Stando a quanto dichiarano fonti curde, il 9 luglio una base dei peshmerga, la milizia del pdk, sarebbe stata attaccata dalla Turchia nella regione di Duhok.
Completamente opposta la versione turca, meno plausibile a mio avviso: a colpire la base (poi evacuata) sarebbero stati in realtà i guerriglieri del pkk.
Diciamo pure che ha tutta l’aria di una provocazione, tanto per alimentare la confusione (la “tensione”), gettare benzina sul fuoco in un momento piuttosto delicato in quanto già “pre-elettorale”. Infatti le legislative per l’elezione del parlamento del Kurdistan iracheno sono previste entro ottobre e si teme possano essere ancora rinviate, come avviene ormai da due anni.
Un’ulteriore conferma di quanto sia destabilizzante per l’intera regione e per una normale attività politica la presenza di Ankara nella grk (il Kurdistan iracheno, Bashur), con operazioni militari sostenute – o almeno tollerate – dalle varie potenze regionali e che evidentemente godono anche della tacita approvazione di Washington.
Particolarmente grave che finora l’occupazione turca abbia potuto fare affidamento sulla sostanziale collaborazione del pdk di Barzani. Occupazione che si sta ulteriormente intensificando come dimostra il recente dispiegamento di altre truppe a Bradost; forse in vista di future operazioni nelle zone controllate dall’upk (Rania e Qaladiza), organizzazione spesso in disaccordo con il pdk.
Scopo dichiarato delle azioni belliche, creare una “zona cuscinetto anti curda” di 30-40 chilometri (ma nel distretto di Bradost si sarebbero spinti oltre, fino a 50 chilometri) lungo le frontiere della Turchia con l’Iraq. Installando anche basi militari per sradicare la presenza del pkk, così come intende fare in Siria con le ypg. E tra i futuri obiettivi dell’esercito turco potrebbe esserci anche l’aeroporto di Sulaymaniyah (sempre con la benedizione del pdk).
Come è stato ripetutamente denunciato dal kck (l’unione delle comunità del Kurdistan), oltre a insediare posti di blocco, effettuare controlli di identità e costringere all’evacuazione gli abitanti di alcune località (come Duhok), la Turchia avrebbe inviato ex miliziani dell’isis, mercenari e guardie di villaggio (paramilitari collaborazionisti a cui viene garantita una sostanziale impunità nelle operazioni contro il pkk) nelle aree invase e occupate.
Anche se non tutto fila liscio per Erdogan e Barzani. In questi giorni la popolazione locale ha nuovamente protestato vigorosamente contro gli attacchi (e pare che un certo disagio-dissenso cominci a serpeggiare anche tra i militanti di base del pdk).
Il 10 luglio gli abitanti della regione di Bahdinan hanno manifestato contro il passaggio dei mezzi militari bloccando la strada tra Amadiyah e Shiladzi. L’11 luglio, blindati turchi si stavano dirigendo verso il villaggio di Sarkil (nel distretto di Amadiyah e presumibilmente teatro di proteste). Ancora una volta con l’aperta collaborazione del pdk.
Del resto non è da ora che il pdk sta cercando di allontanare la popolazione dalla regione di Bahdinan in vista del previsto arrivo di altri soldati turchi, e nei giorni scorsi le sue milizie erano intervenute per disperdere altre manifestazioni di protesta contro l’occupazione turca. Al punto che alcuni osservatori non escludono i rischi di una guerra civile qualora la situazione dovesse diventare ulteriormente incandescente.
Appare comunque evidente che l’upk (unione patriottica curda, in curdo Yeketî Niştîmanî Kurdistan) è molto meno disposta del pdk (partito democratico curdo, Partîya Dêmokrata Kurdistanê) a collaborare con Ankara ed è sicuramente in migliori rapporti con il pkk (partito dei lavoratori curdi, Partîya Karkerén Kurdîstan).
Un esponente di rilievo dell’upk, Rashad Galali, in un’intervista ha criticato apertamente il pdk sostenendo che “si preoccupa molto più dei propri interessi piuttosto che dell’avanzamento della democrazia”. Aggiungendo che “collabora con la Turchia per imporre il proprio dominio nella regione”. Turchia – ha sottolineato – che “dal 1991 ha intensificato i suoi attacchi contro la regione del Kurdistan [grk), spesso in collaborazione con il pdk”.
Un aspetto non certo secondario, un “effetto collaterale” (ma in parte voluto) sono i numerosi incendi scoppiati a causa dei bombardamenti. In questi giorni soprattutto sui monti Garê. Tra l’altro i soldati turchi hanno sistematicamente impedito agli abitanti di alcuni villaggi (Mijê, Kevne Mijê e Spîndarê) di intervenire per spegnere i focolai.