L’accordo segreto del settembre 2018 tra la Repubblica Popolare Cinese e la Santa Sede sulla nomina dei vescovi, al contrario di quanto annunciato, non ha migliorato la situazione dei cattolici cinesi. Dopo il lungo periodo di divisione tra la Chiesa sotterranea fedele a Roma e la Chiesa di Stato cinese, l’accordo avrebbe previsto la nomina o il veto del papa su un vescovo non gradito alla Santa Sede; cosa non fattibile a causa del rigido controllo dell’Ufficio Affari Religiosi.
Per praticità, in quest’articolo parleremo di “comunità sotterranea”, anche se non possiamo fare un paragone con i primi cristiani nascosti nelle catacombe; il termine “sotterranea” potrebbe apparire fuorviante, ragion per cui alcuni preferiscono parlare di comunità non riconosciuta dalle autorità civili. In effetti la comunità sotterranea si distingue da quella ufficiale solamente per questioni politiche. A volte condivide gli stessi spazi con i membri della comunità ufficiale, e la situazione è assai più fluida di quanto possa sembrare. Non è semplice dire quanti credenti appartengano a una comunità o all’altra.
Tuttavia, dalla Cina giungono notizie di un soffocamento della Chiesa cinese, sia ufficiale sia sotterranea, che prefigurano la creazione di una “Chiesa nazionale indipendente” a cui vescovi e preti, ufficiali e non ufficiali, dovrebbero sottostare se vogliono esercitare il loro ministero. Per il regime, “indipendenza” vuol dire divieto d’intromissione di potenze straniere – Santa Sede compresa – nelle norme statali delle attività religiose. Sacerdoti e vescovi sotterranei, isolati dalla Chiesa cattolica universale, passano sotto la sfera d’influenza del partito, che elargisce una minima e controllata “libertà”. I responsabili del culto e le persone consacrate (le suore: non è permessa la vita religiosa maschile) devono sottoscrivere un formale impegno se vogliono esercitare il loro ministero. Il regime sostiene – mentendo – che il papa sia d’accordo, al punto che molti cattolici sotterranei sospettano – forse non a torto – che Roma li abbia abbandonati.
Si sta imponendo la “sinizzazione” per far emergere un cristianesimo dalle caratteristiche cinesi e piegato all’autorità del partito comunista. Nell’ottobre scorso quattro sacerdoti sotterranei della città di Zhangjiakou, della provincia di Hebei, sono stati obbligati ad aderire alla cosiddetta Associazione Patriottica anche se questa non è affatto conciliabile con la dottrina cattolica e naturalmente con il Vangelo. L’appartenenza all’Associazione è molto restrittiva per la missione di un vescovo: vengono fatti controlli 24 ore su 24; bisogna continuamente avanzare richieste di permesso per visite pastorali e per ricevere ospiti. I sacerdoti sotterranei costretti a concelebrare con i vescovi “ufficiali” vengono tutti fotografati e schedati. Il regime controlla i luoghi di preghiera, le letture, le immagini religiose.
L’Henan, provincia con un’alta percentuale di cristiani (4%), con le nuove norme si è trasformata nell’esperimento pilota della repressione. Nell’aprile 2019 le autorità di Weihui, nella diocesi di Anyang, hanno distrutto le croci di ferro di due campanili, sostituite prontamente con bandiere cinesi per dare alle chiese l’immagine di “uffici del governo”. Lo scorso novembre nella città di Liaocheng, provincia dello Shandong, con il pretesto della mancanza di documenti ufficiali che attestassero la legalità delle strutture della parrocchia di Chaocheng, costruite nel 1930, sono stati demoliti i locali della parrocchia cattolica. I fedeli sono riusciti a salvare il santuario, unico edificio rimasto in piedi, affiggendo sopra la ruspa la scritta: “Veicolo illegale. Arrestateci, non indietreggeremo mai”.
Padre Bernardo Cervellera, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere, che dirige l’agenzia Asia News, ha pubblicato una lettera aperta dei fedeli della diocesi di Datong Shanxi denunciando l’“oppressione del regime contro la comunità cattolica”. La stessa agenzia, nell’editoriale del 13 novembre scorso, ha denunciato l’arresto di Pierre Shao Zhumin, il vescovo di Wenzhou che da tempo rifiuta di sottomettersi al regime che vorrebbe convincerlo a entrare nell’Associazione Patriottica.
I cinesi minimizzano affermando che i fatti si limiterebbero “solo” a poche zone, ma notizie contrarie giungono da regioni come Hebei, Henan, Zehejiang, Shanxi, Guizhou, Mongolia Interna, Xinjiang, Hubei.
Secondo il cardinale Zen, “il papa non capisce la Cina”
Il cardinale Joseph Zen-Ze-kiun ha insegnato nei seminari di tutta la Cina tra il 1989 e il 1996 ed è vescovo emerito di Hong Kong. Con i suoi 88 anni passati sempre in difesa della Chiesa “sotterranea”, mentre era in visita negli Stati Uniti lo scorso 24 ottobre ha inviato una lettera al “New York Times”, dichiarando che in Cina la situazione per i cattolici è ormai disperata. L’alto prelato ha sottolineato che “al Papa la realtà cinese viene filtrata dal segretario di Stato cardinale Pietro Parolin, che ha basato la sua Ostpolitik sul compromesso con il partito comunista, ma che non è a conoscenza della complessità storico-sociale cinese”. Ze-kiun, da sempre contrario a ogni cedimento da parte della Santa Sede nei confronti del regime, ha dichiarato che “purtroppo la firma di un accordo con la Repubblica Popolare Cinese mina la credibilità del papa”. 1)
L’Enciclica Divini Redemptoris e il gesuitismo
Da sempre la Chiesa ha messo severamente in guardia dal comunismo. Pio XI nell’Enciclica Divini Redemptoris del 1937 disse: “Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere la collaborazione con lui da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana”. Alla presa del potere di Mao Zedong nel 1949 vennero create due chiese: quella ufficialmente riconosciuta dal governo cinese, con libertà d’azione, e quella sotterranea fedele a Roma, senza libertà di parola, che celebrava la Messa clandestinamente. I rapporti diplomatici furono interrotti negli anni ‘50 e molti cattolici furono arrestati e mandati nei campi di lavoro. Pio XII, che condannò le consacrazioni illegali dei vescovi senza mandato pontificio, con le encicliche Cupimus Imprimis, Ad Sinarum Gentem e Ad Apostolorum Principis, denunciò l’espulsione del nunzio apostolico, lo stato dei missionari e dei vescovi, gli arresti, le sofferenze dei fedeli.
Il Concilio Vaticano II smentì le posizioni dei precedenti papi e aprì al dialogo. Una petizione di condanna del comunismo del 9 ottobre 1965, formulata da 454 padri conciliari, non venne presa in considerazione. Durante gli anni ‘80 si fecero parziali aperture ma sempre sotto il rigido controllo del partito comunista. La chiesa ufficiale e la conferenza episcopale erano sempre sotto il tallone dell’Associazione Patriottica. Il cardinale Jozef Tomko, dal 1985 al 2002 prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, dichiarò che “la Chiesa sotterranea era l’unica Chiesa legittima in Cina, e che la Chiesa ufficiale era illegale”. Con il pensionamento di Tomko nel 2002 e la sua sostituzione le cose peggiorarono. Dal 2005 la diocesi di Datong rimase senza vescovo: monsignor Guo Yingong Taddeo, di Datong-Shanxi, fu condannato a 13 anni nei campi di rieducazione e nel 2005 morì dopo dieci anni di lavori forzati.
Un’effimera speranza tornò quando divenne pontefice Joseph Ratzinger, che aveva vissuto il nazismo e il comunismo. Egli nominò prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione il cardinale Ivan Dias, un indiano che aveva trascorso molto tempo in Africa occidentale e Corea del Sud. Egli, pur animato da buona volontà, credeva (acriticamente) nel modus operandi del cardinale Agostino Casaroli, sostenitore della distensione con l’Unione Sovietica, e così applicò la scuola del “maestro” anche nei confronti della Cina. Nel 2007 Benedetto XVI inviò una lettera alla Chiesa cinese nella quale chiedeva la riconciliazione tra tutti i cattolici, ma successe l’incredibile… La traduzione cinese fu pubblicata con errori, di cui uno volutamente fuorviante. In un passaggio, dove si diceva che i sacerdoti sotterranei avrebbero potuto essere riconosciuti delle autorità cinesi senza tradire la fede, fu omesso un giudizio critico su come “quasi sempre” le autorità cinesi imponessero requisiti contrari alla coscienza dei cattolici. Vennero sollevate obiezioni e il testo fu corretto sul sito del Vaticano, ma ormai l’originale sbagliato era già diffuso e alcuni vescovi cinesi interpretarono le parole del papa come una spinta all’unione con la Chiesa di Stato. La Santa Sede, che adottò sempre una diplomazia prudentissima, dette l’impressione di piegarsi alla selezione dei vescovi voluti da Pechino.
Salito al potere nel 2012, Xi Jinping fece pressione sui movimenti religiosi affinché si allineassero al partito, nel timore che potessero promuovere princìpi non in sintonia con un regime che dura da 70 anni e che evidentemente vuole frenare ogni slancio di evangelizzazione.
Ora Bergoglio, con la mania del dialogo a ogni costo, rischia di distruggere tutto. Si è accordato con un regime ateo, non volendo considerare che potendo evangelizzare poco avrebbe messo a rischio il piccolo ma autentico gregge della Chiesa cinese sotterranea. I cinesi, come orientali, non concepiscono che l’autorità e il principio di autorità possa essere scisso dalla autorevolezza di chi l’autorità esercita. Perché la Santa Sede ha accettato questo abbraccio mortale se non è in grado di rapportarsi, senza sudditanze, nei confronti della Cina? Perché il cardinale Parolin, dopo l’istruttoria preliminare sulla Cina, non è andato oltre il ripristino formale delle relazioni tra Roma e Pechino? L’accordo, nelle più utopiche delle ipotesi, avrebbe dovuto evitare la comparsa di vescovi scismatici, ma l’Associazione Patriottica palesa chiaramente di voler sovrintendere alla Chiesa cinese in luogo del papa.
La situazione che oggi deprechiamo non si sarebbe mai verificata senza l’esercizio di sicumera del gesuitismo. All’università di Pechino il 19 giugno 2019 si è tenuta una conferenza su Papa Francesco e la sua visione, a cura del gesuita francese Benoit Vermander. E per la prima volta all’Accademia delle scienze sociali della capitale cinese si è svolta una conferenza dal titolo Crescere in amicizia – Una prospettiva sulle relazioni sino-vaticane, a cura dell’immancabile padre Antonio Spadaro, gesuita, e “cyberteologo”, direttore della prestigiosa rivista “La Civiltà cattolica”.
Cappio
In sostanza, per svolgere attività religiosa in Cina, preti, religiosi e vescovi devono firmare apposite dichiarazioni, come questa Sintesi della lettera di impegno per i responsabili dei luoghi di culto e per le persone consacrate, documento diffuso dalle autorità del Fujian.
Secondo il Regolamento per gli affari religiosi […] prometto di
- Amare la Patria e amare la religione, studiare e seguire consapevolmente le politiche sugli affari religiosi del Partito e le leggi e i regolamenti dello Stato, svolgere consapevolmente le attività secondo le leggi e regolamenti, proibire l’ingresso nella Chiesa ai minorenni.
- In nome dell’indipendenza, autonomia e autogestione, boicottare consapevolmente gli interventi degli stranieri; non contattare le potenze straniere, non accogliere gli stranieri, non accettare nessuna delega dalle comunità o istituzioni religiose straniere, non accettare interviste, formazioni o inviti a convegni all’estero, non violare i regolamenti dello Stato accettando le donazioni nazionali e internazionali.
- Non commercializzare né distribuire gli stampati religiosi senza codice seriale.
- Accettare consapevolmente l’ispezione e il controllo dei superiori e pubblicare consapevolmente i bilanci mensili.
- Insistere sulla sinizzazione, praticare consapevolmente i valori fondamentali del socialismo.
- Non organizzare corsi di formazione per i minorenni, non svolgere le attività religiose online o promuovendo le vocazioni o inoltrando contenuti che violano le leggi.
- Non intervenire nell’amministrazione degli affari del villaggio né politici, nella vita privata e personale del popolo.
- In assenza di permessi, le comunità come il gruppo pastorale, il coro e la banda non possono tenere gli eventi pubblici, né possono, con il pretesto di visitare i malati, evangelizzare in luoghi pubblici come ospedali.
- Non affiggere manifesti e insegne all’esterno a fini evangelici.
- Non installare gli altoparlanti all’esterno, e quelli interni non devono a loro volta disturbare gli abitanti, in caso di violazione, accettare volontariamente le sanzioni da parte dell’Ufficio per gli affari religiosi.
N O T E
1) Ha affermato il cardinale Zen in un’intervista: “L’accordo che il papa ha firmato con Pechino era già stato proposto a Benedetto XVI, e si era rifiutato di firmarlo. Ora mi dispiace dirlo, ma Francesco non ha rispetto per i suoi predecessori. Mette fine a tutto ciò che è stato fatto da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. E, ovviamente, dice che si trova “nella continuità”. Ma è un insulto! Un insulto! Non c’è continuità!”.
Bergoglio ha quindi incaricato uno dei suoi emissari, il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Sacro collegio, di squalificare il confratello cinese con una lettera ai cardinali infarcita di invenzioni, puntualmente smascherate da Zen.
Alla discussione si è infine unito l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, il quale senza peli sulla lingua ha così riassunto la situazione in uno dei passaggi della sua lettera a Zen: “Ho seguito con profonda partecipazione, condividendo la Sua sofferenza nella preghiera, i Suoi numerosi accorati Appelli a papa Bergoglio, per la drammatica situazione della Chiesa Martire in Cina, che lui stesso ha colpevolmente aggravato con il proditorio e sciagurato Accordo segreto firmato dalla Santa Sede con il Governo Comunista Cinese”.
[NdR]