Dalla Martinica alla Nuova Caledonia, i territori d’oltremare sono percorsi da proteste e ribellioni, a cui il governo francese risponde con il coprifuoco e la repressione.
Nell’isola di Martinique (in creolo Matinik, “collettività territoriale francese d’oltremare” il suo status) il nuovo movimento di protesta per il costo eccessivo della vita, iniziato il primo di settembre, non sembra doversi raffreddare tanto presto. Tanto che il 18 settembre – in seguito alle recenti proteste – in alcuni quartieri del capoluogo Fort-de-France e di Lamentin è stato instaurato, per ordine del prefetto Jean-Christophe Bouvier, un coprifuoco dalle ore 21 alle 5 del mattino. Gli spostamenti notturni sono così proibiti “per una durata limitata rinnovabile” fino al 23 settembre (in particolare nell’area portuale e in quella commerciale di Dillon).
Nel comunicato delle autorità si denunciava, non del tutto a sproposito, come “le scene di caos e di saccheggio a cui assistiamo da giorni, e la violenza operata da bande di teppisti, sono inaccettabili. Sono i più deboli, i più indigenti a essere le prime vittime”.
Una settimana fa, nella notte tra venerdì e sabato, contro il commissariato di Fort-de-France venivano esplosi alcuni colpi di arma da fuoco (senza peraltro causare alcun ferimento). Anche il traffico del porto marittimo, per il quale transita il 98% delle merci, risentiva pesantemente delle proteste.
In seguito, nella notte tra il 17 e il 18 settembre, nel quartiere Dillon veniva dato alle fiamme un McDonald’s e venivano erette alcune barricate (in qualche caso poi date alle fiamme). Nella stessa zona una cinquantina di persone assaltavano un supermercato Carrefour, fuggendo poi in motocicletta dopo averlo saccheggiato (uno dei responsabili sarebbe stato arrestato). Per controllare la situazione sul posto era stato inviato uno squadrone di un centinaio di gendarmi.
Dall’inizio delle ultime contestazioni per il costo della vita sarebbero stati incendiati una dozzina (secondo altre versioni almeno una cinquantina) di veicoli, assaltati e saccheggiati una ventina di negozi (stando ad altre versioni almeno 35) e arrestate una quindicina di persone (dato su cui tutte le fonti, sia istituzionali sia dei rivoltosi, concordano). Tra i feriti da colpi di arma da fuoco, tre manifestanti (è probabile che altri abbiano preferito curarsi in proprio) e una decina di funzionari di polizia.
Oltre al coprifuoco, tra i provvedimenti urgenti anche l’arrivo di un consistente “rinforzo” di forze dell’ordine dalla Guyane e dalla Guadeloupe.
Tutto aveva preso il via il 1° settembre con l’appello in rete del Rassemblement pour la protection des peuples et des ressources afro-caribéennes (rpprac). Tra le richieste, un consistente abbassamento dei prezzi sui beni essenziali. La prima manifestazione di protesta, a cui partecipavano centinaia di persone, si era svolta all’interno di un centro commerciale. Nelle contestazioni successive non erano mancati momenti di tensione ed episodi di violenza.
Ancora una volta vien da dire “niente di nuovo”. Proteste contro il costo eccessivo della vita avevano già turbato in maniera ricorrente nei decenni precedenti questa isola delle Antille, dove il prezzo dei generi alimentari si aggira su un 40% in più rispetto all’Esagono. Come confermava un sindacalista di Force ouvrière consommateurs Martinique (afoc), “la collera qui si va manifestando o rimane latente almeno dal 2009”.
E proprio quindici anni fa uno sciopero generale di ampia portata, con cui si chiedeva un allineamento dei prezzi a quelli del “continente”, aveva letteralmente paralizzato le Antille francesi (oltre alla Martinica, Saint Martin, Saint-Barthélemy e Guadalupa).
Kanak ancora in azione
Nel frattempo anche la Nuova Caledonia (collettività francese d’oltremare sui generis) torna a infiammarsi se pur debolmente. Da giorni sono in corso operazioni di polizia nel quartiere di Saint-Louis. Tale “bastione indipendentista”, situato nel comune del Monte-Dore (conurbazione sud di Nouméa), corrisponde al territorio dell’omonima tribù composta da circa 1200 persone. Già noto per gli scontri ricorrenti (in particolare tra il 2001 e il 2004) tra gli indigeni kanak e la comunità wallisienne (immigrati provenienti dalle isole Wallis e Futuna, collettività d’oltremare francese separatasi dalla Nuova Caledonia nel 1959), era tornato alla ribalta per i numerosi posti di blocco qui eretti dagli indipendentisti nell’insurrezione del 2024.
Dopo alcune settimane di relativa quiete, nella notte tra il 18 e il 19 settembre due persone sono state uccise dal Groupe d’intervention de la Gendarmerie nationale (gign) portando a tredici il numero delle vittime dall’inizio della ribellione in maggio (tra cui due poliziotti). I gendarmi tentavano di arrestare una dozzina di rivoltosi kanak sospettati di aver aperto il fuoco contro le forze dell’ordine.
Nella mattinata di giovedì 19 settembre, alla notizia dei decessi, decine di persone si erano riunite per esprimere la loro protesta, ma venivano respinte con diversi lanci di lacrimogeni.
Le contestazioni, iniziate il 13 maggio, alla riforma del corpo elettorale (poi sospesa, almeno temporaneamente) hanno già causato centinaia di feriti, danni materiali non indifferenti (si calcola per circa 2,2 miliardi di euro) e numerosi arresti (circa 2500) di insorti kanak.
A Saint-Louis le forze dell’ordine per ora si sono insediate a qualche chilometro dal quartiere – in mano agli indipendentisti – controllandone le entrate. Gli abitanti possono accedervi soltanto appiedati e mostrando i documenti ai blocchi stradali.
Intanto dal 21 al 24 settembre il coprifuoco, finora dalle ore 22 alle 5 del mattino, dovrebbe essere intensificato dalle 18 alle 6. Una risposta, stando alle dichiarazioni del generale Nicolas Matthéos, comandante della gendarmeria di Nouvelle-Calédonie, ad alcuni recenti episodi, quali “lanci di pietre e di bottiglie molotov sui gendarmi, tentativi di barricate, un principio di incendio al museo, la distruzione di un trasformatore elettrico e l’incendio di una abitazione a Bourail”. Tutti eventi conseguenti alla notizia della morte di due militanti kanak.
Niente di paragonabile comunque, ha precisato, a quanto avvenuto in maggio. Anche se le strade principali della parte meridionale della Grande Terre, l’isola maggiore della Nouvelle-Caledonie, rimangono ancora impercorribili.