E così, dopo anni di disintossicazione, siamo tornati a sorbirci un talk show, Non è l’arena, al solo scopo di vedere le reazioni alle tesi di Francesco Amodeo, incredibilmente invitato nel regno della mediaticità mainstream. Ieri scommettevo che il giornalista indipendente sarebbe stato presentato come un novax e putinista: ho vinto alla Pirro, poiché non immaginavo che in più l’avrebbero fatto passare per fascista mussoliniano. Comunque, un’esperienza da non ripetere.
Ma andiamo con ordine. Giletti trasmette con grande abilità mediatica, e non senza sensibilità umana, da zone devastate dell’Ucraina: l’iniziativa non rappresenta un trentesimo delle attività che svolge Fausto Biloslavo da decenni senza tirarsela tanto, ma permette al conduttore di impostare la trasmissione secondo lo schema “io sono qui dove muore la gente, e tutto quello che dite voi comodamente seduti in studio non vale un cazzo”.
Ovviamente dipende da chi siede in studio. Il giornalista ucraino Maistrouk – che, poveretto, ha tutta la nostra comprensione per quanto sta vivendo nel suo Paese – può urlare diciotto volte lo stesso concetto, cioè che ci vuole la no-fly zone… ovvero la terza guerra mondiale con olocausto nucleare, diremo noi; ma ovviamente si fa presto a razionalizzare, ammonisce Giletti, quando non si vedono i cadaveri da vicino e non si respira il lezzo della morte. Molto logico, molto professionale: questa gente ha bisogno di aiuto, subito, e qualcuno si preoccupa di quisquilie come la sparizione della specie umana.
Comunque, ancora le giornaliste italiane in studio possono starnazzare senza le famigerate interruzioni gilettiane, si può assediare una modestissima Shevliakova, giornalista russa vivente a Roma, perché non ha il coraggio di chiamare guerra la guerra, e dirle che così è complice e ha le mani sporche di sangue, senza che nessuno dei geni presenti si renda conto che la poveretta è d’accordissimo con loro ma è terrorizzata perché probabilmente ha i suoi cari in Russia. Mai interrotto e anzi vezzeggiato Alan Friedman, onnipresente a La7.
E Amodeo? Quando comincia ad albeggiare, decidono di farlo entrare in studio scortato da Telese, nel caso Giletti in collegamento non riuscisse a zittirlo in tempo. Ma prima, a mo’ di presentazione dell’ospite, il piccolo capolavoro: un servizio da Predappio dove si raduna un gruppetto di mentecatti che si dichiarano 1) novax, 2) putinisti, 3) fascisti! Amodeo, giustamente, si inalbera e con una signorilità che io non avrei mai avuto dice a Giletti che non si sarebbe aspettato una bassezza simile da un professionista. Ora, direte, la strada del giornalista è in salita: in studio appositamente per spiegare come l’establishment ucraino sia nazifascista, si è appena beccato lui del fascista. Nessun problema: da quel momento, grazie alle aggressioni dell’inutile Telese e a un Giletti improvvisamente ringalluzzito, ad Amodeo non sarà più consentito spiccicare un concetto. Di botto, ogni analisi sulle radici del conflitto verranno considerate uno squallido esercizio filosofico mentre lì, dove Giletti sta rischiando la vita, la gente muore sul serio.
Meno pericoloso di Amodeo, l’unico a poter dire qualcosa in controtendenza è il professor Ugo Mattei in collegamento dagli USA. Valido nell’analizzare le colpe della NATO, cade nel solito pacifismo patetico quando afferma che non dobbiamo muovere un dito né inviare armamenti poiché la costituzione italiana ripudia la guerra. Ma chi se ne frega della costituzione: quello che noi ripudiamo è la terza guerra mondiale! Non esistessero le armi nucleari, saremmo già tutti lì a prendere i russi a calci nel sedere.
Ma è fondamentale concludere con la reazione di Giletti all’intervento del docente. Mandata in onda la celebre foto della ragazza ucraina che partorisce in barella (poi morti, lei e il suo bambino), urla furibondo a Mattei che qualcuno dovrebbe chiedere scusa per averla definita un falso. Mattei resta a bocca aperta, non crede alle proprie orecchie, quindi sbotta: “E dovrei essere io a chiedere scusa!?”
La reazione del conduttore (“Basta, lei ha già parlato troppo a lungo”) ci illumina sui problemi spaventosi che affliggono l’informazione in Italia, non solo politici e deontologici, ma anche antropologici. Il quoziente intellettivo medio dei suoi esponenti è troppo basso per affrontare problemi complessi come la geopolitica.