È abbastanza facile capire perché il candidato presidenziale degli Stati Uniti, Donald Trump, sia andato in visita a Città del Messico mercoledì 31 agosto. Nel pieno di una campagna al calor bianco, Trump ha voluto introdurre una delicata sfumatura di moderazione alle sue politiche in tema di immigrazione e commercio. Ha voluto anche darsi un’aria da statista dedicandosi a un incontro bilaterale con un capo di Stato.
Durante la visita, ha sottolineato i vantaggi reciproci del rapporto Stati Uniti-Messico, evitando di entrare nel merito della sua precedente proposta di tassare le rimesse al Messico per pagare il muro di confine. Piuttosto che innescare una battaglia tra USA e Messico, Trump ha ripetuto più volte la parola d’ordine “emisfero” per indicare la necessità comune di mantenere l’industria e l’occupazione nell’America del Nord.
Assai più difficile da capire è cosa si aspettasse di ottenere dalla visita il presidente messicano Enrique Peña Nieto. Mentre i politologi americani cercavano di determinare se il viaggio avrebbe migliorato o peggiorato i sondaggi di Trump, Peña Nieto è stato subito sepolto di critiche al di là del confine. Dal punto di vista della maggior parte dei messicani, il loro presidente – già sceso nei sondaggi al minimo storico del 23% prima della visita – stava girando il coltello nella piaga, fornendo a DT un palcoscenico per legittimare politiche profondamente allarmanti per molti suoi concittadini.
Ma se proviamo a metterci nei panni del premier messicano, possiamo intuire perché il suo governo sembri così desideroso di mantenere aperto il dialogo con entrambi i candidati statunitensi. La salute economica e la sicurezza del Messico sono strettamente legate agli USA. Indipendentemente da chi varchi la soglia della Casa Bianca, Città del Messico ha bisogno di stretti rapporti operativi con Washington. Ecco perché il Messico da un anno a questa parte ha cercato di promuovere funzionari esperti di politica americana, con legami più forti con membri del Congresso, per coprire i ruoli di ambasciatore a Washington e sottosegretario per il Nordamerica. In realtà Città del Messico non ha la minima idea di come finirà la competizione elettorale. Con la minaccia di protezionismo commerciale che incombe oltreconfine, il Messico deve rafforzare i suoi rapporti con Capitol Hill e mantenere aperta una linea di comunicazione buona per entrambi gli scenari presidenziali.
Ma a favore del dialogo pesano motivazioni meno evidenti. La scelta di Peña Nieto di ospitare Trump danneggerà, almeno temporaneamente, il suo partito, il PRI, mentre il Messico si prepara alle tempestose elezioni presidenziali 2018. Queste potrebbero rivelarsi le più competitive mai svolte, con i votanti divisi tra quattro partiti principali: il Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), di centro-sinistra; il Partito Azione Nazionale (PAN), di centro-destra; il Partito della Rivoluzione Democratica (PRD), di sinistra; e i suoi fuoriusiti a sinistra del Movimento Nazionale Regeneration (Morena).
Da quando il PAN ha interrotto i 66 anni di monopolio del PRI alle elezioni del 2000, il potere nella politica messicana è diventato molto più distribuito tra una serie di alleanza. PRI e PAN sono stati testa a testa nella maggior parte dei sondaggi, mentre Morena, sotto il leader di sinistra Andrés Manuel López Obrador, ha costantemente rafforzato il terzo posto. Il PAN non vede l’ora di sconfiggere ancora il PRI, e ha accarezzato l’idea di allearsi con il PRD di sinistra per aumentare le sue probabilità di vittoria. Quanto a Morena e PRD, sono cresciuti assieme e potrebbero costruire un’alleanza di sinistra più coerente a livello ideologico, per tentare di sconfiggere i tradizionali pesi massimi della politica messicana.
Cogliendo il forte sentimento anti-establishment, alcuni candidati potrebbero presentarsi come indipendenti, pur avendo l’appoggio dei loro partiti di provenienza.
I prezzi bassi del petrolio e il dollaro rafforzato hanno danneggiato l’economia del Messico, anche se il Paese ha resistito alla crisi grazie a un forte centro di produzione che è strettamente legato agli Stati Uniti. Anche un semplice accenno di protezionismo commerciale da parte del vicino, in particolare nel settore auto, metterebbe a repentaglio la capacità del Messico di stabilizzare la propria economia in periodi economici particolarmente avversi. Le difficoltà economiche e il divario sconcertante tra i superricchi e i poveri ha creato nell’elettorato messicano una generale disillusione nei confronti dei partiti tradizionali, considerati ormai troppo corrotti per essere riformati.
Queste condizioni rendono la sinistra, alimentata da una vigorosa corrente contraria all’establishment, una forza formidabile nelle prossime elezioni 2018. Non possiamo colpevolizzare a tutti i costi Peña Nieto per aver tentato di aprire un dialogo con i candidati alla presidenza americana, ma PRI sta già affrontando un panorama politico complesso e altamente competitivo. Salendo pubblicamente sul ring della politica interna americana finirà solo per rafforzare gli avversari del suo partito in vista delle elezioni.
Analisi a cura di Stratfor