Il 2 dicembre, dalla sala municipale dedicata all’illustre concittadino, lo scrittore e premio Nobel 1915 Romain Rolland, il consiglio comunale di Clamecy (dipartimento della Nièvre, regione di Bourgogne-Franche-Comté) ha inviato un chiaro messaggio di solidarietà a un popolo oppresso e perseguitato, conferendo la cittadinanza onoraria alla musicista curda Nudem Durak, in carcere ormai da otto anni (condannata a 19, dovrebbe rimanervi fino al 1934) per aver cantato e insegnato nella propria lingua materna.
Non potendo ovviamente l’interessata ritirare l’onorificenza di persona, questa è stata simbolicamente consegnata a Sylvie Jan, presidente di France-Kurdistan, il 10 dicembre nel corso di una pubblica manifestazione.
Originaria di Cizre, nel 2015 Nûdem Durak veniva arrestata e condannata a dieci anni e sei mesi per “promozione di propaganda curda”. L’anno successivo, senza altre accuse supplementari, la pena veniva prolungata a 19 anni.
Per far scomparire un popolo dalla faccia della terra non sempre è necessario ricorrere al genocidio. A volte può bastare l’assimilazione forzata, la distruzione delle tradizioni e della cultura etnica. Questo sembra essere il caso del popolo curdo, oppresso e calpestato, ma anche sottoposto appunto a questa forma subdola di etnocidio. In Turchia fino al 1990 anche soltanto le parole “curdo” e “Kurdistan” erano proibite. Si preferiva apostrofarli come “turchi di montagna”. Parlare in curdo era proibito, e l’interdizione colpiva anche la musica, le canzoni.
Attualmente viene concesso di parlare curdo in àmbito privato. A meno che non si affrontino argomenti delicati come la colonizzazione, l’assimilazione forzata, il saccheggio delle risorse naturali, la deportazione… In alternativa si può sempre usare la lingua curda per approvare, elogiare l’opera di civilizzazione della Turchia nei confronti dei curdi.
Per analogia è inevitabile qui ricordare un’altra militante curda ugualmente incarcerata per aver difeso e divulgato la lingua materna. Mozhgan Kavosi si trova dal 30 ottobre nel carcere iraniano di Tonekabon, dopo aver trascorso in isolamento 35 giorni in una cella dell’IRGC (i servizi segreti) presso il centro di detenzione di Nowshahr. Era stata prelevata dall’IRGC nella sua abitazione in seguito alle proteste del 22 settembre.
Stando a quanto diffuso dall’organizzazione per i diritti umani Hengaw, questa prigioniera politica sarebbe già da qualche giorno in sciopero della fame per protestare contro le indegne condizioni di detenzione. La cella, tra l’altro, sarebbe priva di riscaldamento.
Euskal Herria a fianco delle popolazioni martoriate
Nei giorni immediatamente successivi all’ennesima operazione militare di Ankara del 19 novembre, il movimento basco Askapena esprimeva in un comunicato la sua vicinanza solidale ai curdi del Bashur (Kurdistan del Sud, posto entro i confini iracheni) e del Rojava. Popolazioni martoriate dai ripetuti attacchi dell’esercito e dell’aviazione turchi. Condannando sia le evidenti intenzioni di Ankara di prendere il controllo dell’intera regione, sia l’impiego di gas asfissianti.
Per Askapena, l’obiettivo della Turchia sarebbe quello di “prendere il controllo del Medio Oriente diventandone la maggiore potenza regionale”. Anche per mascherare la propria debolezza di fronte a una profonda crisi interna, economica e politica.
Inoltre Askapena denuncia una (perlomeno presunta) complicità europea, in quanto “gran parte delle capitali europee utilizza la Turchia per mantenere i propri scambi commerciali con la Russia malgrado le sanzioni”.
Da segnalare le numerose manifestazioni organizzate in questi ultimi giorni dagli internazionalisti baschi (la vecchia “sinistra abertzale”) a sostegno del popolo curdo.