Dai Celti agli Slavi, una ricca panoramica di lingue da studiare; ma soprattutto da parlare
Premettiamo subito due osservazioni fondamentali:
1) il territorio dell’attuale Repubblica Italiana si estende a racchiudere territori culturali e linguistici diversi appartenenti ai grandi blocchi linguistici slavo, germanico, neolatino occidentale, neolatino orientale; oltre a comprendere l’intera Sardegna, la cui lingua occupa una posizione intermedia ed autonoma tra il blocco neolatino occidentale e quello orientale, e le piccole isole linguistiche catalana ad Alghero, armena nel Veneto, greche ed albanesi disseminate lungo la penisola appenninica ed in Sicilia;
2) i due blocchi di lingue europee chiamate a vario titolo “neolatine” , l’occidentale e l’orientale, sono a contatto tra loro lungo un antico e preciso confine etnolinguistico, che corre per intero all’interno della Repubblica Italiana, e ne taglia nettamente in due – da mare a mare – il territorio.
Si tratta della linea irregolare che corre da Marina di Carrara (nella Lunigiana), sul Mar Ligure, a Senigallia, sull’Adriatico, di poco al Sud dello spartiacque appenninico emiliano-peninsulare; quanto è parlato al Nord costituisce (assieme alle lingue neolatine della Svizzera, della regione francese e della penisola iberica) l’area “neolatina occidentale”, mentre quanto è parlato lungo la penisola costituisce (con il Corso, il Siciliano ed il Rumeno ed alcune altre parlate a questo simili) l’area “neolatina orientale”.
Tale confine risale, nella sua configurazione attuale, alla linea più meridionale di massima celtizzazione (attestatasi 2500 anni fa), ma non a caso si è assestato presso linee di equilibrio etnico e culturale assai più antiche: da millenni infatti le regioni padane, il Veneto, e l’attuale Friuli sono parte integrante del corpo continentale europeo e per millenni la penisola italica è stata un ponte, se non una vera “isola” mediterranea.
È significativo come intorno a questo preciso, plurimillenario, stabile e profondo confine si tenti sistematicamente di levare cortine di silenzio, e di definire “razzista” chi nota le differenze tra nord e sud, quasi non fosse sull’analisi delle differenze che si può costruire la tolleranza, il rispetto.
Noi prendiamo dunque questo reale e scientifico dato di fatto come punto geografico e storico di osservazione per studiare le lingue che al di là ed al di qua di esso si parlano, ed iniziamo la nostra indagine spaziando tra la linea Lunigiana-Senigallia e l’arco alpino.
Il quadro etnico
La discesa dal Centro Europa all’Adriatico, alla metà del secondo millennio avanti Cristo, della nazione indoeuropea dei Veneti ed il loro stabilirsi e consolidarsi tra il lago di Garda e la Livenza ed oltre, e tra le Alpi e il Po; l’arrivo, mille anni dopo, dei Celti, che ne circondarono da ogni lato il territorio senza però superarne le linee di maggiore concentrazione, subendone anzi l’influenza; il conseguente concentrarsi presso l’attuale Provenza e lungo l’Appennino Ligure dell’antico e bellicoso popolo non indoeuropeo dei Liguri, che saranno solo indirettamente e superficialmente celtizzati; l’arrivo, a partire dal III–II secolo a.C., di nuclei di “Romani” o di elementi latinizzati che colonizzeranno in maniera assai discontinua e con diverse intensità la Liguria, la Gallia Cisalpina, le Alpi, il Friuli, il Norico, mentre il Veneto ne sarà pressoché esente; ed infine l’affermarsi della lingua latina quale linguaggio di uso universale su gran parte d’Europa, anche su territori non conquistati (a lato delle lingue originarie, non soppiantandole), sono gli elementi fondamentali che determineranno la lenta evoluzione del panorama linguistico dell’area in esame verso forme e lingue progressivamente (ed in modi distinti a seconda delle classi sociali) latinizzate. Successivamente all’apporto gotico al Veneto, ed a quello longobardo concentrato soprattutto nel Friuli e in Lombardia, gli influssi d’oltralpe, d’oltrappennino e d’oltremare non faranno che apportare correzioni ed integrazioni limitate, non sostanziali modifiche, al quadro suesposto; mentre al passaggio tra il VI ed il VII secolo la comparsa e lo stanziamento di popoli nuovi (gli Sloveni dall’Est, e le avanguardie germaniche, o germanizzate, dalle attuali Boemia e Baviera) sommergeranno a poco a poco le aree celtolatine a noi più prossime lungo l’asse del Danubio e dei suoi affluenti di destra.
Questo breve excursus è necessario per poter meglio comprendere la fondamentale ripartizione dell’area in esame:
a) un’ampia area celtolatina, intimamente connessa a quella estesa su gran parte della regione francese, raccordata in Liguria a un’entità singolare a essa solo parzialmente omologabile e particolarmente conservativa; quest’area occupa il versante Nord dell ’Appennino Tosco-Emiliano (dove confina con uno stacco nettissimo con l’area “neolatina orientale”), la restante Gallia Cisalpina e buona parte della regione alpina (dove confina con linguaggi germanici) e, insinuandosi tra l’area tirolese e quella veneta, continua lungo una stretta fascia dolomitica fino a comprendere la Carnia e la pianura friulana, chiuse all’Est dall’area slovena;
b) circondato per tre lati da questa area celtolatina e per il quarto dall’Adriatico, stabile da tre migliaia e mezza di anni, il territorio veneto, la cui lingua moderna è la diretta erede dell’antica lingua veneta (venetica);
c) l’area germanofona, presente all’interno dei confini della Repubblica Italiana con i Walser
alemannici all’Ovest, i Sudtirolesi ed alcuni gruppi isolati di matrice altotedesca verso Est ed all’estremo Est. (Alle caratterizzazioni ed alle suddivisioni presenti nel mondo linguistico tedesco “Etnie” dedicherà in futuro una serie di articoli).
d) l’area di lingua slovena, la cui frazione sottoposta a sovranità italiana è spartita tra le province di Udine, Gorizia e Trieste.
Come pressoché automatica risulta l’individuazione e la delimitazione delle aree linguistiche germanica, veneta e slovena al Nord e all’Est, e neolatina orientale al Sud. così anche la suddivisione dell’area in gran parte celtica e latinizzata tra queste compresa si presenta abbastanza semplice, nonostante il vario intersecarsi di fenomeni comuni, l’esistenza di particolarità circoscritte, ed il diseguale sommarsi di differenti vicende ed evoluzioni storiche e culturali e di differenti livelli di presa di coscienza linguistica.
Possiamo così iniziare con l’isolare all’Ovest l’area di lingua ligure, la cui individualità è indiscussa; quindi quella provenzale (oggi detta anche occitana, alla cui musica abbiamo dedicato nel precedente numero un servizio ed un LP) e quella francoprovenzale (oggi detta anche, da alcuni, arpitana), variamente collegate alla piemontese. La gradualità del passaggio dall’area piemontese a quelle provenzali e franco-provenzali (valdostano-savoiarde e della Svizzera Romanda) è dovuta alla comunanza del substrato etnico ligure e celtoligure e di molte vicende storiche e culturali, ed ancora più sfumato tale passaggio doveva essere nei secoli passati.
Comunque, una discreta coscientizzazione linguistica, e la normalizzazione della lingua provenzale e di quella piemontese, insieme all’esistenza di alcuni meccanismi di autodifesa e di gruppi di studio in Valle d’Aosta, ci permettono di tracciare dei confini linguistici ampiamente accettati. L’area linguistica piemontese, meno estesa dell’omonima regione amministrativa, è compresa tra le aree liguri e alemannica, le suddette aree occidentali e, all’Est, i territori cisalpini che furono sottoposti alla più intensa celtizzazione: la Lombardia e la Padania meridionale.
In maniera esemplare le odierne suddivisioni linguistiche tra l’area di lingua lombarda (comprendente anche il Canton Ticino ed il Trentino centrale ed occidentale) e quella di lingua sudpadana (estesa anche tutt’intorno ai confini amministrativi della Regione Emilia Romagna) trovano radice e spiegazione nelle vicende etniche. Mentre il vicino Piemonte partecipò assai a lungo alla sfera preindoeuropea dei Liguri, Lombardia e Sud Padania venivano precocemente indoeuropeizzate da irradiazioni venete, e la Lombardia anche attraverso irradiazioni più occidentali, dal Centro Europa (manifestazioni di Golasecca e della Valcamonica).
La Sud Padania, poi, fu terreno per una singolare fioritura commerciale e culturale etrusca, che non si estese né al Piemonte né alla Lombardia né al Veneto. Lombardia e Sud Padania furono poi le aree di più precoce e più intensa e profonda celtizzazione.
Riassorbita etnicamente (non certo però linguisticamente) la parentesi latina, la Lombardia sarà l’area europea maggiormente permeata dalla presenza e dalle eredità dei Longobardi, e sarà sempre saldamente parte del continente europeo, da cui trarrà ed a cui invierà tanti influssi. Non mancano invece nella Sud Padania segni ed eredità provenienti dagli antichi scali adriatici, dal mondo greco antico e bizantino, dalla penisola appenninica, e dalla lunga presenza dello Stato della Chiesa.
Tutto ciò si riflette nell’individualità e nei caratteri delle due rispettive lingue, il Lombardo ed il Sud Padano, parlato anche lungo una fascia che scorre a Nord del Po, che non è confine ma ne fa parte.
All’Est troviamo le aree celtolatine dolomitica (singolarmente frammentata e presso cui va diffondendosi il termine “Ladino”) e friulana, che il Sud Tirolo ed il Veneto separano dal gruppo celtico latinizzato della Gallia Cisalpina; va ricordato però che se tale posizione isolata e (per il Friuli) una latinizzazione più intensa di quella subita dalla Gallia Cisalpina ne marcano sufficientemente l’individualità, pure il riscontro di alcuni loro tratti maggiormente conservativi e distintivi, spesso di diretta ascendenza celtica, è cosa comune anche in numerose aree alpine centro-occidentali, e lungo le vallate appenniniche emiliano-romagnole maggiormente appartate.
Ricordiamo infine anche la lingua armena, testimoniata da ridotte ma significative comunità da secoli presenti nel Veneto, ove si trova (Isola di San Lazzaro) la capitale morale della nazione armena in Occidente.
Dodici sono quindi le madrelingue di popoli (o parti di popoli) compresi tra la linea Lunigiana-Senigallia ed i confini settentrionali della Repubblica Italiana: l’Armeno, il Francoprovenzale, il Friulano, il Ladino, il Ligure, il Lombardo, l’Occitano, il Padano del Sud, il Piemontese, lo Sloveno, il Germanico, il Veneto.