Sicuramente c’è qualcosa di paradossale, quasi schizofrenico, nell’agire di Erdogan. Solidale con il popolo palestinese, repressivo in politica “interna” nei confronti dell’altrettanto oppresso popolo curdo.
Ma anche l’Europa sembra voler dare il suo contributo, per lo meno non prendendo adeguata posizione contro le violazioni dei diritti umani operate dal regime di Ankara. A Strasburgo il presidio a tempo indeterminato che da anni si tiene davanti al Consiglio d’Europa aveva visto, verso la fine del 2017, crescere la partecipazione di centinaia di persone divenendo un vera manifestazione di massa.
La richiesta, costante negli anni, rivolta sia al Consiglio d’Europa sia al CPT (Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti), rimane quella di sollevare il leader curdo Abdullah Ocalan dal duro regime di isolamento a cui viene sottoposto.
Dal settembre 2016 mancano notizie precise sul suo stato di salute e si teme per la sua sicurezza, come per quella degli altri detenuti. Oltre 700 (settecento!) richieste dei suoi avvocati per poterlo incontrare sono state respinte, in violazione a ogni norma e regolamento dell’ONU e del Consiglio d’Europa, compresi quelli firmati dalla stessa Turchia. In particolare: la Convenzione ONU del 10 dicembre 1984 contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli; la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti; il Protocollo aggiuntivo dell’ONU del 4 febbraio 2003. Tutti regolamenti – ratificati dalla Turchia nel settembre 2005 – che impegnano gli Stati a garantire che le persone detenute non siano sottoposte a tortura o ad altre misure inumane. Consentendo anche che i prigionieri vengano visitati regolarmente nelle loro celle ai fini di misure preventive non giudiziarie.
È lecito chiedersi perché le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa mantengano un atteggiamento di totale inerzia di fronte alla sistematica violazione dei diritti del prigioniero politico Ocalan?
Il CPT avrebbe diritto a effettuare visite negli istituti di pena, ispezionando e indagando autonomamente, visto che tutti i Paesi firmatari si sono impegnati in tal senso. In teoria, il Comitato dispone di un accesso totale alle aree di sorveglianza e può muoversi senza alcuna limitazione, anche incontrando i prigionieri separatamente, senza la presenza di guardie o altri. Nel secondo paragrafo della Convenzione europea per la prevenzione della tortura viene stabilito che le visite possono svolgersi in qualsiasi momento; non solo in tempo di pace, ma anche in situazioni di guerra e di emergenza.
Se un Paese non volesse collaborare o accettare le raccomandazioni del Comitato, al Paese stesso – qualora i due terzi dei componenti votino a favore – e successivamente all’opinione pubblica verrebbe rilasciato un documento sul caso preso in esame. Ma questo pwe Ocalan non sta avvenendo, vanificando così tutti i buoni propositi in difesa delle persone in stato detentivo.
Di segno diametralmente opposto la presa di posizione dell’African National Congress (ANC), il partito sudafricano di Nelson Mandela. Durante il suo 54° congresso a Johannesburg, nello scorso dicembre, il partito ha formalmente richiesto l’immediata liberazione di Ocalan e di tutti i prigionieri politici. Il nuovo segretario dell’ANC, Ramaphosa – così come quello uscente, Zuma – aveva condiviso la dura lotta contro l’apartheid del compianto Nelson Mandela. Non a caso la definizione di “Mandela curdo” si adatta perfettamente a Ocalan e al ruolo che sta svolgendo per il suo popolo.
Nel comunicato finale l’ANC dichiara apertamente di “sostenere la lotta del popolo curdo per i diritti politici e umani e per la pace e la giustizia in Medio Oriente”, invitando “tutte le parti coinvolte a svolgere il proprio compito per una soluzione politica”. Inoltre chiede “la liberazione di Abdullah Ocalan e di tutti prigionieri politici”. Un sostegno esplicito e autorevole, provenendo da una delle organizzazioni che maggiormente hanno lottato contro il razzismo istituzionalizzato, contro la discriminazione e l’oppressione.
Un omaggio postumo all’impegno del compianto Essa Moosa, scomparso nel febbraio 2017. Moosa era stato l’avvocato sia di Mandela sia di Ocalan, oltre che presidente del Kurdish Human Rights Group (KHRAG).