Mentre si hanno ulteriori conferme in merito al programma segreto per l’eliminazione fisica dei figli dei miliziani islamisti di Boko Haram, dalla Nigeria arrivano altre notizie inquietanti.
Nella denuncia dell’agenzia Reuters – definita falsa e infondata dal governo federale – si parlava di 10mila aborti forzati e di migliaia di bambini uccisi per “disinfettare la società”. E in questi giorni di festività natalizie, come accade sovente anche a Pasqua, si registrano violenze verso le comunità cristiane da parte di pastori fulani (o, secondo altra versione, di bande di predoni).
Due episodi risultano particolarmente gravi.
Secondo l’agenzia locale Hum Angle, nella zona di Kara, Stato di Kaduna, per ben tre giorni consecutivi “diversi villaggi cristiani sono stati attaccati da allevatori fulani armati al grido di Allahu akbar”. Tragico il bilancio: decine di abitazioni incendiate e circa una quarantina di vittime.
Si tratta di un’area già colpita pesantemente in passato da eventi simili, al punto che ormai gli sfollati (profughi interni) si contano a centinaia di migliaia.
In un altro assalto armato di cui si sarebbero resi responsabili i fulani, stavolta nei pressi di Eha Amufu, Stato di Enegu, sono morte una decina di persone. Qui soltanto una settimana prima, nel corso di un precedente attacco, erano rimaste uccise 25 persone, sempre appartenenti alla comunità cristiana.
Inquinatori seriali
Di segno diverso, la notizia secondo cui la filiale della Shell dovrà versare 15 milioni di euro come parziale risarcimento – seppure assai tardivo – per i danni ambientali nel Delta del Niger, la principale area petrolifera del Paese. Il contenzioso risale a circa quindici anni fa, quando alcuni contadini e pescatori dei villaggi di Goi e Oruma, sostenuti dalla ONG olandese Friends of the Earth, denunciarono la Shell per aver causato, con la fuoriuscita del greggio dagli oleodotti, l’impossibilità di sopravvivere per intere comunità dedite all’agricoltura e alla pesca.
Secondo la compagnia, invece, si trattava degli effetti di azioni di sabotaggio o di furti nei confronti degli oleodotti.
Di diverso parere la Corte d’Appello dell’Aja che nel gennaio 2021, dopo averla riconosciuta colpevole, ha condannato la multinazionale del petrolio al risarcimento. Sulla cui entità si è poi svolta una trattativa tra la ONG olandese e il condannato.
Per quanto riguarda il ruolo della Shell in Nigeria, basti ricordare l’esecuzione per impiccagione nel 1995 dello scrittore Ken Saro-Wiwa e di altri otto militanti del MOSOP (Movement for the Survival of the Ogoni People).
Accusata nel 1996 per il possibile coinvolgimento nella repressione, la Shell nel 2009 aveva patteggiato un risarcimento di oltre 15 milioni di dollari. Non in quanto si fosse riconosciuta colpevole, ma “per aiutare il processo di riconciliazione”. Anche in questo caso, documenti alla mano, dissentivano molte organizzazioni ecologiste e di difesa dei diritti umani.
In base a dati recenti, da quest’anno la Nigeria avrebbe perso il suo primato continentale come produttrice di petrolio (a favore dell’Angola). Ufficialmente a causa sia dei furti di greggio, sia per i numerosi oleodotti e raffinerie clandestini sorti nell’area.