Conflitti inter-etnici nel Manipur: un esempio da manuale

Popoli e Stati, o se preferite nazioni e Stati, spesso non coincidono; ed è questo, in fondo, lo spunto principale del nostro lavoro qui a “Etnie”. Antichi popoli con una loro cultura, identità e lingua si trovano divisi da confini imposti: parte al di qua, parte al di là delle fontiere. In Europa non c’è che l’imbarazzo della scelta (baschi, tirolesi, catalani…) e naturalmente questo fornisce ai governi centrali l’occasione per praticare il noto divide et impera.
Stessa musica nel nord-est dell’India. Da decenni il governo del Manipur a guida bjp (Bharatiya Janata Party, partito del popolo indiano) fa ampio uso di arresti, vigilantes filogovernativi e repressione del dissenso sia nei confronti dei meitei, soprattutto della componente minoritaria dei kuki, zomi e hmar.
Mentre i meitei abitano prevalentemente nella valle di Imphal, dove si trova la capitale dello Stato, le colline settentrionali sono abitate dalla comunità naga. Quanto ai kuki-zomi-hmar, la maggior parte risiede sulle colline meridionali e nelle aree collinari intorno alla valle di Imphal.
Tornando alle politiche repressive del governo, in passato godette di una certa notorietà il caso del giornalista meitei Kishorechandra Wangkhem, arrestato a più riprese a partire dal 2018 per le sue critiche al bjp e al primo ministro Narendra Modi.
Più recentemente, prendendo a pretesto l’intensificarsi degli scontri etnico-religiosi tra la comunità dei kuki (in maggioranza cristiani) e quella dei meitei (in maggioranza indù), il governo centrale ha stabilito di installare una barriera-recinzione lunga oltre 1600 chilometri al confine con il Myanmar (ufficialmente su richiesta dei meitei) dove vivono alcune comunità kuki. Incontrando però le proteste delle organizzazioni kuki della città indiana di frontiera Moreh (distretto di Tengnoupal), importante snodo per i traffici transfrontalieri e dove si erano registrati gli scontri più violenti. Esse si sono opposte pubblicamente con un appello diffuso il 14 aprile – e sottoscritto anche da organizzazioni mizo e naga – al progetto divisivo in quanto costituirebbe “una minaccia per lo stile di vita e la cultura delle comunità”. Respingendo nel contempo l’accusa del ministro dell’Interno, Amit Shah, secondo cui i kuki che attraversano la frontiera provenendo dal Myanmar sarebbero “migranti illegali”.
Stessa situazione e stesse proteste anche nel vicino Nagaland (altro Stato della regione nord-orientale dell’India) contro i progetti di barriera-recinzione del confine e per la conservazione del regime di libero movimento, in quanto “ogni villaggio naga è diviso secondo i propri costumi e tradizioni. Nonostante il confine, i naga si considerano ancora un unico popolo. Il popolo naga, quindi, non accetterà nulla che possa dividere la loro terra ancestrale”.
In tutta evidenza, quella adottata dal governo è una strategia con cui si vuole disgregare sul nascere ogni possibile coalizione di opposizione unitaria tra le popolazioni autoctone. Alimentandone le reciproche diffidenze e istigandole una contro l’altra.