Si fa presto a discutere di ecologia nei salotti riscaldati di mezzo mondo, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare… o forse il deserto, come quello del Thar nello Stato indiano del Rajasthan. Qui, nel distretto di Bikaner, una comunità mette in pratica tutti i giorni, da più di 500 anni, i 29 precetti che Guru Jambaji Bhagawan lasciò in eredità ai suoi seguaci per salvaguardare l’ambiente e tutti i suoi abitanti, uomini, animali, vegetali: si tratta dei bishnoi, il cui nome deriva proprio da bish, “20”, e noi, “9”.
Nato nel 1451, in tempi nei quali i concetti di ambientalismo ed ecologia erano sconosciuti, e la vita quotidiana nella regione desertica nei pressi di Jodhpur era ai limiti della sopravvivenza, Guru Jambaji fu in gioventù un ragazzo introverso e silenzioso, dedito alla pastorizia; la frequentazione e l’attenta osservazione della natura, oltre a una sensibilità fuori dal comune, lo trasformarono in un predicatore illuminato, conscio in tempi non sospetti dei gravi pericoli che incombevano sulla natura e sul futuro e la sopravvivenza di tutti gli esseri viventi. Formulò così i 29 precetti con i quali impose di difendere e mantenere puri il corpo e l’ambiente, e attraverso la preghiera e azioni positive insegnò a eliminare dalla mente ogni pensiero ed energia negativa, frutto di avidità e desiderio di possedere oltre il proprio bisogno.
Vediamo insieme quali sono i 29 precetti:
- Osservate 30 giorni di isolamento dopo il parto per la madre e per il neonato
- Durante il periodo mestruale, le donne non devono svolgere attività domestiche per un periodo di cinque giorni
- Lavatevi ogni giorno, di mattina
- Abbiate un buon carattere, siate contenti e mantenetevi puri e puliti
- Pregate due volte al giorno, al mattino e alla sera
- Cantate inni di preghiera a Dio la sera
- Offrite sacrifici al fuoco sacro con sentimenti di gioia, devozione e amore
- Usate acqua e latte filtrati, e legno pulito per il fuoco, liberi da batteri e insetti
- Parlate con attenzione (pensate prima di parlare)
- Perdonate con il cuore
- Siate compassionevoli di cuore
- È proibito rubare od utilizzare senza permesso le cose degli altri
- È proibito il criticismo
- È proibito dire menzogne
- Non indulgete in dispute e controversie non necessarie
- Osservare il digiuno nell’ultimo giorno di luna nera del mese
- Pregate e pronunciate il nome di Vishnu in adorazione
- Siate compassionevoli con tutti gli esseri viventi
- Non tagliate alberi verdi
- Controllate lussuria, rabbia, orgoglio, infatuazioni, delusioni e attaccamento
- Mangiate cibo cucinato nella vostra casa; non mangiate cibo mantenuto o cucinato in condizioni impure
- Date rifugio agli animali abbandonati, in modo che possano terminare la loro vita con dignità e senza essere uccisi
- Non castrate i tori
- Non consumate e non commerciate oppio
- Non fumate tabacco
- Non consumate e non commerciate sostanze stupefacenti
- Non bevete e non commerciate bevande alcoliche
- Non mangiate carne o altro cibo non vegetariano
- Non usate colori viola estratti dalla pianta verde dell’indaco
La comunità di devoti che lo seguì divenne una delle più ammirate – ma anche temute – tribù dell’India, un popolo di sei milioni di discepoli conosciuti anche come Guardiani della Terra per la loro integrità morale e il ferreo rispetto delle 29 regole; una missione ecologista iniziata molto prima che gli scienziati scoprissero l’effetto serra e pubblicassero studi e saggi sull’argomento; molto prima che le grandi potenze del mondo si incontrassero nei vari G20 e si parlasse di ambiente, sostenibilità, “green deal”, e ben cinque secoli prima che gli ecologisti da tavolino promettessero cambiamenti che ancora non hanno visto la luce del sole…
“I bishnoi conoscono le conseguenze dello squilibrio naturale, sanno che la relazione tra esseri e ambiente è sinergica, e che gli uomini devono garantire questo equilibrio, e non alterarlo”, scrive un antropologo della Delhi University, Vinay Kumar Srivastava.
La storia dei bishnoi narra di fatti cruenti e tragici avvenuti negli estremi tentativi di difendere alberi e animali dalla ferocia dell’uomo. Famoso il sacrificio di Amrita Devi, delle sue figlie e di altri fedeli, che nel 1730 affrontarono i taglialegna mandati dal maraja di Jodhpur per abbattere gli alberi khejri destinati alle fornaci reali, abbracciando gli alberi al grido di “una testa mozzata vale meno di un albero abbattuto”. Fu una carneficina, vennero uccisi 363 fedeli. Ma il sacrificio non fu vano: esso divenne un monito per tutti i potenti, per le altre tribù, per l’India intera. Il maraja stesso, sconvolto dagli eventi e dalla determinazione di questo popolo, proibì la caccia e l’abbattimento di alberi nelle regioni dei villaggi bishnoi.
Da secoli, in questi territori, la sacralità della natura è simbolicamente incarnata proprio dalle due specie più a rischio di estinzione: l’antilope cervicapra e l’albero del khejri.
Il khejri rappresenta una fondamentale risorsa per la vita dell’uomo, in diversi modi: consociato al miglio, un cereale minore, forma un sistema produttivo agro-forestale di antica tradizione, base del sostentamento alimentare di uomini e animali. La corteccia, che è dolciastra, può essere molita e ridotta in una farina di alto contenuto proteico (e fu questa farina a salvare migliaia di vite durante la grande carestia del Rajasthan nel 1868-69). Il fogliame è impiegato come foraggio per gli animali, mentre i baccelli vengono cotti e mangiati dagli uomini. Il legno è assai resistente, utilizzato per costruire barche, carri, abitazioni e mobili. Sempre la corteccia trova impiego nella medicina popolare come rimedio per una grande varietà di infermità, dall’asma alla lebbra.
L’antilope cervicapra ha sempre avuto un ruolo importante nella cultura indiana. Essa costituiva una fonte di cibo già all’epoca della civiltà della valle dell’Indo (IV-II millennio a.C.). Dichiarata animale simbolo dell’Andhra Pradesh, viene menzionata nei testi sanscriti: secondo la mitologia indù, l’antilope cervicapra tirava il carro di Krishna ed era considerata la cavalcatura di Vayu (dio del vento), Soma (la bevanda divina) e Chandra (il dio della luna). Nello Stato meridionale del Tamil Nadu è ritenuta la cavalcatura della dea indù Korravai. La pelle di questa gazzella (krishnajina in lingua hindi) è considerata sacra presso gli induisti. Secondo le scritture, essa può essere indossata solamente da bramini (sacerdoti), sadhu e yogi (saggi).
Nel Rajasthan, si ritiene che l’antilope cervicapra sia protetta dalla dea Karni Mata. Il saggio Yagyavalkya affermava che “laddove c’è l’antilope cervicapra, deve essere conosciuto il dharma”, cioè la religione: forse tale affermazione sta a significare che certe pratiche, compresi i sacrifici, non devono essere eseguite nelle zone dove l’antilope cervicapra non vive; non a caso i bishnoi credono nella reincarnazione della propria anima in un corpo di antilope. E infatti non è raro vedere donne che allattano i propri figli e anche i cuccioli di queste gazzelle rimaste orfane; può sembrare osceno ai nostri occhi, ma è del tutto naturale in questa cultura pienamente integrata con la natura.
Tutto questo è più che sufficiente per giustificare una lotta plurisecolare in difesa dei sacri simboli; lotta che ha registrato nel tempo una positiva risonanza anche presso altre tribù notoriamente poco rispettose della natura. Celebre è lo Hug The Tree Movement (o Chipko Movement), fondato negli anni settanta nella regione himalayana da un gruppo di donne le quali, prendendo esempio dalla loro eroina Amrita Devi, utilizzavano il metodo dell’abbraccio degli alberi e della resistenza per salvare la loro terra e il loro sostentamento dalla terribile deforestazione dell’epoca. La storia insegna, e si ripete.
Nessuno scampa alla determinazione dei bishnoi nel praticare ciò che loro stessi chiamano “eco dharma”, ovvero religione e comportamento ecologico; nemmeno, in tempi moderni, gli attori di Bollywood. Nel 1998 l’attore Salman Khan fu arrestato per aver ucciso due antilopi cervicapra durante le riprese di un film nei pressi dei villaggi bishnoi. Il processo durò qualche anno, la pena poco severa (una multa e qualche giorno di carcere), ma la risonanza fu enorme, il più grande deterrente per bracconieri e cacciatori di frodo.
Tuttavia, visitando di persona un villaggio bishnoi, una eccezione alle 29 regole la riscontro subito: mi accolgono con una cerimonia che, pur tenendosi al tramonto verso le cinque di sera, non ha nulla a che fare con il britannico tè: si tratta di oppio, e per quanto la si possa considerare una pratica di rilassamento dalle fatiche del giorno, risulta pur sempre una trasgressione alla regola n. 24. Ma tant’è, la vita è fatta anche di regole trasgredite.
L’atmosfera al villaggio appare estremamente pacifica e cordiale, le abitazioni in mattone sono avvolte dalla luce e dalla sottile polvere del deserto che, superati gli spinosi cespugli e gli alberi di khejad, regna sovrano in questa regione poco lontana dalla più conosciuta città di Jodhpur. Le dolci gazzelle pascolano tranquille nei pressi delle case assieme ai buoi, e trovano riparo nei ricoveri costruiti dagli uomini della tribù.
È meraviglioso poter godere di tanta armonia, ma non si può dimenticare che tutto questo ha un prezzo che le culture appartenenti alla società industrializzata non vorrebbero mai pagare, soprattutto in termini di scomodità e mancanza dei comfort che una società basata sullo sfruttamento energetico riserva.
I bishnoi ritengono la propria fede infinitamente superiore a qualunque altra, comprese l’induista e l’islamica. Potremmo riassumere con due frasi il loro ammonimento ai Sadhu Naga o agli integralisti islamici: “È inutile girare nudi per mostrare devozione a Dio, anche gli animali sono nudi”, oppure: “Non serve a nulla gridare forte il nome di Allah, perché Dio può udire anche il passo delle formiche”.