Pubblichiamo una piccola scelta delle bellissime poesie (nell’originale in ladino moenese, con versione in italiano della stessa autrice e in tedesco di Giuseppe Richebuono) di Veronika Zanoner Piccoliori, raccolte in un volume edito di recente, che testimonia la validità letteraria e culturale della produzione di questa pregevole scrittrice ladina, in costante contatto con la sua terra natale.
DIFFERENZE DI SENTIMENTO
Poeti della nostra terra
scrivono l’amore alla loro ‘Heimat”
con travaglio condivisa.
“La nostra gente” dice il ladino e
l’altro di madre lingua tedesca,
altrettanto genuina gente del Sudtirolo,
“i nostri contadini”.
“I boari” dalle gambe grevi, scrive
“tout court”,
nel 1980 il poeta dal “bel canto”.
Legionum memore forse,
ma senza amore alla nostra gente.
ALLA RETHIA
Rethia, nome di Madre;
anche Tu hai dovuto cedere
davanti a un barbarico spirito
conquistatore,
importatore di tronfia e falsa civiltà,
su strade di guerra,
retaggio che ancor ci travaglia.
Nel sereno retico sguardo
dei tuoi nipoti, costante traspare il duolo
della profanata identità, molteplici
volte stravolta.
Rethia, terra percorsa da lunghi sentieri
con le impronte di gente pacifica,
dolce e amena culla dei tuoi popoli,
germani fra di loro e vincolati da antica
forza morale.
E da antiche favelle civili e multicolori
RADICI
Di un lago so
che giace fra le rocce.
Azzurra la sua acqua e bianche,
come sono bianche le nuvole che vi si
specchiano.
Verde il prato che circonda le sue rive,
chiara l’acqua della fonte e
canterina, a volte neniosa,
la goccia che la riempiva.
Rosso il fulmine che bruciò la mia baita.
Ancora, accostate al cirmolo,
raccolte in un cumolo di sassi,
le sue fondamenta.
Rimpianto di casa mia, nostalgie…
il mal sottile della mia anima,
nella città ormai forestiera.
È un piccolo cumulo di colori e di pietre
che dovunque mi trascino
con la ladina, amata favella dei bisavoli.
Radici che avvinghiano,
sentiero che riporta a casa nostra,
legame che ricongiunge.
RAISH
De’n lèk giö sè,
skonù anter int le krepe.
Bruna sòva èga e bience,
ke bience le nigole ke se spelgia int.
Vert el prà ke kresh entorn via
sòve ròste,
kiara l’èga de festil e
ciantarina la goa, a oite savariosa,
ke binava te brenz.
Rossa la saeta ke à brujà mio bait.’
Amò alò pède jù al zirm,
strutè te ’n majaré de shash,
l’é siöi sedimes.
Stranie de ciasa, enkreshadujem…
el mal sotil de mia anema,
te la zità jà duta enforestada.
L’è en pikol majaré de kolores e shash
ke daperdut me tòle dò
ensema a la ladina, amada favèla
dei besaves.
Raìsh ke no me lasha,
troi ke mena a ciasa, sa noi,
leam ke rekonjonc.
WURZELN
Ich weiss von einem See,
der zwischen Felsen liegt;
blau ist sein Wasser und weiss,
schneeweiss sind die sich darin
spiegelnden Wolken.
Grün ist die Wiese an seinem Rand.
Klar ist das Wasser des Brunnens
und geschwätzig der stete Tropfen,
manchmal auch weinerlich, im Trog.
Rot war der Blitz, der meine Almhütte
zerstörte;
mur die Steine der Grundmauern
sind neben dem Zirbelbaum
übriggeblieben.
Sehnsucht, Heimweh nach der Heimat
verzehrt meine Seele
in der verfremdeten Stadt.
Es ist eine Ansammlung von Farben
und Steinen,
die ich überall mit mir herumtrage,
mit der geliebten ladinischen Sprache meiner Ahnen.
Wurzeln, die mich umfassen;
Weg, der nach Hause führt;
Bindung, die zusammenschliesst.