In una recente intervista alla rivista gesuitica “America”, Jorge Bergoglio ha citato ceceni e buriati come i combattenti “più crudeli” della guerra in Ucraina: “Quando parlo dell’Ucraina, parlo della crudeltà perché ho molte informazioni sulla crudeltà delle truppe che entrano. In genere, i più crudeli sono forse quelli che sono della Russia ma non sono della tradizione russa, come i ceceni, i buriati e così via”. La CNN ha riportato le osservazioni del papa il giorno successivo, 29 novembre, ma i media mainstream in Europa e negli USA avevano già da tempo espresso convinzioni analoghe. Il 9 agosto, in coincidenza con la Giornata mondiale dei popoli indigeni, il giornalista John Sweeney, autore di Killer in the Kremlin, dichiarava alla CNN: “Alla periferia di Bucha i soldati russi che abbiamo visto non erano russi etnici, erano buriati, mongoli…”, implicando che le atrocità andassero addossate a queste etnie.
L’organizzazione Cultural Survival ha replicato denunciando “questa retorica razzista e odiosa e richiama l’attenzione del mondo sul fatto che queste narrazioni sono create e promosse dallo Stato russo. I cittadini minoritari e indigeni affrontano stereotipi, discriminazioni ed emarginazione all’interno della Russia, e la propaganda russa li ha deliberatamente usati come volti della guerra per allontanare la violenza e l’ingiustizia da un più ampio pubblico etnicamente russo. La ripetizione della propaganda russa da parte del papa è un’accusa disinformata e pericolosa che perpetua miti dannosi e razzisti derivanti dalla lunga e violenta storia coloniale della Russia. Queste accuse di Bergoglio sono forme di raddoppiato colonialismo e genocidio, una storia orribile destinata a ripetersi”.
CS ricorda che la Federazione Russa ospita milioni di persone di diverse etnie, comprese le popolazioni indigene sparse su circa due terzi del territorio russo e che rappresentano il 2% della popolazione. Ci sono 46 popoli riconosciuti come autoctoni dalla legge russa e definiti “popoli indigeni di piccolo numero del nord, della Siberia e dell’estremo oriente”. All’interno della Federazione, per essere considerato “indigeno” un gruppo deve soddisfare diversi requisiti, tra cui un numero inferiore ai 50.000 individui, la pratica di costumi tradizionali, l’abitare in un’area remota e il mantenimento di un’identità etnica distinta. Questa definizione imposta dallo Stato impedisce a circa 140 gruppi nativi – tra cui, per esempio, buriati, altaiani, sakha e popoli della Russia sudoccidentale – di rivendicare diritti attraverso il riconoscimento ufficiale da parte del governo.
C’è addirittura chi considera la mobilitazione militare di Putin una sorta di “pulizia etnica delle popolazioni indigene”, in quanto ha coinvolto in modo clamorosamente sproporzionato le etnie non europee della Federazione. Alexandra Garmazhapova, la fondatrice della Free Buryatia Foundation contro la guerra, ha dichiarato al “Guardian”: “La Russia sta conducendo una guerra imperiale iniziata e guidata da Vladimir Putin, che come tutti sanno non è membro di una minoranza etnica. Il papa dovrebbe condannare lui in persona, ma ha scelto di girarci attorno…”.