Niente da fare, fino alla fine dei suoi giorni Joseph Ratzinger dovrà sopportare le angherie di chi non ha mai digerito la sua teologia.
Nella sua Germania (sebbene egli si consideri più intimamente legato alla Baviera, la Heimat dove è nato anche spiritualmente) non gli perdonano di non essere uno di loro: da Eckhart a Lutero, a molti vescovi e teologi tedeschi contemporanei e apostati. Non gli hanno mai perdonato di aver difeso valori non negoziabili della dottrina della Fede, una volta diventato Romano Pontefice. Neppure il suo doloroso abbandono dalla cattedra di Pietro ha saziato il cardinale Marx, artefice del Sinodo Tedesco che si protrarrà fino al 2023 e minaccia l’unità della Chiesa Universale.
Essi scavano pretestuosamente nel suo passato cercando un impossibile tarlo nella sua figura, sollevando vecchie questioni, come la pedofilia, che lui ha sempre combattuto esprimendo vicinanza e preghiera per le vittime, alcune delle quali ha incontrato in occasione dei suoi viaggi apostolici.
Così sono stati presentati il 20 gennaio scorso i risultati di un’indagine commissionata dall’arcidiocesi di Monaco e Frisinga, condotta dallo studio legale Westpfahl Spilker Wastl, sulla gestione dei casi di abusi nell’arcidiocesi stessa tra il 1945 e il 2019. È lo studio di Monaco che ha già dimostrato la sua faziosità con la causa contro l’arcivescovo di Colonia, Rainer Maria Woelki, prestigiosa figura della minoranza dell’episcopato tedesco, accusandolo di aver insabbiato un abuso nel 2015. L’indagine sugli abusi sessuali su minori commessi all’interno dell’arcidiocesi di Colonia dal 1975 al 2018 ha scagionato Woelki da ogni responsabilità o negligenza.
Il circo mediatico si è subito messo in moto in ambienti non solo ecclesiali, ma il tema degli abusi appare come un falso scopo, laddove il vero obiettivo sarebbe blindare quel Cammino Sinodale tedesco che sta creando parecchi grattacapi allo stesso papa Bergoglio.
Nel maggio scorso il cardinale Reinhard Marx, “capo” del cammino episcopale, minacciò di dimettersi (era alla guida dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga) ostentando una presunta responsabilità personale che avrebbe dovuto assumersi nei riguardi delle vittime. Bergoglio respinse le dimissioni. Poi i due si esibirono in un mellifluo scambio di effusioni. Il papa: “Confermo la tua missione”. Marx: “Non contavo su una reazione così veloce e nemmeno mi aspettavo la decisione che io dovessi continuare nel mio servizio”.
Tornando all’accusa di cui sopra, questa coinvolgerebbe i predecessori e successori di Ratzinger alla guida dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga, e ovviamente Ratzinger stesso, arcivescovo di quelle sedi dal 1977 al 1982. Secondo la versione dello studio legale, sarebbero quattro le occasioni in cui il comportamento dell’allora arcivescovo era stato “non appropriato”. Viene avanzato il sospetto che il futuro papa fosse a conoscenza della condanna per abusi emessa da un tribunale regionale ai danni di un sacerdote prima del suo mandato. Insomma, nel rapporto sugli abusi del clero nella Chiesa di Monaco i legali sostengono che Ratzinger avrebbe sottovalutato alcuni casi.
A nostro avviso l’accusa di aver coperto i pedofili si dimostra del tutto strumentale. Nel 2004 solo grazie all’allora prefetto per la Dottrina della Fede, cardinale Ratzinger, venne sollevato lo spaventoso velo sugli abusi del fondatore dei Legionari di Cristo, padre Marcial Maciel. Nel 1956, dagli archivi dell’ex Sant’Uffizio erano già emerse simili accuse, prese superficialmente in esame, ma fu Ratzinger a porre in atto azioni concrete contro gli episodi di pedofilia del clero. Come papa ordinò la “reclusione” di Maciel in un monastero, privandolo della possibilità di celebrare in pubblico e comandò un’approfondita ispezione apostolica, preludio inevitabile del “commissariamento” dell’ordine.
“Contro di me, propaganda”
Riguardo a queste accuse, Ratzinger ha presentato una memoria difensiva di ottantadue pagine dichiarandosi estraneo a qualsiasi omissione, spiegando le ragioni delle decisioni prese a suo tempo e dichiarandosi vittima della solita propaganda ideologica di una parte dei presuli connazionali.
Nella dichiarazione, il “papa emerito” si è concentrato sul caso di padre Peter Hullermann per sconfessare le accuse mossegli nell’indagine, riprese e pubblicate dal settimanale tedesco “Die Zeit” qualche settimana fa. Egli ha contestato lo studio legale tedesco nella parte in cui esso fa un riferimento “probante” alla diocesi di Essen, dove Hullermann abusò di un minore e dalla quale venne trasferito – previa visita da uno psicoterapeuta (1980) – nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga. Egli afferma: “Né io né i membri dell’assemblea dell’Ordinariato eravamo a conoscenza dei verbali dell’attività dello psicoterapeuta che aveva valutato il padre nella sua diocesi di origine, e che furono portate a conoscenza dell’Ordinariato arcivescovile di Monaco soltanto nel 2010”.
I legali hanno dovuto ammettere, finalmente, che non esiste una “base affidabile per continuare a valutare criticamente l’operato dell’allora arcivescovo cardinale Ratzinger”; tuttavia, pur non esibendo prove per contraddirla, hanno sostenuto “che la sua difesa non sarebbe credibile”.
Così, mentre parte del clero tedesco scivola nell’apostasia, negli atti già consumata, i cattolici assistono (un po’ ignavi) ancora una volta agli attacchi da parte di chi ha perso ogni pudore verso un Pastore della Chiesa al termine del suo passaggio terreno, al solo fine di delegittimare il passato e il presente del suo luminoso Magistero.
Ratzinger resta il teologo e l’intellettuale più importante al mondo, un gigante della Fede in Cristo. Un tedesco certo, ma ben diverso dalla maggioranza dell’episcopato germanico.