Anche se gran parte dei media sembrano essersene accorti solo ora, interpretandoli come una risposta all’attentato del 23 ottobre, gli attacchi militari dello Stato turco contro i curdi, sia in Rojava sia in Bashur (Kurdistan del Sud, entro i confini iracheni) non sono iniziati da ieri. In questi giorni si sono solo intensificati. Causando comunque altre perdite di vite umane e gravi danni alle infrastrutture essenziali.
È del 25 ottobre la notizia della morte di un’altra bambina, Ferha Alberho (11 anni), nel nord della Siria. È stata uccisa a Manbij, villaggio di Bineye, mentre altri due minori sono rimasti feriti. Si tratta di suo fratello Semir Alberho (8 anni) e del cugino Ebdulrehman Alberho (13 anni).
Contemporaneamente l’aviazione di Ankara bombardava con i droni un magazzino per il grano nel villaggio di Rovî, a Kobanê, causando il ferimento di diversi lavoratori, alcuni in maniera grave.
Stessa marcia funebre nel nord dell’Iraq (Bashur). Secondo fonti locali, nella notte tra il 24 e il 25 ottobre sono stati colpiti una decina di obiettivi, utilizzando aerei da caccia e droni, per un totale di oltre una quindicina di attacchi. In mancanza di dati precisi sul numero delle vittime, sono invece già pervenuti i nomi di alcune delle località bersagliate: Çil Mêra e Amûd, Xeta Ereban, Girê Şehîd Şengal, Sîba Şêx Xidir, Quartiere di Hey Nasir, Valle di Şilo.
Anche se gli attacchi turchi non erano mai cessati, le ultime operazioni sono state interpretate come una ritorsione, una rappresaglia, per quanto era accaduto a Kahramankazan. Località turca nel distretto di Ankara, dal nome spesso abbreviato semplicemente in Kazan. Coincidenza, forse non casuale: proprio mentre Erdogan si incontrava in un’altra Kazan – la capitale del Tatarstan – con Putin e una trentina di altri capi di Stato per il 16° vertice dei brics.
Riepiloghiamo.
Il 23 ottobre un commando composto da due militanti curdi, una donna e un uomo, poi abbattuti dalle forze dell’ordine, avevano attaccato con granate e fucili d’assalto la sede di Turkish Aerospace Industries (tusaş) a Kahramankazan, circa 40 chilometri a nord di Ankara. Causando cinque vittime e oltre una ventina di feriti tra il personale dell’azienda, nota per la produzione di droni, compresi, stando alle denunce dei curdi, quelli “utilizzati dall’aviazione turca per bombardare quotidianamente il Kurdistan”.
Episodio assai inquietante. Sia per la perdita di vite umane, sia per la possibile conclusione negativa (ancor prima dell’inizio) dei colloqui per eventuali accordi di pace. Non sono poi mancate ipotesi un tantino azzardate, come quella di un possibile coinvolgimento del Mossad.
L’attacco veniva poi rivendicato – tramite l’agenzia Firat – dal comando del quartier generale del Centro di Difesa Popolare (hsm).
Sempre stando al comunicato di hsm, l’operazione (di fatto suicida) era opera di un gruppo autonomo del “Battaglione degli Immortali” formato da Asya Alî (Mine Sevjin Alçiçek) e Rojger Hêlîn (Ali Örek). Pianificato da tempo, non avrebbe avuto “alcun legame con l’agenda politica discussa in Turchia nell’ultimo mese”. Ossia, lo scopo non era quello di sabotare le eventuali trattative tra Ocalan e governo turco.
Obiettivo dei due militanti era la Turkish Aerospace Industries in quanto “centro produttore delle armi che hanno massacrato migliaia di civili, compresi donne e bambini, in Kurdistan”.
Qui in febbraio veniva realizzato il prototipo del supercaccia Kaan (variante dei Lockheed F35) in grado di operare sia con pilota che come drone.
Stando a quanto riporta “la Repubblica”, la Turkish Aerospace Industries collabora con l’Italia (in particolare con Leonardo) nella produzione dell’addestratore Huriet (in versione caccia-bombardiere), dell’elicottero da combattimento T129 Atak (derivato dal Mangusta italico e, pare, fornito anche al Pakistan) e delle fusoliere per gli elicotteri AW139 dell’Augusta.
Nel comunicato di hsm si definiva la tusaş un “obiettivo militare” e di “non voler attaccare i civili” (ma le vittime sarebbero tutte tecnici, dipendenti dell’azienda). Inoltre veniva fatta “autocritica per altre azioni” compiute in precedenza e si esprimeva rammarico per la “vittima civile del 23 ottobre” (in riferimento al tassista).
Con la stessa sigla “Battaglione degli Immortali”, nel 2023 era stato rivendicato un attentato contro il direttorato della sicurezza di Ankara.
Immediata, si diceva, la ritorsione turca che già nella notte tra il 23 e il 24 ottobre compiva decine di raid aerei sia nel nord dell’Iraq sia in Rojava, colpendo stazioni di servizio, centrali per la fornitura di elettricità e dell’acqua, forni per il pane, officine, ospedali, scuole, raffinerie, check- point… e uccidendo numerosi civili tra cui alcuni bambini (decine i feriti).
Secondo fonti curde, in data 26 ottobre gli attacchi turchi sarebbero già stati ben 685 (99 con aerei da ricognizione, 13 con aerei da caccia e 573 con colpi di artiglieria). Alla stessa data le vittime accertate, in maggioranza civili, sarebbero 17, di cui 14 civili e 3 delle forze di sicurezza. Una cinquantina i feriti, 39 civili e 9 delle forze di sicurezza.
Per Hesen Koçer, co-presidente aggiunto del consiglio esecutivo dell’Amministrazione Autonoma Democratica del Nord e dell’Est della Siria, questi attacchi andrebbero classificati come “genocidio”. L’autentico obiettivo sarebbe quello di “costringere gli abitanti a emigrare realizzando una vera e propria sostituzione etnica nella regione”. Non ci sarebbero “altre ragioni per tali aggressioni che tuttavia esprimono esattamente quale sia la mentalità dello Stato turco nei confronti dei curdi”, tutti indistintamente classificati come “terroristi da eliminare”; ritenendo evidentemente che “ogni curdo in qualsiasi parte del Kurdistan costituisce un pericolo oggettivo per la Turchia”.
In sintesi “lo Stato turco insiste nel voler distruggere il popolo curdo. Prima avevano parlato di pace e di soluzione politica, poi hanno ripreso ad attaccare”.
È ormai ben percepibile e diffusa la sensazione che in Medio Oriente si stanno producendo cambiamenti significativi. E questo potrebbe indurre Ankara sia a più miti consigli (mostrandosi fautrice di pace e accettando di dialogare con il movimento curdo), sia a inasprire l’opera di repressione-liquidazione (al limite dell’etnocidio). Proprio per impedire che i curdi ne possano beneficiare.
Il recente incremento degli attacchi nel nord e nell’est della Siria e nel nord dell’Iraq sembra una conferma più della seconda che della prima ipotesi. Massacrare donne, anziani e bambini, annichilire abitazioni e villaggi, potrebbe configurarsi come crimine di guerra. In più occasioni il movimento curdo ha chiesto all’Unione Europea, agli Stati Uniti e alla Russia di “rompere il silenzio” su quanto avviene nel Kurdistan. Così come si è domandato “perché le potenze internazionali non chiudono gli spazi aerei all’aviazione turca e invece ne tollerano la politica genocida consentendo gli attacchi contro i curdi”.
Vite in carcere
Oltre un anno fa, il 10 ottobre 2023, veniva lanciata una campagna internazionale e globale denominata “Libertà per Abdullah Ocalan e una soluzione politica alla questione curda”. Inevitabile paragonarla a quella degli anni settanta e ottanta per la liberazione di Nelson Mandela. Sappiamo che Mandela aveva consumato ben 27 anni della sua vita in carcere, in gran parte a Robben Island.
Così Ocalan, ancora incarcerato (dalla sua cattura in Kenia del 1999) nell’isola-prigione di İmralı, dove per circa 35 mesi non ha avuto contatti con il mondo esterno
Intellettuali, scrittori, esponenti della società civile e militanti di 75 Paesi hanno organizzato in circa 120 città conferenze stampa e seminari per chiederne la liberazione, insieme a una “soluzione politica” per la questione curda. Inoltre sono stati organizzati eventi per leggere i libri di Ocalan a cui sono state spedite centinaia di migliaia di cartoline (anche se non sappiamo se siano pervenute).
Sul recente incontro tra il leader curdo prigioniero e un membro della sua famiglia, il deputato del partito dem e nipote di Abdullah Ocalan, Ömer Ocalan (da cui sarebbe scaturita una proposta per la soluzione del conflitto) è intervenuta anche Leyla Zana definendolo “un raggio di speranza per tutti coloro che denunciano i conflitti e le guerre”.
Zana ha dichiarato: “Tutti noi ci troviamo di fronte alla responsabilità storica di por fine a questa guerra che dura ormai almeno da un secolo”. Aggiungendo: “Noi che abbiamo sete di pace, saremo al fianco di coloro che tentano di trasformare questa evoluzione positiva della situazione [cioè la visita a Ocalan] in una soluzione democratica sul piano giuridico e politico. Quelli che gettano i semi della pace in Medio Oriente devono sapere che noi continueremo a innaffiarli”. Ben sapendo comunque quanto “il problema è profondo, pesante”.
Ma intanto, trattative in corso o meno, per Ankara rimangono una priorità la corsa al riarmo e gli investimenti nell’industria della difesa. Infatti la Turchia ha già previsto per il 2025 un aumento del 165% (rispetto al 2024) delle spese militari. A tale scopo l’akp (il partito di Recep Tayyip Erdogan) ha lanciato la proposta di tassare le carte di credito. Già in avanzato stadio di elaborazione un disegno di legge che prevede una tassa di 750 lire turche (circa 20 euro) da applicare alle carte con una linea di credito massima fino a 100.000 lire (circa 2700 euro).