Il 29 dicembre di due anni fa moriva a Padova Sabino Acquaviva, sociologo, docente universitario, già preside di Scienze politiche al Bò; ero uno dei pochi presenti ai suoi funerali e fin d’allora ho avuto l’impressione, e continuo ad averla, che sia la città sia l’università siano restìe a tributargli quei riconoscimenti che meriterebbe (probabilmente il professore è ancora penalizzato da quel modo di fare schivo e mite che ne caratterizzava il tratto).
Vorrei allora riproporre un articolo che uscì sul “Mattino” di Padova il 6 agosto 1983, pochi mesi dopo il sorprendente successo della Liga Veneta alle elezioni politiche del maggio ’83, quando i commenti di giornalisti e intellettuali vari erano improntati a una superficialità impressionante. Il professor Acquaviva, al contrario, cercava di capire cosa c’era dietro quel voto, dietro quel messaggio che ancor oggi continua – dalla Catalunya alla Corsica – a essere importante in tante parti d’Europa, a riprova di quanto avanzato, direi profetico, fosse il grande sociologo veneto.
L’Europa unita può nascere dalla Liga Veneta
In questi giorni ho ricevuto una lettera tassata, credo perché affrancata con alcuni francobolli sovrastampati, con scritte diverse: “nathion veneta”, “poste venete”, “territori autonomi dei veneti”.
Io, europeista convinto fautore degli “Stati Uniti d’Europa”, dovrei sentirmi lontano da chi parla di “nazione veneta”: dovrei pensare a tutto questo come a un’espressione di un passato senza ritorno.
Che può aver da spartire una cultura europeista, moderna, che guarda alla Comunità europea come il nocciolo dell’Europa unita, con dei regionalisti ?
Eppure qualcosa di comune esiste: la diffidenza verso gli stati nazionali che da decenni cianciano di Europa ma si perdono in cavilli sterili per non “farla”, per non unificare politicamente almeno i popoli della Comunità Europea. A Strasburgo c’è un parlamento eletto dal popolo europeo, ma i governi nazionali se ne occupano? L’ascoltano? Naturalmente no, perché per i governi, non per i popoli, prima vengono i loro Stati e poi l’Europa.
E a vedere le sterili diatribe sul burro o sul vino in cui la Comunità è impantanata, trascurando i più gravi problemi della unificazione vera, provo un senso di rabbia, di impotenza, il desiderio di “fiaccare” degli Stati che sbarrano la strada verso l’unità.
Un tempo molto lontano, prima che la rivoluzione francese scoprisse gli Stati nazionali, l’Europa aveva, entro certi limiti, una sua unità, ed era un’unità che passava per le regioni, per gli Stati regionali: la Borgogna e la Repubblica di Venezia, la Baviera e la Catalogna. C’erano papi e imperatori da un lato, e Stati piccoli, a volte in via di coagulazione, dall’altro. Poi sono nate le nazioni che, con il pugno di ferro, hanno frantumato le autonomie locali, hanno creato in Francia i dipartimenti e in Italia le province, per cancellare persino il ricordo delle singole nazioni regionali. E così il francese del nord, sulla scia del predominio di Parigi, è diventato la “lingua” di tutta la Francia. Il “dialetto” toscano, per una serie di circostanze, non ultima la posizione centrale della Toscana e il suo prestigio economico e artistico, si è imposto alle altre lingue regionali italiane. In tal modo in tutta l’Europa gli stati regionali sono scomparsi, le loro lingue e culture sono state soffocate più o meno bene, l’idea di Europa si è perduta. Dunque, quando l’Europa languiva le culture regionali morivano a favore degli Stati nazionali, ma ora che l’Europa rinasce, che l’idea di Europa ritorna, riemergono le culture regionali e si indeboliscono gli ideali nazionali.
Le nazioni e le culture locali rifioriscono, paradossalmente ma non troppo, come segno e simbolo di un orizzonte politico e culturale più vasto: quello di una grande nazione europea, “madre” delle culture regionali.
Dunque i movimenti regionali, dentro e fuori dei partiti, espressi da gruppi autonomisti duri o moderati, sono oggi i portatori volontari o involontari dell’idea di Europa, proprio perché contribuiscono a indebolire gli Stati nazionali che, quarant’anni di lotte europeiste lo dimostrano, sono i veri nemici dell’unificazione politica, militare, economica, finanziaria, culturale del continente.
Dall’Irlanda alla Bretagna, dalla Corsica alla Catalogna, dai Paesi Baschi alla Valle d’Aosta, dalla Sardegna alla Galizia, dal Galles al Sudtirolo-Alto Adige, dalla Scozia al Veneto e via dicendo, si va formando il tessuto di una nuova cultura regionale ed europea insieme. Un tempo si diceva: uno, dieci, cento, mille Vietnam; oggi, guardando ai problemi di casa nostra, l’Europa, diciamo – in maniera più pacifica ma non meno decisa – uno cento mille movimenti autonomisti ed europeisti: un tessuto fitto di movimenti autonomisti, di ogni tipo e colore, che diventi la linfa dell’unificazione europea, di una unificazione che, a quanto sembra e fino a prova contraria, non può contare sugli Stati nazionali. Dunque, lotta per l’unità d’Europa, dal basso verso l’alto, visto che dall’alto verso il basso – in quarant’anni – si è ottenuto poco.
Per questo, leggendo la scritta “Nation veneta” su quei francobolli non ho sorriso come ero tentato di fare, c’era aria d’Europa in quelle due parole. Insomma un po’ di speranza per quell’unificazione tradita da governi e partiti che – per quarant’anni – poco hanno fatto e molto hanno finto di fare per l’unità: hanno diluito i nostri ideali in un mare di parole … di vino e di burroSabino Acquaviva