Dopo Damasco il conflitto prosegue a Manbij

Intanto un pensiero caritatevole per quanto stanno vivendo i nostrani “campisti” di fronte alla dissoluzione del loro avamposto siriano, quello finora presieduto dal fuggitivo Bashar al-Assad. Immagino come ci si debba sentire se, soltanto due o tre giorni fa, lo si qualificava come potenziale futura “guida del campo antimperialista”. Peggio ancora per chi aveva appena definito l’astuto e apparentemente ondivago Erdogan un “antimperialista”. O anche un “antifascista” (non invento niente, basta “googlare”) per il suo sostegno alla causa dell’autoderminazione del popolo palestinese. Sebbene nel frattempo fosse ancora impegnato a perseguitare i curdi ovunque: dal Bakur (Turchia) al Bashur (Iraq) al Rojava (dove ora sta scatenando i suoi mercenari del sedicente Esercito Nazionale Siriano).
Penso a quanto sia dura da mandar giù. Con Damasco caduta, dopo Aleppo e Hama, quasi senza colpo ferire in mano ai riciclati di al-Qaeda.
Passiamo ora a considerare le legittime speranze (e magari anche qualche piccola incongruenza) emerse nelle dichiarazioni di Mazloum Abdi, comandante delle sdf (forze democratiche siriane).
Egli scrive nel suo recente messaggio che la Siria “sta vivendo momenti storici e siamo di fronte alla caduta dell’autoritario regime di Damasco. Cambiamento che rappresenta una opportunità per costruire una nuova Siria fondata sulla democrazia e la giustizia che garantisca i diritti di tutti i siriani”.
Gli fa eco il copresidente del dipartimento di Relazioni Estere dell’aadnes, l’amministrazione autonoma del Nord: “L’epoca della tirannia è finita. Voltiamo pagina rispetto al passato per unire gli sforzi dei siriani per un futuro migliore basato sulla giustizia e sulla democrazia”.
Dichiarazioni concilianti che potrebbero apparire come una mano tesa agli autoproclamati “ribelli e insorti” entrati a Damasco. Tatticamente comprensibili, ma forse un tantino azzardate, viste le origini islamiste di tali personaggi (Hayat Tahrir al-Sham alias al-Nusra in primis) e soprattutto ben sapendo che l’offensiva del 27 novembre, condotta da hts e sna, come minimo ha goduto del sostegno di Ankara. Con l’intento di annullare definitivamente l’esperienza del confederalismo democratico, espressione del protagonismo politico dei curdi.
Per cui nei territori autogestiti dall’aadnes, mentre la popolazione scendeva in strada per festeggiare comunque la fine del regime, contemporaneamente veniva decretato lo stato di emergenza, in vista delle probabili ulteriori aggressioni al Rojava da parte dei proxy di Ankara (ens, ma non solo). Ovviamente non credo proprio che i curdi rimpiangeranno Assad. Ma temo che la questione sia ben lontana dall’essere risolta.
Riassumendo.
Con la caduta di Damasco e la fuga ingloriosa degli Assad nella notte tra il 7 e l’8 dicembre, si è aperta una nuova fase. Anche per i funzionari di alto livello del regime che ora – temendo di perdere non solo la vita, ma forse anche la “testa”, letteralmente – si dichiarano pronti a collaborare con i vincitori per una “transizione pacifica”. Mentre dilagano le immagini delle statue degli Assad (padre, figlio e qualche altro parente) abbattute, anche in Rojava si festeggiava, dicevo. Ma soprattutto si combatteva per arginare i ripetuti, intensi attacchi dell’ens sui diversi fronti. In particolare – da est, ovest e sud – su Manbij (governatorato di Aleppo, distretto di Manbij). Comunque finora sempre respinti, nonostante il contributo diretto dell’esercito turco.
Non si tratta – va chiarito – né di “incidenti isolati”, né del protrarsi di tensioni dovute agli eventi convulsi degli ultimi giorni. E non sono destinati a rientrare, esaurirsi in breve tempo con la “normalizzazione” del Paese.
Persisteranno a lungo, tanto quanto la Turchia vorrà proseguire nel suo intervento militare – sostanzialmente anti-curdo – in Siria. Come confermava un precedente comunicato del consiglio militare di Manbij, secondo cui le ripetute aggressioni fanno parte di un vasto piano, di una vera e propria “strategia di occupazione e destabilizzazione” del territorio siriano.

I ribelli dell’esercito nazionale siriano hanno emesso l’ordine di attaccare i curdi a Manbij, a nord di Aleppo, nella prospettiva di conquistare la città (Lion Udler).

Anche gli ultimi attacchi sono avvenuti utilizzando droni e colpi di artiglieria pesante. A cui si sono aggiunte offensive sul terreno contro i villaggi di Jabb Makhzoum, Jableh Al-Hamra, Tal Aswad, Al-Hota e Tal Taurine. Attacchi pianificati (come avrebbe appurato l’intelligence curda) da un centro operativo congiunto, composto sia da capi dei gruppi jihadisti e mercenari, sia da ufficiali dell’esercito turco.
Riuniti nelle sdf (forze democratiche siriane), i consigli militari di Manbij e di Al-Bab finora hanno respinto il nemico che ha lasciato sul terreno molti suoi combattenti.
Vediamo la cosa in dettaglio.
Risale a circa mezzogiorno di domenica 8 dicembre l’ultima dichiarazione del centro stampa del consiglio militare di Manbij. Ricorda che negli ultimi dieci-dodici giorni le aggressioni operate dall’esercito occupante turco (con l’aviazione, ma non solo) e dai suoi accoliti si contano a decine. Anche se “tutti questi attacchi sono stati sventati”, il comunicato riconosce che “le bande [ens e jihadisti vari] hanno intesificato le aggressioni su tutti i fronti”. Oltre a quello di Manbij, “da Togar fino a quelli di Ewn Dadat, Arab Hasan [come Manbij, nel governatorato di Aleppo], Erima” (ugualmente nel governatorato di Aleppo, distretto di al-Bab).
In questi ultimi giorni, alcuni gruppi con veicoli blindati e con l’appoggio aereo dello Stato turco avevano tentato di entrare nella città da sud. Ma presto cadevano in un’imboscata delle milizie curde. Intanto alcune cellule, in precedenza già infiltrate in città, si attivavano per “seminare paura e caos tra la popolazione”. Poi gli scontri, definiti “molto violenti”, proseguivano anche nella giornata dell’8 dicembre, con maggiore intensità in corrispondenza dei punti di accesso alla città.
Altri attacchi delle bande ausiliarie di Ankara vengono segnalati nel distretto di al-Bab contro il villaggio di Erima. Incontrando tuttavia la resistenza del consiglio militare di Bab e delle milizie di Jabhat Al Akrad (in curdo Eniya Kurdan).
Il messaggio si conclude ricordando le migliaia di membri del consiglio militare di Manbij caduti in difesa della città combattendo contro i terroristi di vario genere, ordine e grado che infestavano e infestano i territori a ovest dell’Eufrate: “Sempre spalla a spalla con il popolo di Manbij, ieri contro l’isis, oggi contro le bande”.