Stanno accadendo due cose apparentemente incredibili, ma in realtà piuttosto eloquenti: 1) il costo del metano per autotrazione è più che raddoppiato, e 2) non ne parla praticamente nessuno.
Giorni fa, un rivenditore di carburanti – tra l’altro un pioniere della diffusione degli impianti a gas – mi raccontava: “Nei decenni scorsi abbiamo affrontato varie crisi legate al prezzo del petrolio e quindi dei carburanti, e ci sono sempre state reazioni da parte degli utenti, della stampa, delle associazioni di categoria e dei consumatori, con prese di posizione e promesse più o meno valide da parte dello Stato italiano, se non addirittura interventi di calmiere. Stavolta, malgrado l’aumento inaudito di oltre il 100%, non si sente volare una mosca…”
Giusto per chiarire la portata di questa crisi, ricordiamo che intere fasce di automobilisti non saranno più in grado di viaggiare: non tanto quelli che, pur avendo speso un capitale per dotare il veicolo di un impianto a gas, potranno comunque utilizzare il carburante originale; bensì i malcapitati possessori di auto monofuel nate a metano, con serbatoi aggiuntivi che contengono, se va bene, una decina di litri di benzina. E non parliamo degli ormai numerosi camion alimentati a LNG (il gas naturale liquefatto), che ora dovranno percorrere le loro tratte spendendo più del doppio e suscitando l’inevitabile aumento dei costi finali delle merci. Come riporta Federmetano, che siano alimentati a CNG (gas naturale compresso) o LNG, i mezzi circolanti quest’anno sono 1.100.000 e gli addetti del settore almeno 20.000.
Ci si aspetterebbe, dicevamo, un brandire di forconi e una serie di proclami governativi, il tutto ampiamente commentato dalla stampa. Il deserto comunicativo che invece ci sta circondando ci induce a fare un paio di ipotesi. Intanto, lasciamo perdere la classica ridda di teorie puramente economico-finanziarie che di solito si invocano in questi casi (domanda/offerta, eccetera), così come le analisi geopolitiche che coinvolgono la Russia e altri Paesi produttori.
E complottismo sia!
Proviamo piuttosto a ipotizzare qualcosa di più strutturale; per esempio che l’estenuante campagna per imporci i motori elettrici stia cominciando ad affondare i colpi più in profondità. Tutti sanno che per anni l’alimentazione a CNG è stata considerata efficace e poco inquinante, tanto che alcune regioni italiane hanno ridotto la tassa di circolazione per i veicoli interamente a metano o gpl. Certi comuni ne hanno consentito anche l’accesso nelle zone a traffico limitato. Dopo l’iniziale pionierismo degli impianti di conversione da montare in officina, alcune case automobilistiche hanno cominciato a produrre veicoli a base CNG con motori appositi che non soffrivano più dei problemi tradizionalmente provocati dalla combustione del gas. Ai vecchi distributori di metano spersi nelle campagne del nord si sono affiancate nuove colonnine nelle normali stazioni di servizio, sicché, con la vergognosa eccezione della Liguria, si è definitivamente impiantata una rete abbastanza capillare di punti di rifornimento (quasi 1500). La comunità dei “metanisti” si è dotata di organizzazioni e siti informativi, app per smartphone con localizzazione e prezzi dei vari distributori, eccetera. Una normativa recente ha persino dato via libera ai self service h24 per il rifornimento di metano, finora tassativamente effettuato per mano di un operatore (e quindi quasi ovunque impossibile nottetempo).
Bene. Di fronte a questa crescita ci si sarebbe attesi un aumento dei modelli monofuel CNG presenti sul mercato. Al contrario, questi sono diminuiti, soprattutto i più pratici e intelligenti. Il Caddy della Volkswagen, per esempio, un macchinone che nella versione passo lungo a metano costava in carburante più o meno come una Panda (e tra l’altro con quasi 700 km di autonomia eliminava il mitico rischio di non riuscire a raggiungere il distributore successivo), oggi esiste soltanto a benzina o gasolio. Al loro posto una manciata di vetturette senza personalità e utilità (tranne forse una station wagon Skoda), dotate di scarso appeal sia per l’automobilista medio, che se deve prendersi un’auto normale la preferisce con prestazioni petrolifere (e soprattutto non con 200 km di autonomia), sia per chi deve trasportare famiglie numerose o bagagli per centinaia di chilometri e ha bisogno di roba spaziosa. E comunque la (ex) differenza di prezzo tra gasolio e metano, pur rilevante, si sente con veicoli che consumano, non con le utilitarie, altrimenti il maggior costo d’acquisto delle auto a gas non sarebbe ammortizzabile.
No: le case automobilistiche hanno invece cominciato ad asfissiarci con quella suprema presa per i fondelli che è l’auto ibrida, intesa come prima dose vaccinale per spingere il consumatore decerebrato verso l’auto elettrica. Il consumatore decerebrato, si diceva, viene innanzi tutto corbellato dall’Unione Europea, quella che blocca la diffusione di un fuoristradino intelligente come il nuovo Jimny (la Suzuki è costretta a venderlo, in Europa, immatricolato autocarro, ché così evidentemente inquina meno), ma ritiene perfettamente a norma le emissioni di suv da tre tonnellate con centinaia di cavalli. Come è possibile? Semplice: basta aggiungere un pesantissimo motore elettrico alle tre tonnellate e dichiarare che il mostro consuma come un accendino.
Gian Luca Gregis – youtuber antipatico e odiatissimo, ma che non sbaglia mai un’analisi e conosce i retroscena dell’industria automobilistica meglio di tutti i giornalisti di settore messi assieme – fa l’esempio di una grossa Range Rover ibrida per la quale la casa dichiara un ridicolo consumo di 2,8 litri per 100 chilometri. L’aggeggio, 400 cavalli, è reso ancor più pesante da un motore elettrico che dovrebbe in teoria essere il protagonista di questa manifestazione di spregio per le leggi della fisica. Nel test reale descritto dall’esperto, basato su un normale utilizzo, i 33 km per litro sono scesi a 8,3. Una differenza abissale. Che presuppone una presa in giro (lui la definisce truffa) non soltanto da parte del produttore, ma anche da parte degli enti europei preposti al controllo e all’omologazione.
Ma ormai siamo arrivati alla fase in cui la cricca globalista che manovra l’Europa può permettersi di irridere scienza e tecnica, con la complicità di media striscianti e giornalisti dalla schiena cifotica, e la partecipazione di ragazzine mentalmente disturbate. Assistiamo così, ammutoliti, a una campagna pubblicitaria irreale dove si spendono milioni per pubblicizzare auto elettriche di tutti i tipi, jeep comprese, che nessuno di noi ha intenzione di comprare (né conosciamo alcuno che ne abbia in mente l’acquisto), mentre nei parcheggi dei supermercati suburbani gli unici posti liberi sono quelli delle colonnine di ricarica.
Non sta a noi stabilire se l’autotrazione basata sull’elettricità avrà successo. Per ora gran parte degli esperti, lontano dalle telecamere, sanno che per produrre tutta l’elettricità necessaria – non contando le attività minerarie per i componenti e gli smaltimenti delle batterie – saremo costretti ad aumentare l’inquinamento. E gli economisti, in assenza di giornalisti radical chic, sanno che interi settori industriali chiuderanno i battenti e milioni di persone finiranno sul lastrico. Secondo lo stesso numero uno della Toyota, questa tecnologia nell’attuale momento storico è poco efficace, anzi più dannosa che utile. Potremmo insomma assistere all’ennesimo tentativo fallito di auto elettrica da oltre un secolo a questa parte. Ed è anche possibile che la cricca globalista lo sappia benissimo e questo sia soltanto uno dei tanti passaggi del famigerato Grande Reset. 1)
In conclusione, l’affossamento del metano potrebbe essere un trucco per togliere di torno un ostacolo all’elettrificazione, soprattutto in Italia dove il gasauto è più diffuso che altrove. 2) Quanto al motivo per cui vige il silenzio stampa sull’argomento (solo su questo?), va ricercato nel fatto che i “burattinai” hanno manovrato questo Paese nell’ultimo decennio attraverso figure di bassa o infima caratura, mentre adesso al potere hanno messo direttamente uno di loro.
E anche l’ultimo giornalista decente stavolta se l’è fatta sotto.
N O T E
1) Usiamo qui il termine Grande Reset non per scimmiottare complottisti, seguaci di QAnon e tutta quella genìa di idioti di destra che si contrappongono agli idioti di sinistra. In verità le idee del World Economic Forum e dei vari club globalisti – per certi versi agghiaccianti – da un certo momento in poi sono state espresse con chiarezza da alcuni dei loro esponenti, sicché è davvero difficile parlare di complottismi, bufale, dietrologie, eccetera. Non diversamente da come Hitler e Mussolini concionavano della razza e dell’intenzione di emarginare alcuni gruppi umani dalle loro società, senza lasciare nulla alla fantasia.
Il problema, almeno qui da noi, è l’“emergenza giornalismo” (altro che emergenza fascismo…), cioè il cancro di un’informazione che dovrebbe reagire a questi poteri e invece è al loro servizio: una situazione che agli occhi di molti osservatori stranieri appare inverosimile per una civiltà occidentale. Testate in mano a gruppi di potere e faccendieri; dipendenti e collaboratori per la quasi totalità schierati – per convinzione o stupidità o sopravvivenza – con una sedicente sinistra al servizio delle multinazionali e contro la gente… E dall’altra parte un’esigua minoranza di “liberali” sulle barricate, troppo ingenui per capire che i “progressisti” sono ormai soltanto un’accolita di minchioni snob e che i veri nemici sono i loro manovratori occulti. E invece eccoli, i coraggiosi destrimani, inchinarsi ai piedi dei medesimi manovratori.
In questo panorama di desolazione sono poche le teste pensanti che spuntano dalla nebbia: giornalisti veri, d’inchiesta, come Francesco Amodeo e pochi altri, che non fanno gli opinionisti da salotto ma indagano i retroscena e si procurano le prove per dimostrarli. Un tipo di deontologia di cui non si trova traccia nei proclami dell’Ordine.
2) Ovviamente è solo e soltanto un’ipotesi, che ci auguriamo sbagliata con tutto il cuore: sarà tale, ovviamente, se entro la primavera prossima i prezzi torneranno quelli di prima. Sarà invece avvalorata se i prezzi, pur diminuendo, continueranno a superare la soglia di 1,20-1,25 euro al chilo: in tal caso il metano non sarà più un’arma vincente ma solo uno dei vari carburanti sul mercato.