L’impegno del governo fa sì che, dall’esterno, la Spagna appaia come un Paese normale, simile agli altri, con una sufficiente coesione nazionale; ma dall’interno emerge ovunque il conflitto permanente tra due nazioni: da un lato la Castiglia e i territori che ha assorbito, dall’altro la parte della Catalogna che si trova in Spagna, con capitale Barcellona (la Catalogna ha una parte nello Stato francese, con capitale Perpignan) e i territori fratelli in cui si parla anche il catalano (Paese Valenciano e Isole Baleari). Sono etnicamente diverse, vi si parlano lingue diverse, ci sono modi di essere diversi e, se facessero parte di Paesi diversi (come era in passato) tutti lo troverebbero normalissimo. Esistono anche due realtà più piccole che mal si adattano alla Spagna: i Paesi Baschi e la Galizia.
In altre parole lo Stato spagnolo non è mai riuscito a creare un sentimento comune, a causa delle differenze preesistenti e di un atteggiamento costantemente impositivo e irrispettoso. La Catalogna non ha mai accettato questa annessione violenta. La Castiglia ha cercato di nascondere le sue imposizioni, ma ogni 50 anni ha dovuto soffocare violentemente le rivolte sociali e i tentativi di indipendenza della Catalogna. Questo va avanti da tre secoli: la penultima volta è stata durante la guerra civile spagnola e la dittatura di Franco (1936-1975) e l’ultima dal 2017 a oggi, con la repressione dell’attuale movimento indipendentista.
Dopo il referendum (hanno votato 2,3 milioni di persone con il 90% a favore della secessione),
il 27 ottobre 2017 il parlamento catalano ha solennemente dichiarato l’indipendenza della Catalogna, che rimane politicamente in vigore. L’unico motivo per cui non è stata resa effettiva è perché la Spagna l’ha impedita con tutta la forza della legge e della polizia, minacciando un bagno di sangue tramite l’esercito.
Otto anni dopo, la Spagna continua a imporsi con la forza e non ha offerto alcuna soluzione o alternativa. Madrid ha semplicemente ignorato la volontà catalana, e il suo unico obiettivo è quello di pacificare la rivolta della colonia e normalizzare la situazione secondo i propri interessi nazionali. Sta facendo valere tutti i possibili elementi subliminali per diluire e cercare di far scomparire la diversità catalana che persiste dalla fondazione dello Stato spagnolo.
In ricordo della dichiarazione di indipendenza, un gruppo di attivisti ha camminato per 15 giorni, percorrendo i 215 km da Salses (nella Catalogna francese) per arrivare a Barcellona lo scorso 27 ottobre, chiarendo che il sentimento catalano di non voler essere governati da altri rimane intatto.

La “camminata” da Salses a Barcellona (foto di Albert Salamé).

Poltrone in bilico

E questo avviene proprio mentre il partito indipendentista catalano Junts, guidato da Carles Puigdemont, già presidente della Catalogna nel 2017, ha appena ritirato il suo indispensabile sostegno al governo di Pedro Sánchez, che ora non ha più la maggioranza parlamentare.
Finora Puigdemont l’aveva appoggiato nella speranza di poter concordare con lui la fine della persecuzione giudiziaria, la fine del saccheggio economico della Catalogna, l’impegno della Spagna a ottenere l’ufficialità della lingua catalana nella ue, il riconoscimento del conflitto politico tra Catalogna e Spagna e, soprattutto, una via d’uscita democratica per esercitare l’autodeterminazione con garanzie di rispetto da parte di Madrid.
Il governo di Sánchez aveva fatto molte promesse, approvando, con il freno a mano tirato, alcune misure, ma assicurandosi sempre che il contesto non consentisse loro di rappresentare un progresso significativo. Per questo motivo, Junts si è vista costretta a ritirare il proprio sostegno e, d’ora in avanti, Sánchez non avrà la maggioranza per approvare nulla… anche se ha già dichiarato che, a differenza di quanto accadrebbe in qualsiasi altro Paese europeo, non scioglierà il governo né indirà elezioni, tentando di mantenere il potere come potrà.

Questo governo, insomma, potrebbe cadere in qualsiasi momento. L’unica scusa per rimanere in sella è lo spauracchio di un governo di destra (pp e vox). Così Sánchez e soci evitano di affrontare il problema strutturale dello Stato centrale, il quale finge che non esista la determinazione catalana di liberarsi della sudditanza a Madrid e di autogovernarsi come qualsiasi altra nazione d’Europa.