Nata a Urfa, distretto turco di Suruç, nel 1965, la giornalista Ayşe Gökkan nel corso della sua vita ha subìto un’ottantina di arresti e detenzioni. La maggior parte dopo il 2009, quando era stata eletta sindaco del distretto di Nusaybin a Mardin con l’83 % dei voti. Un caso evidente di sistematica persecuzione intimidatoria.
Portavoce del movimento delle donne curde Tevgera Jinên Azad (tja), era già stata condannata nel 2020 a 18 anni di carcere per essersi “trovata in una zona sottoposta a giurisdizione militare” e per aver “causato danni materiali” non meglio specificati.
Processo e condanna erano la conseguenza di un’azione di disobbedienza civile risalente all’ottobre 2013. All’epoca la militante curda aveva protestato con uno sciopero della fame contro la costruzione di un muro alla frontiera con la Siria. In seguito era stata accusata di appartenenza al pkk (e quindi di “terrorismo”). La precedente condanna a 30 anni di prigione risaliva all’ottobre 2021 e in questi giorni il verdetto è stato sostanzialmente confermato (22 anni e sei mesi) dalla Corte di appello regionale di Diyarbakır.
In dettaglio: dodici anni per aver fatto parte della “direzione” del pkk, sette e mezzo per appartenenza al pkk e tre per propaganda a favore del pkk.
In passato Ayşe Gökkan veniva penalmente perseguitata (circa 200 le procedure a suo carico, soprattutto dopo essere stata eletta) anche per la partecipazione al movimento delle donne contro il patriarcato, e per aver preso parte allo sciopero della fame indetto dalla prigioniera politica ed ex deputata curda Leila Guven contro l’isolamento carcerato imposto a Öcalan.
Inoltre è in attesa di un altro processo alla corte di cassazione per una precedente condanna a sette anni e mezzo.