delle terre dell’Impero Romano d’Occidente. Nello stesso modo premette alle porte di quello d’Oriente conquistando gran parte del Medio Oriente, l’Africa del Nord, la penisola iberica, cercando di varcare i Pirenei, poi occupando la Sicilia, la Sardegna e la Corsica, risalendo con scorrerie dalla Provenza fino a Lione e poi in Svizzera e alle Alpi, ponendo enclavi fisse vicino Roma (le basiliche di San Pietro e San Paolo e l’abbazia di Montecassino furono distrutte), terrorizzando per secoli i popoli cristiani mediterranei, soprattutto quelli della penisola italica.
Secondo lo storico Roberto Mattei, l’ultimo obiettivo delle conquiste turche fu chiamato la Mela Rossa (Kizil-Elma), il nome con il quale si definiva il globo d’oro sorretto dalla statua dell’Imperatore Giustiniano a Costantinopoli. Roma a questo punto sarebbe divenuto la nuova Mela Rossa: l’obiettivo finale degli ottomani e del trionfo dell’islam sulla cristianità.
La rivendicazione non si è persa nel corso dei secoli. Lo sceicco Yusuf al-Qaradawi, guida spirituale dei Fratelli Musulmani le cui idee hanno influenzato larga parte dell’islam contemporaneo, ha ricordato che a Maometto fu chiesto quale città sarebbe stata la prima conquistata, se Roma o Costantinopoli, e il Profeta rispose: “Costantinopoli sarà conquistata per prima”. Prima Santa Sofia, dunque, successivamente San Pietro.
Quattro secoli di invasioni militari (massacri di uomini, deportazioni di donne negli harem, conversione forzata dei bambini) e razzie, di cui nessuno mai potrà fare il calcolo non tanto dei danni materiali, quanto del numero dei massacrati e del dolore immenso causato a intere generazioni di cristiani, senza che questi potessero in alcun modo contrattaccare…
Legittima difesa, ieri come oggi
I pellegrini cristiani che andavano in Terra Santa venivano massacrati, soprattutto a partire dal XI secolo, con l’avvento dei turchi selgiuchidi. Per questo, prima di emettere qualsiasi giudizio storico sulle crociate, è bene fare una disamina onesta (non quella promossa dopo la rivoluzione francese) evitando di presentare i crociati come una “banda di fanatici” che calò in Palestina per rubare tutto a tutti e uccidere i musulmani indifesi. Chi è mosso da un mero odio anticristiano individua alcuni eccessi – che come in ogni atto di guerra non si possano negare, anche da parte dei crociati – ma la retorica filoislamica di ieri e di oggi è antistorica. Come sempre dichiarato dalla Chiesa tramite i papi, dai teorici del movimento crociato (tra questi san Bernardo di Chiaravalle) e dai teologi medievali (fra gli altri, san Tommaso d’Aquino e anche santa Caterina da Siena), la legittimità delle crociate seguirono questi princìpi fondamentali: il diritto/dovere della cristianità a rientrare in possesso dei Luoghi Santi; la protezione dei pellegrini (scopo degli ordini monastico-cavallereschi); la legittima difesa dai secolari assalti della jihad islamica. I princìpi si fondavano sul diritto al recupero della proprietà privata, sulla salvaguardia del più debole e su quello della legittima difesa dal nemico invasore.
In effetti le fonti islamiche sulle crociate, pur accusando i crociati di atti stragisti ed efferati, non misero mai in dubbio il principio del diritto alla riconquista dei Luoghi di Cristo. A tali princìpi si rifarà Santa Caterina da Siena, la quale aggiungerà il tentativo di conversione degli infedeli alla vera Fede, per la loro salvezza eterna, bene supremo di ogni uomo.
Il movimento crociato non esaurì il suo compito nei due secoli (1096-1291) con la perdita della Terra Santa da parte cristiana; ma a partire dal XIV secolo e fino agli inizi del XVIII, con l’avanzata dei turchi ottomani, le crociate continuarono non per riconquistare i Luoghi Santi, ma per difendere l’Europa stessa dalla conquista musulmana. Per quattro secoli prima e per quattro secoli dopo le crociate “tradizionali”, il mondo cristiano fu sotto attacco militare dall’islam arabo e poi turco, in obbedienza alla jihad, la guerra santa voluta e iniziata da Maometto stesso.
Le crociate furono soprattutto guerre di difesa e di riconquista rispetto a un nemico invasore. Furono legittime storicamente e idealmente, cosa che non giustifica ovviamente gli eccessi commessi anche da parte dei crociati. In epoca moderna, ai tentativi di “integrazione” o addirittura di mettere da parte Cristo Gesù per affermare la fede in un unico Dio, rispose già Pio XI con la sua enciclica Mortalium animos la quale mette in guardia da una “ecumania”, vietando ai cattolici (“Non possumus”) di partecipare a incontri ecumenici laddove non vi fossero intendimenti per una conversione degli eretici.
La sua storia
Santa Sofia fu per oltre mille anni una chiesa cristiana; cattolica fino allo scisma d’Oriente del 1053 e successivamente ortodossa fino alla caduta dell’impero bizantino il 29 maggio del 1453, quando venne privata dai musulmani dei meravigliosi mosaici cristiani (ricoperti d’intonaco). Maometto II detto “il conquistatore” la tramutò in moschea. Con la caduta dell’impero ottomano, Mustafa Kemal Ataturk, fondatore della Repubblica, nel 1935 in modo blasfemo trasformò la basilica cristiana in un museo con funzione laicista, neutra, neoilluminista. La scusa fu la solita pretestuosa intenzione di farne un luogo d’incontro interreligioso e interculturale che certo sarebbe piaciuta all’attuale vescovo di Roma. Santa Sofia divenne simbolo moderno della Turchia laicista, della secolarizzazione di una nazione nata dalle ceneri dell’ex impero ottomano, condita di atrocità e pulizie etniche contro ortodossi, curdi e tramite il genocidio contro gli armeni.
Tornando a Santa Sofia, il neosultano ha fatto recitare la Shahādah (“Non ci sono altri dèi se non il Dio, e Maometto è il suo servo e il suo messaggero”), sotto la cupola di quella che fu per novecento anni una basilica cristiana edificata dall’imperatore bizantino Giustiniano tra il 532 e 537; mentre l’imam Ali Erbaş, il khatib, ha tenuto il suo sermone con la scimitarra dai versi coranici incisi sulla lama.
A proposito di questo sfregio, Bergoglio – compromessosi con l’islam attraverso la sciagurata dichiarazione di Abu Dhabi del febbraio 2019 sulla “fratellanza umana”, firmata insieme allo sceicco Ahmed al-Tayyeb, grande imam di Al-Azhar – si è limitato a esprimere una “profonda tristezza”. Una flebile reazione intrisa di ecclesiasticamente corretto, un flatus vocis udito dai fedeli presenti in piazza San Pietro durante l ‘Angelus domenicale del 2 luglio scorso. Del resto, parafrasando Don Abbondio e la frase detta al cardinale Federigo Borromeo, “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”; ovvero, se uno non è un grande papa mica lo può diventare.
Tuttavia l’iniziativa del popolo siriano, che secondo l’agenzia missionaria Fides intenderebbe con coraggio costruire una replica di Hagia Sophia, appare simbolicamente più efficace di fronte allo spirito di conquista dei musulmani. In Siria sta infatti per iniziare la costruzione di una chiesa dedicata alla Sapienza di Dio (hagia sophia), eretta con lo scopo dichiarato di riprodurre in dimensioni ridotte il profilo architettonico dell’antica basilica di Santa Sofia.