In Croazia esistono tre comunità linguistiche di minoranza – rispetto alla lingua ufficiale dello Stato, il croato – caratterizzate purtroppo da una grave carenza di visibilità. I tre idiomi sono lo arbënishtë, l’istrorumeno e l’istrioto. Dal punto di vista sociolinguistico, le tre varietà ricadono nella tipologia dei linguaggi bassi, privi di qualsiasi uso pubblico da tempo immemorabile.
Ora si tratta di capire se la situazione di queste comunità possa essere spiegata più che altro dalle loro condizioni e caratteristiche sociolinguistiche, o se piuttosto non si tratti dell’assenza di una valida legislazione croata a tutela delle minoranze.
Le origini e la geografia
Torneremo più avanti sulla questione del numero di parlanti di queste tre varietà, particolarmente problematica per l’inattendibilità delle statistiche ufficiali. Per ora limitiamoci alle cifre relative alle aree in cui si parlavano arbënishtë, istrorumeno e istrioto prima dei cambiamenti demografici che hanno provocato la dispersione dei loro fruitori, e quelle relative ai luoghi in cui queste lingue sono usate tuttora. Ricordiamo che le tre comunità hanno subìto un forte degrado in conseguenza dell’emigrazione dopo la seconda guerra mondiale: di tipo politico nel caso delle minoranze arbënishtë e istriota, di carattere più economico nel caso degli istrorumeni. I parlanti queste lingue costituiscono oggi una minoranza persino nelle loro rispettive sedi originarie. Croazia a parte, gli istrorumeni si trovano principalmente negli Stati Uniti, in Canada e in Australia, gli istrioti e gli arbënishtë soprattutto in Italia.
Lo arbënishtë, l’unica varietà di albanese ghego (quello parlato in Albania) separata dal continuum linguistico albanese, si mantiene nel quartiere Arbanasi della città di Zara/Zadar, mentre le enclave di Zemunik e Ploča hanno subìto la croatizzazione definitiva tra il XVIII e il XIX secolo.
Il nucleo della comunità linguistica istrorumena è costituito da una decina di villaggi e frazioni ai piedi dei monti Učka e Ćićarija, nella parte orientale dell’Istria croata, relitti di un territorio un tempo più vasto che fino alla prima metà del’800 comprendeva anche due villaggi dell’isola di Krk.
L’istrioto è parlato in sei località dell’Istria occidentale, con il suo antico centro, la città di Pola, venetizzato tra il XVIII e il XIX secolo. La lingua maggioritaria di tutti questi luoghi è il croato, nelle forme di croato regionale e dialetti locali di tipo ciacavo.
Lo arbënishtë è la lingua dei discendenti degli albanesi cattolici, originari della regione del Lago di Scutari, che nella prima metà del ‘700 si stabilirono in tre villaggi alla periferia di Zara, trovandovi rifugio dalle rappresaglie turche.
I valacchi rumenofoni, anticamente stanziati nella Dalmazia settentrionale, costituiscono il nucleo originario della comunità istrorumena, stabilitasi in Istria in seguito alle migrazioni dei secoli XVI e XVII.
Le sei località istriote rappresentano ciò che resta dell’antico territorio linguistico romanzo, oggi fortemente venetizzato, dell’Istria occidentale.
La situazione storica delle tre comunità può essere descritta in termini di isolamento. Vanno però considerate alcune sfumature: le lingue istrorumene hanno sempre allignato in un contesto rurale montuoso e isolato, favorevole alla loro conservazione; l’enclave arbënishtë era in origine essa stessa una comunità rurale, ma assai rapidamente si trasformò in un sobborgo della capitale plurilingue della Dalmazia; le varietà istriote sono specifiche di piccoli centri urbani così come di località rurali, esposte per secoli alla venetizzazione.
Per quanto riguarda l’adozione del bilinguismo, le tre varietà in questione presentano notevoli differenze. Il bilinguismo istrorumeno – croato ciacavo è molto antico, risalendo probabilmente all’epoca in cui gli antenati degli istrorumeni risiedevano ancora in Dalmazia. I parlanti arbënishtë ovviamente non usavano il croato prima del loro arrivo nei dintorni di Zara. Le isole istriote si trovavano incluse in una sorta di plurilinguismo romanzo (istrioto, veneziano, italiano), mentre il loro intenso contatto con il croato è di data piuttosto recente.
La tutela delle minoranze in Croazia
La Croazia è uno Stato etnicamente piuttosto omogeneo, dove i croati costituiscono il 90,42% della popolazione totale, che non raggiunge i 4.300.000 abitanti. La minoranza più importante è quella serba (4,36%; 12,2% prima della guerra del 1991-1995), seguita da bosniaci (0,73%), “italiani” (0,42%), albanesi (0,41%), rom (0,40%), ungheresi (0,33%), sloveni (0,25%), cechi (0,22%), slovacchi e montenegrini (0,11%)… Queste statistiche non riflettono l’uso delle rispettive lingue, ma sono principalmente una caratteristica “tecnica” del censimento in quel Paese, un’eredità dei censimenti jugoslavi in cui la categoria base era l’appartenenza etnica.
La nuova legislazione croata in materia di minoranze è considerata “esemplare” da alcuni studiosi. In base alla Costituzione del 2010, 22 gruppi etnici godono dello status di minoranza riconosciuta. Il loro ordine di apparizione nel preambolo della Costituzione stessa è il seguente: serbi, cechi, slovacchi, italiani, ungheresi, ebrei, tedeschi, austriaci, ucraini, ruteni, bosniaci, sloveni, montenegrini, macedoni, russi, bulgari, polacchi, rom, rumeni, turchi, valacchi e albanesi. La rappresentanza delle minoranze nel parlamento nazionale è determinata dalla legge elettorale. La Legge costituzionale sui diritti delle minoranze (2002) è la base giuridica per la loro protezione in Croazia. Volendo prendere in considerazione soltanto l’aspetto linguistico, all’Articolo 7 si contempla il diritto di:
- usare la propria lingua (con il relativo alfabeto) come lingua ufficiale;
- praticare insegnamento e istruzione nella propria lingua (specifici programmi e istituti scolastici, personale docente specializzato).
Secondo le ulteriori disposizioni della Legge sull’uso della lingua e dell’alfabeto delle minoranze nazionali (2000), l’adozione ufficiale della lingua minoritaria è obbligatoria, secondo l’Articolo 4:
- in un comune, qualora i membri della minoranza rappresentino la maggioranza nel suo territorio;
- quando si applicano i trattati internazionali;
- quando i comuni, le città o le regioni lo prescrivono nei loro statuti (indipendentemente dal peso demografico di una minoranza).
Questo obbligo esiste per 211 località croate. La distribuzione sarebbe la seguente: italiano in 144, serbo in 37, ungherese in 17, ceco in 8, slovacco in 3, ruteno in 2. In aggiunta, la regione Istria ha ufficializzato l’uso dell’italiano in tutte le sue istituzioni e nei procedimenti dinanzi alle autorità amministrative.
Per quanto riguarda l’istruzione, il “modello A” (insegnamento interamente in lingua minoritaria, con il croato come materia obbligatoria), riservato alle minoranze serba, italiana, ungherese e ceco, è stato seguito durante l’anno scolastico 2012/2013 da 3921 studenti della scuola primaria, su un totale di 35 istituti, e da 1516 studenti della secondaria, in 12 scuole in totale.
Quando lingua non significa etnia
Questa breve panoramica sulle disposizioni giuridiche e la loro attuazione mostra che la Croazia si sforza di rendere visibili le sue minoranze, sia formalmente sia nella pratica. Ma precisiamo: qui si tratta di minoranze etniche, di comunità caratterizzate da un’identità distinta da quella croata. L’appartenenza etnica è una categoria ufficiale nel censimento della popolazione in Croazia. Le lingue di queste minoranze sono protette in quanto parte delle loro rispettive identità etniche. Non a caso la legge costituzionale parla di minoranze nazionali o anche etniche, non di minoranze linguistiche. Presso la maggior parte delle minoranze del Paese si osserva una corrispondenza perfetta tra l’identità etnica e la loro lingua veicolare. Così gli ungheresi parlano magiaro, i cechi il ceco, eccetera. Tralasciando le polemiche relative all’effettiva esistenza di quattro lingue diffenziate – croato, serbo, bosniaco e montenegrino – va notato che la legge riconosce anche queste.
E invece, per quanto riguarda le minoranze linguistiche arbënishtë, istrorumena e istriota, ci troviamo di fronte a un’evidente discrepanza tra identità etnica e lingua. I parlanti arbënishtë e istrorumeno si identificano essi stessi come croati nella maggior parte dei casi, con una piccola minoranza di arbënishtë che si definiscono italiani e alcuni istrorumeni che propongono un’identità regionale, definendosi “istriani” (fenomeno osservato del resto in tutti i gruppi etnolinguistici dell’Istria, compresi i croati). Per quanto riguarda i parlanti istrioti, si percepiscono soprattutto come italiani o veneti.
Privi di una specifica autorappresentazione etnica, le minoranze arbënishtë, istrorumena e istriota non sono riconosciute dalla Costituzione o dalle leggi dedicate alle questioni minoritarie. Sono dunque invisibili dal punto di vista giuridico, e i loro idiomi non godono di alcuna delle tutele previste per le altre minoranze.
L’assenza di un’identità etnica separata presso i parlanti arbënishtë e istrorumeno non sorprende. Il loro antico isolamento fisico dallo spazio etnolinguistico albanese e rumeno ha impedito loro di partecipare ai successivi processi di costruzione delle identità nazionali albanese e rumena. Al contrario, la comunità linguistica istriota è stata, sin dall’inizio, esposta ai processi di costituzione dell’identità nazionale italiana in seno all’impero austro-ungarico. Inoltre, il suo territorio ha fatto parte dell’Italia tra il 1918 e il 1945.
Arbënishtë, storia di un occultamento
L’esistenza dell’arbënishtë è un fatto abbastanza noto agli abitanti della città di Zara e dintorni. Malgrado ciò, si può affermare che i suoi parlanti costituiscono oggi una minoranza nascosta. Durante il censimento della popolazione del 2011, appena 17 abitanti di Zara hanno dichiarato lo arbënishtë come loro lingua madre, il che non corrisponde affatto alla situazione reale. Prima lingua della stragrande maggioranza dei circa 2900 abitanti del quartiere Arbanasi prima della seconda guerra mondiale, essa viene ora utilizzata da circa 200 persone, secondo la nostra ricerca, per lo più di età compresa tra i 60 e i 90 anni. L’uso che fanno i parlanti arbënishtë del loro linguaggio è particolarmente discreto, seguendo una logica difficile da cogliere in tutte le sue dimensioni e che varia notevolmente da individuo a individuo. I locutori si conoscono praticamente tutti tra di loro. Alcuni parlano arbënishtë con tutti i conoscenti, altri sono più selettivi al momento di usarlo.
Dal punto di vista dell’autorappresentazione, si potrebbe considerare la situazione attuale come un passo in avanti rispetto alla dissimulazione degli anni ‘50, ‘60 e ‘70 del secolo scorso. A quei tempi l’uso dello arbënishtë era stigmatizzato dal regime comunista, in quanto espressione di una comunità sospettata di simpatie per il regime fascista italiano. Il croato parlato dai madrelingua arbënishtë, specialmente i più anziani, è stato spesso oggetto di scherno. Inutile dire che l’istruzione in arbënishtë in queste condizioni era fuori discussione. La diminuzione del numero di parlanti, conseguenza non solo dell’emigrazione di massa negli anni Cinquanta, ma pure del rapido abbandono dell’idioma da parte di chi restava in città, è proseguita anche con le condizioni politiche più favorevoli, dopo la democratizzazione del Paese nel 1990.
Affermare che è una lingua relegata all’uso familiare sarebbe un eccesso di ottimismo. Secondo una nostra ricerca del 2013, esiste una sola famiglia in cui tutti i membri la usano. Soltanto tre persone sotto i 40 anni fanno un uso attivo dello arbënishtë, tutti della stessa famiglia. Siamo quindi in presenza di un’interruzione della trasmissione generazionale della lingua, nonché alla fase finale della sostituzione linguistica.
La maggior parte dei locutori è caratterizzata da un multilinguismo complesso. L’impiego della variante veneta della parlata cittadina coinvolge una percentuale non trascurabile di madrelingua arbënishtë. La conoscenza del croato regionale della città – una sorta di koinè supradialettale – è generalizzata, sebbene sia meno avanzata tra i soggetti istruiti in italiano all’epoca in cui il croato era proibito dalle autorità fasciste. Infine, la conoscenza dell’antico dialetto croato ciacavo della città fa parte del repertorio linguistico di alcune persone molto anziane. In sostanza, gli arbënishtë sono oggi gli ultimi custodi dell’antico trilinguismo vernacolare di Zara.
Dall’agosto 2010, lo arbënishtë figura nell’elenco dei beni immateriali della Repubblica di Croazia. La città di Zara/Zadar continua a non contribuire alla protezione di questo idioma.
La minoranza istrorumena: invisibilità per inerzia?
Anche l’istro-rumeno, come lo arbënishtë, compare nella lista dei beni immateriali della Repubblica di Croazia. Si divide in due varietà: il dialetto settentrionale, parlato da 53 dei 134 abitanti del villaggio di Žejane (comune di Matulji, regione di Primorje – Gorski Kotar) e da circa 190 emigrati; il dialetto meridionale, parlato da 80-100 dei 2950 abitanti del comune di Kršan (regione dell’Istria), nei villaggi di Brdo, Kostrčan, Letaj, Miheli, Nova Vas, Šušnjevica, Jesenovik e Zankovci, nonché da un numero imprecisato di emigrati. A titolo di paragone, negli anni ‘60 del secolo scorso si contavano tra 450 e 500 parlanti il dialetto settentrionale e tra 800 e 1000 parlanti il dialetto meridionale.
Ricerche dialettologiche (come quella di Kovačec nel 1998) hanno mostrato che i locutori identificavano la loro varietà istrorumena utilizzando i glottonimi locali, come žejanski, “la parlata di Žejane” o šušnjevski, “la parlata di Šušnjevica”, e così via, e assai raramente come vlaški, “il valacco”.
Nel censimento del 2011, 17 abitanti del comune di Kršan dichiararono l’istrorumeno come lingua madre (11 con la denominazione rumeno, 4 istrorumeno e 2 valacco). Nel comune di Matulji, 4 residenti dichiararono che la loro lingua madre era il rumeno, mentre 2 decisero per žejanski. Tuttavia, si deve tener conto che per molti abitanti dei villaggi in questione anche il croato è lingua madre allo stesso titolo dell’istroromeno, ma anche che le regole del censimento in Croazia non consentono di dichiarare due lingue madri.
Nel censimento austriaco del 1910, 882 su 1541 abitanti dei villaggi meridionali avevano scelto l’opzione rumena per identificare la loro lingua madre, contro 656 madrelingua croata e tre madrelingua italiana. A nord, a Žejane – attuale bastione dell’istrorumeno – tutti i 596 abitanti optarono per il croato. Lo stesso nel villaggio meridionale di Šušnjevica, dove nel 1910 nessuno scelse l’opzione rumena, mentre a Nova Vas, per esempio, tutti i 255 abitanti decisero per questa lingua. Trent’anni prima, durante il censimento austriaco del 1880, soltanto una persona in tutti i villaggi rumenofoni aveva dichiarato il rumeno come lingua madre, mentre il numero di italofoni dichiarati era di 1395, contro 3 appena nel 1910. Chiaramente si trattava di capovolgimenti identitari e politici assai differenti da villaggio a villaggio, i quali nulla avevano a che fare con lo stato reale delle cose.
Un ultimo esempio degli aspetti problematici delle statistiche è il primo censimento nella Jugoslavia socialista del 1945. Impostato sull’appartenenza etnica e non sulla lingua madre, questo documento rivela che 478 su 2090 abitanti dei villaggi istrorumeni si identificarono come rumeni. Quasi tutti questi “rumeni”, 433 per la precisione, erano registrati in un’unica comunità, quella di Kostrčan-Brdo, che all’epoca contava 573 abitanti. Ignoriamo le condizioni che permisero una manifestazione così inaspettata, irripetibile e pressoché plebiscitaria dell’identità rumena in una piccola frazione.
L’abbandono dell’istrorumeno è avvenuto per inerzia, ci sembra, a partire dalla disgregazione demografica delle vecchie enclave. Un processo non accentuato dalla demonizzazione, a differenza di quanto osservato nel caso dello arbënishtë. Bisogna ricordare che il diffuso bilinguismo istrorumeno – croato (ciacavo) è una caratteristica essenziale e radicata della comunità istrorumena.
Proprio come lo arbënishtë, l’istrorumeno ha subìto l’interruzione della trasmissione generazionale. Nel caso dei locutori più giovani, di età compresa tra 20 e 40 anni, sarebbe più corretto parlare di semi-locutori, i quali usano la loro lingua soltanto quando fanno visita ai nonni.
Lo statuto del comune di Kršan prevede l’obbligo di rispettare e preservare i diritti del “gruppo etnico e linguistico autoctono degli istrorumeni”. La scuola elementare d Kršan si impegna a promuovere l’istro-rumeno attraverso laboratori linguistici offerti ai suoi alunni.
Gli istrioti: una minoranza dentro la minoranza
Con l’istriota arriviamo al caso più problematico. Scientificamente, il termine si riferisce a un gruppo di varietà romanze, parlate da 500-1000 abitanti di Bale, Fažana, Galižana, Rovinj, Šišan e Vodnjan. Le statistiche non ci dicono praticamente nulla. I materiali del censimento del 2011 mostrano che nelle città di Rovinj e Vodnjan nessuno aveva tentato di dichiarare l’istriota come lingua madre, neppure sotto forma di qualche glottonimo. Possiamo solo presumere che la maggior parte di coloro che hanno ancora una competenza attiva dell’istriota si nascondano tra le 3004 persone di dichiarata lingua italiana nel territorio delle città di Rovinj e Vodnjan (con Galižana) e nei comuni di Bale, Fažana et Ližnjan (dove si trova il villaggio di Šišan). Gli italofoni rappresentano il 10,3% di questi comprensori, e l’istriota riguarderebbe tra il 2 e il 5% della loro popolazione totale (più o meno un terzo della popolazione di lingua italiana del territorio).
Sebbene l’esodo di massa degli italiani dall’Istria sia stato un duro colpo per la comunità, gli accordi tra Jugoslavia e Italia hanno reso possibile la protezione dei diritti linguistici di quanti sono rimasti. La Croazia non ha fatto altro che alzare il livello di tale protezione. L’italiano è lingua ufficiale in 19 comuni della regione dell’Istria, comprese tutte le enclave istriote. Gli statuti delle comunità territoriali storicamente istriote non contengono disposizioni relative alla protezione di questa varietà linguistica. I suoi locutori, a quanto pare, sono generalmente contenti di essere protetti come membri della minoranza italiana. Pertanto, le condizioni che hanno determinato la mancata visibilità dell’istrioto sono da ricercare nel comportamento linguistico della comunità italiana in Istria.
Nell’autorappresentazione dei locutori, l’istrioto è ridotto allo stato di membro più debole di un complesso multilingue che nella maggior parte dei casi include: veneto, come principale varietà linguistica non ufficiale della comunità italiana; croato ciacavo o croato regionale, come principale idioma vernacolare in un contesto comunicativo che supera i limiti della comunità italiana; l’italiano standard e il croato standard, come lingue scolastiche, amministrative e culturali.
Nonostante la trasmissione generazionale della lingua sia arrivata al punto di rottura, secondo G. Filipi i corsi facoltativi d’istrioto, organizzati dalla scuola elementare italiana a Rovinj, hanno prodotto un numero significativo di giovani neolocutori. Qui il processo di sostituzione linguistica va di pari passo a un altro, quello della convergenza linguistica, possibile grazie alle affinità tra istrioto e veneto.
Tra disinteresse e involuzione naturale
I tre casi esaminati mostrano che le disposizioni giuridiche relative alla tutela delle minoranze in Croazia, per quanto esemplari e utili, sono insufficienti nel caso di minoranze linguistiche che non esprimono un’identità etnica diversa dal croato (o dall’italiano, nel caso della comunità istriota). D’altra parte, sebbene la Croazia stia iniziando a interessarsi alla conservazione di arbënishtë e istrorumeno, siamo purtroppo in presenza di due lingue in piena estinzione. La loro situazione sembrerebbe piuttosto irrimediabile.
Tuttavia, la mancanza di visibilità delle tre minoranze linguistiche non è imputabile unicamente alla legislazione croata. Nel caso della comunità istriota, tale invisibilità è abbastanza volontaria, conseguenza di una scelta identitaria e linguistica già avviata nel XIX secolo, legata al processo di costituzione dello Stato italiano.
L’occultamento della comunità arbënishtë appare come una strategia di sopravvivenza nel contesto ideologico e politico jugoslavo, ostile all’uso di questa lingua. Dopo la dissoluzione della Jugoslavia, i locutori sono usciti dall’ombra per passare a un uso discreto della lingua.
L’invisibilità dell’istrorumeno sembra essere principalmente il risultato di una disgregazione della comunità. Al contrario, la situazione dello arbënishtë e dell’istrioto rientra nelle forme di auto-organizzazione adattiva delle comunità linguistiche minoritarie.