Il 19 dicembre 1943 i rappresentanti delle comunità provenzali e valdostane stilarono, a Chivasso, una carta dei diritti delle popolazioni alpine. II documento ritenuto una pietra miliare nella storia dell’autonomismo non fu praticamente preso in considerazione dallo Stato italiano nato dalla Resistenza
Noi popolazioni delle vallate alpine constatando che i venti anni di mal governo livellatore ed accentratore sintetizzati dal motto brutale e fanfarone di “Roma doma” hanno avuto per le nostre valli i seguenti dolorosi e significativi risultati:
a) Oppressione politica attraverso l’opera dei suoi agenti politici ed amministrativi (militi, commissari, prefetti, federali, insegnanti) piccoli despoti incuranti ed ignoranti di ogni tradizione locale di cui furono solerti distruttori;
b) Rovina economica per la dilapidazione dei loro patrimoni forestali ed agricoli, per l’interdizione della emigrazione con la chiusura ermetica delle frontiere, per l’effettiva mancanza di organizzazione tecnica e finanziaria dell’agricoltura, mascherata dal vasto sfoggio di assistenze centrali, per la incapacità di una moderna organizzazione turistica rispettosa dei luoghi; condizioni tutte che determinarono lo spopolamento alpino;
c) Distruzione della cultura locale per la soppressione della lingua fondamentale locale, laddove esiste, la brutale e goffa trasformazione dei nomi e delle iscrizioni locali, la chiusura di scuole e di istituti locali autonomi, patrimonio culturale che è anche una ricchezza ai fini dell’emigrazione temporanea all’estero; affermando:
a) che la libertà di lingua come quella di culto è condizione essenziale per la salvaguardia della personalità umana;
b) che il federalismo è il quadro più adatto a fornire le garanzie di questo diritto individuale e collettivo e rappresenta la soluzione del problema delle piccole nazionalità e la definitiva liquidazione del fenomeno storico degli irredentismi, garantendo nel futuro assetto europeo l’avvento di una pace stabile e duratura;
c) che un regime federale repubblicano a base regionale e cantonale è l’unica garanzia contro un ritorno della dittatura, la quale trovò nello stato monarchico accentrato italiano lo strumento già pronto per il proprio predominio sul Paese;
fedeli allo spirito migliore del Risorgimento dichiariamo quanto segue:
a) Autonomie politiche amministrative.
1) Nel quadro generale del prossimo stato italiano che economicamente ed amministrativamente auspichiamo sia organizzato con criteri federalistici, alle valli alpine dovrà essere riconosciuto il diritto di costruirsi in comunità politico-amministrative autonome sul tipo cantonale;
2) come tali ad esse dovrà comunque essere assicurato, quale che sia la loro entità numerica, almeno un posto nelle assemblee legislative regionali e cantonali;
3) l’esercizio delle funzioni politiche ed amministrative locali (compresa quella giudiziaria) comunali e cantonali, dovrà essere affidato ad elementi originari del luogo o aventi ivi una residenza stabile di un determinato numero di anni che verrà fissato dalle assemblee locali.
b) Autonomie culturali e scolastiche.
Per la loro posizione geografica di intermediario tra diverse culture, per il rispetto delle loro tradizioni e della loro personalità etnica, e per i vantaggi derivanti dalla conoscenza di diverse lingue, nelle valli alpine deve essere pienamente rispettata e garantita una particolare autonomia culturale linguistica consistente nel:
1) diritto di usare la lingua locale, là dove esiste, accanto a quella italiana, in tutti gli atti pubblici e nella stampa locale;
2) diritto all’insegnamento della lingua locale nelle scuole di ogni ordine e grado con le necessarie garanzie nei concorsi perché gli insegnanti risultino idonei a tale insegnamento. L’insegnamento in genere sarà sottoposto al controllo o alla direzione di un consiglio locale;
3) ripristino immediato di tutti i nomi locali.
c) Autonomie economiche.
Per facilitare lo sviluppo dell’economia montana e conseguentemente combattere lo spopolamento delle vallate alpine, sono necessari:
1) un comprensivo sistema di tassazione delle industrie che si trovano nei cantoni alpini (idroelettriche, minerarie, turistiche, di trasformazione, ecc.) in modo che una parte dei loro utili torni alle vallate alpine, e cioè indipendentemente dal fatto che tali industrie siano o meno collettivizzate;
2) un sistema di equa riduzione dei tributi, variabile da zona a zona a seconda della ricchezza del terreno e della prevalenza di agricoltura, foreste o pastorizia;
3) una razionale e sostanziale riforma agraria comprendente:
a) l’unificazione per il buon rendimento dell’azienda, mediante scambi e compensi di terreni e una legislazione adeguata della proprietà familiare agraria oggi troppo frammentaria;
b) l’assistenza tecnico-agricola esercitata da elementi residenti sul luogo ed aventi ad esempio delle mansioni di insegnamento nelle scuole locali di cui alcune potranno avere carattere agrario;
c) il potenziamento da parte delle autorità locali della vita economica mediante libere cooperative di produzione e consumo;
4) il potenziamento dell’industria e dell’artigianato, affidando all’amministrazione regionale cantonale, anche in caso di organizzazione collettivistica, il controllo e l’amministrazione delle aziende aventi carattere locale;
5) la dipendenza dell’amministrazione locale delle opere pubbliche a carattere locale e il controllo di tutti i servizi a concessione aventi carattere pubblico.
Questi principi noi rappresentanti delle Valli Alpine, vogliamo vedere affermati da parte del nuovo Stato Italiano, così come vogliamo che siano affermati anche nei confronti di quegli italiani che sono e potrebbero venire a trovarsi sotto il dominio politico straniero.