L’articolo di Roberto Gremmo sulle sorti del piemontesismo ha suscitato reazioni di preoccupazione e rimpianto in numerosi lettori, segno che in Piemonte esiste ancora uno zoccolo duro di “irriducibili” difensori della propria identità. E non mancano interventi polemici che dubitano dell’effettiva morte dell’autonomismo subalpino. Ecco alcuni commenti giunti in redazione.
Grazie al “senatur” è stata tanti anni fa stroncata la corsa dell’Union Piemontèisa (io c’ero) e tagliato le gambe al guerriero Gremmo. Molti di noi oggi lo rimpiangono. Certo non era una persona che spiccava per buonismo e democraticità interna, ma era giusto così. In molti sapevamo che per un’idea così forte occorreva (e occorre ancora) un uomo deciso di polso, uno che non te le manda a dire e che sia anche padre e padrone. I piemontesi hanno bisogno di una guida forte altrimenti sono (anzi, siamo) veri “patelavache e fafioché”. Vedendo che l’Union Piemontèisa stava disperdendosi e che lo stesso Gremmo si era stancato insieme ad Anna Sartoris (donna forte che è stata in prima linea), anche io ho lasciato, credendo in un idea che seppur nazionale pareva buona per un “nuovo miracolo”. Dopodiché ho abbandonato completamente la politica, restando però sempre fedele all’idea federalista vera (nulla a che vedere con il “prima gli italiani” attuale. Mi sono poi avvicinato alle stelle per l’attenzione ai deboli, per l’apparente ideologia federalista (poi dimenticata) e per quella “scossa” che pareva dare alla politica. Purtroppo attualmente anche le stelle sono diventate cadenti. Sono sempre un convinto autonomista (anzi… di più) e strenue difensore della cultura e lingua e identità piemontese. Attendo con ansia un uomo alla Gremmo (non credo che lui abbia più la voglia di impegnarsi, altrimenti lo seguirei di nuovo).
Claudio Bertoni
Coma cristian protestant i l’hai amprendù a nen sagrineme d’esse “an minoransa”, ma andé anans “teston” ëd porté anans lòn ch’i chërdo esse vrità bìblica a la fàcia ‘d tuti coj ch’a la dëspressio: ch’a diso lòn ch’a veulo, ch’a sìo tanti o pòchi coj ch’a-j van dapress e ch’a costa lòn ch’a costa. Dovrìo-ne ij piemontesista, j’ardité dij bogianen dl’Assiëtta, sagrinesse s’a son an pòchi e diciaré la dësfàita? Ma gnanca mòrt! I l’oma l’esempi dij nòstri frej seltich an Bretagna o ant ël pais dël Galles. La përseveransa a paga sèmper a la fin. Le feje (o le sardin-e) a l’han mai butà ‘n pé na siviltà!
Paolo Castellina
Morta l’Union Piemonteisa è mancata al Piemonte almeno una piccola cornice protettiva politica, in grado di fungere da deterrente contro partiti italiani e nord-qualcosa. Senza una cornice politica chi pensava che una cultura minoritaria alquanto invisa potesse sopravvivere, si affidava ad una speranza sentimentale.
Non so se il Piemonte, come entità politica e culturale, stia chiudendo il suo percorso storico. Se così non è certamente sta affrontano il più tormentato cammino nel deserto della mancanza di identità.
Marco Scarcali
Vorremmo rispondere a Roberto Gremmo in quanto alcuni di noi sono ex membri del gruppo che, citando lo scrittore “qualche settimana fa ha gettato le armi”, e che, sempre secondo Gremmo “nientemeno proclamava di essere la fortezza indomita della piemontesità”. Ebbene, il gruppo a cui si riferisce, ma di cui non ha nemmeno avuto la decenza di citare il nome, è Rampar Piemont. Il primissimo punto da chiarire è che Rampar Piemont non ha “gettato le armi”, non si è arreso, ma si è trasformato dando vita ad un nuovo gruppo d’azione culturale piemontese: Badìa Piemont. Semplicemente è stata la fine di un ciclo che ha dato vita ad un nuovo progetto. E poi indomiti? Nessuno di noi si è mai definito indomito. Cari lettori di Etnie, dovete sapere che il genere preferito dei vecchi piemontesisti è il “fantasy”. Durante i suoi 5 anni di attività (2013-2018) Rampar Piemont, autofinanziandosi e collaborando con realtà locali biellesi come il Gattolupo o la Pro Loco di Graglia, ha organizzato diverse Cibreuse (feste), 7 in 5 anni, e ospitato numerose conferenze, tra le quali la presentazione del libro Piemontesi in Crimea. In diciottomila contro lo zar a cura del suo autore Franco Macchieraldo, la conferenza degli amici di Polemos che è stata, a dir loro, la loro conferenza più partecipata, la conferenza sulla lingua piemontese di Sander Motin, uno degli organizzatori del concorso letterario di poesia e prosa in lingua piemontese nella città di Moncrivello, la Giornata delle Lingue meno diffuse, in collaborazione con Gioventura Piemontèisa, la presentazione del periodico “L’araldo del Piemonte e Valle d’Aosta” tenuta dall’editore Roberto Chiaramonte; tra queste si collocano anche tre conferenze di Roberto Gremmo: una per la presentazione del suo libro I misteri delle Alpi Biellesi, l’altra alla “Prima festa Indòeoropenga Piemontèisa” sempre organizzata da Rampar Piemont e l’ultima tenuta alla “Gran Cibreusa Piemontèisa ch’a fa 7” che ha celebrato il 50esimo anniversario della prima Festa dël Piemont svoltasi a Graglia nel 1968 (e proprio a Graglia Rampar Piemont è tornato per l’anniversario).
In questi 5 anni Rampar Piemont è stato presente alle ricorrenze di Piazza San Carlo, di Superga, dell’Assietta partecipando a mantenere viva la memoria dei grandi eventi della nostra storia. Siamo sempre stati estranei alla politica di Roma, non affiliandoci mai a nessun partito politico. Nel 2018, di comune accordo, abbiamo deciso di sciogliere Rampar Piemont, sentendoci arrivati alla fine di questo percorso, ma nel 2019, ex membri del gruppo e nuovi affiliati, hanno dato vita a Badìa Piemont, gruppo d’azione culturale piemontese che, nel novembre dello stesso anno, ha organizzato la sua prima “Festa dël Piemont” con la partecipazione di più di cento persone.
E allora, perché Gremmo sostiene che abbiamo “gettato le armi”? Perché ha voluto screditare il nostro operato non spendendo nemmeno due parole a riguardo così come ha fatto invece con ël Sol ëd j’Alp e descrivendo la nostra fine come la più ingloriosa possibile? Dell’associazione culturale biellese Lei ha ricordato le “affollate conferenze” e non si è nemmeno degnato di menzionare almeno le Sue conferenze tenute alle feste di Rampar Piemont, per quale motivo? Nel Suo articolo non vengono neppure descritte le motivazioni del nostro epilogo, viene semplicemente lanciata una sentenza senza dare spiegazione alcuna. Non è così Sig. Gremmo, nessuno di Rampar Piemont si è mai arreso.
E per rispondere alla sua domanda, se piemontersità e piemontesismo siano finiti, vorrei ricordarLe che pochi anni fa gli amici di Gioventura Piemontèisa hanno portato in Piazza San Carlo centinaia di piemontesisti; le sembra questo un presagio di fine? Forse della fine di quel piemontesismo a cui Lei era affezionato, quello praticato negli ultimi anni di attività dal Sol ëd j’Alp, quando Gioanin Ross era ancora vivo fino alla chiusura dell’associazione, che organizzava serate alla solita “polenta con qualcosa” per tirare su soldi (già, perchè finiti i soldi della Regione per le associazioni culturali, finito ël Sol ëd j’Alp) come quella tenuta alla discoteca “I Cammelli” dove venivano intonate da Gioanin Ross e dalla sua cricca le canzoni partigiane, o alla Festa di Fra Dolcino alla Bocchetta del Margosio sotto le bandiere comuniste; le persone non sono stupide, che seguito pretendevate di avere? Se tanto teneva all’associazione ël Sol ëd j’Alp, perchè non ha preso Lei la carica di presidente visto che è “in linea” con tutte le fesserie che l’associazione propone? Lei si chiede se il piemontesismo sia “alla frutta” dopo che non è stato in grado di sfruttare quell’interesse per l’autonomia regionale che negli anni ’70 e ’80 era molto diffuso in Piemonte e non solo. Non aver saputo approfittare di un momento storico così favorevole all’autonomismo rende ancor più grave la Sua sconfitta, il Suo aver “gettato le armi”.
E dopo di Lei, negli anni ’90, è stata la volta del Sol ëd j’Alp che sul fronte culturale, a causa delle limitate capacità del suo presidente Gioanin Ross, non fu in grado di gestire l’interesse di moltissimi giovani che si avvicinavano per conoscere meglio la nostra cultura. Il piemontesismo è finito? NO, Voi siete finiti! Se dobbiamo parlare di “colpa”, allora quella è vostra, generazione da libro Cuore, amici di tutti e col vostro piemontesismo per tutti che, detto francamente, ha rotto le palle! La responsabilità di questa deriva è Sua, di Sautabachëtte e del Solengh ëd j’Alp e della vostra incapacità di sfruttare momenti storici favorevoli alla nostra causa piemontesista! Doppiamente sconfitti! E Lei ci propone come soluzione a questo declino l’insegnamento del piemontese anche agli immigrati? A quale scopo? Quale significativo apporto ci sarebbe alla causa piemontese? Con i corsi di piemontese koiné nelle provincie dove il piemontese koiné non si è mai parlato avete solo creato caos e un generale rifiuto da parte degli interessati, che non riconoscevano il loro piemontese nella koiné; poche lezioni, a volte una, e non tornavano! Avete fallito con i piemontesi, pensate di risorgere insegnando la nostra lingua agli immigrati?
Per terminare, la piemontesità, il piemontesismo, non sono finiti solo perchè le associzioni a Lei care chiudono, anzi, il fatto che quel modo di fare piemontesismo abbia condotto al fallimento sta a significare che la scelta di un piemontesismo attivo e dinamico e non da scrivania, sia la strada giusta da perseguire, come ci dimostra il buon successo delle feste di Rampar Piemont e di Badìa Piemont. Voi avete fallito quando i tempi erano propizi, noi siamo vittoriosi in tempi avversi. Quindi, Sig. Gremmo, la domanda che dovrebbe porsi è : “Il piemontesismo è rinato?”
Badìa Piemont
Devo dire che la replica di Rampar/Badia conferma la decadenza piemontese. Ricordiamo tanto i capponi di Renzo di manzoniana memoria. Nessun dubbio che oltre una trentina di anni fa abbiamo mancato un appuntamento storico ma parlare di “vittoriosi in tempi avversi” mi pare da ufficio della propaganda dell’Internazionale Comunista.
Al Piemonte serve quello che tutte le altre minoranze europee hanno: un partito che rappresenti le istanze del popolo piemontese. Non ci si può far rappresentare da partiti stranieri, senza se e senza ma. L’ho detto oltre trent’anni fa e continuo ad esserne convinto. Baschi, Catalani, Corsi o Scozzesi si fanno rappresentare da Madrileni, Andalusi, Champardennais o Irlandesi?
Inutile continuare a litigare, pensiamo tutti insieme al Piemonte, se ancora esiste.
Marco Scarcali
Innanzitutto vorremmo dare la notizia a tutti quanti che l’associazione culturale Ёl Sol ёd J’Alp non ha mai cessato la sua attività nonostante le difficoltà dopo la morte del suo fondatore Gioanin Ross pur ammettendo che gli eventi si sono drasticamente ridotti. Rimaniamo molto delusi da quelli che si permettono di parlare di un defunto, male o bene che sia, che ha portato l’insegnamento della lingua piemontese nelle scuole di tutto il Piemonte e seguito poi solo in una fase successiva da altre associazioni, che ha riportato persone in piazza San Carlo per ricordare i caduti Piemontesi e che si è speso per la causa Piemontese in generale per più di vent’anni cercando, tra l’altro, di non dare mai un colore politico alle sue attività e se ha cantato canzoni partigiane lo ha fatto in eventi che nulla c’entravano con l’associazione.
Certo è che se qualcuno crede ancora che la cultura Piemontese vada promossa solo ed esclusivamente ai Piemontesi escludendo, in nome di non si sa quale principio di presupposta superiorità, tutte quelle persone che sono immigrate qui, italiane o straniere che siano, che però per cultura personale o per interesse vorrebbero avvicinarsi, sicuramente nel mondo globalizzato in cui viviamo il Piemontesismo è destinato a morire in quanto ormai, a parer mio fortunatamente, la maggior parte delle persone ha fatto famiglia e figli con altre persone indistintamente dalla loro provenienza.
Aggiungo anche che sul discorso autonomia si è chiusa una porta da una parte ma se ne è aperta un’altra anche più grande sul fronte Europeo in quanto il giorno in cui si raggiungerà l’unione politica dell’Europa sotto un unico governo centrale europeo sarà nuovamente possibile richiedere maggior autonomia regionale, in ottica europea, magari alleandosi con altre realtà alpine come quelle francesi piuttosto che lombarde, trentine o austriache. Augurandoci di non trovare mai più commenti fuori luogo su persone che non possono più difendersi la nostra associazione vi invita a contattarci per qualsiasi curiosità.
Ёl Sol ёd J’Alp
Avendo fatto parte in modo attivo dell’associazione Ël Sol ëd j’Alp dal ‘95 al 2002 vorrei puntualizzare alcune cose al dibattito qui generatosi: sono entrato nell’associazione per interessi meramente culturali e linguistici, non politici: all’epoca vi erano diversi membri attivi di varia estrazione ideologica, tra cui una parte non trascurabile di esponenti definibili “di sinistra”, per cui non vi era nulla di strano nel partecipare alle celebrazioni dolciniane al Margosio: c’erano bandiere piemontesi, occitane, di sinistra e pure il banchetto della Lega! All’epoca la scena culturale biellese era molto viva e l’associazione era esplicitamente apolitica, i temi trattati erano i più vari: etnografici, storici, coreutici, musicali e linguistici, mi ricordo a tale proposito l’attiva partecipazione di Tavo Burat, poeta e prosatore della companìa dij Brandé, dolciniano e attivista nella salvaguardia delle lingue minoritarie, e molte altre persone da tutto il Piemonte, non solo del territorio biellese (per onestà devo anche dire che Gremmo non ne fece mai parte, per quel che mi ricordo). C’erano molti giovani (all’epoca non avevo neanche ancora 20 anni!) e chi era interessato a darsi da fare aveva spazio, questo per correttezza bisogna dirlo.
Personalmente collaborai alla rivista dell’associazione Tron e Lòsna tenendo anche corsi di scrittura in grafia normalizzata della parlata locale, insegnando in tale variante e scrivendo allo scopo una grammatica normativa del piemontese locale (biellese): alcuni miei corsisti hanno poi avuto modo anche di pubblicare loro opere in lingua piemontese, sia nella parlata locale che in koiné, altro che scappare dopo poche lezioni!!!
Purtroppo dopo pochi anni l’associazione si spense gradualmente: la spinta culturale venne meno, un po’ perché ci fu un esodo degli elementi più attivi, tra cui il sottoscritto, e l’associazione da culturale incominciò ad assomigliare sempre di più ad un circolo di quartiere dedito alle “feste della birra”, e sempre di più polarizzata a destra. Su questo concordo con chi afferma che ci sono stati errori di gestione e una gestione dei rapporti con i membri dell’associazione, a mio parere, non sempre onesta. A questo punto, persa di vista la sua “mission”, svuotata di iscritti e di contributi economici non riuscì più a fare molto. Detto questo, auguro un buon lavoro ai membri attuali dell’associazione. Cordialmente,
Edoardo Salza