Da quando nel 2019 è diventato presidente del Brasile, Jair Bolsonaro non perde occasione per alimentare in ogni modo lo sfruttamento – la devastazione – delle risorse delle terre indigene e delle zone protette dell’Amazzonia.
E le cose, stando al parere di ambientalisti e nativi, potrebbero peggiorare ulteriormente.
Dall’inizio del mese vari gruppi indigeni organizzano proteste a Brasilia, davanti al parlamento, contro un progetto di legge – assai discutibile e controverso – che andrebbe contro i loro diritti in quanto modifica le norme in vigore in materia di delimitazione delle terre ancestrali. Diritti territoriali, ricordo, che sono garantiti dalla costituzione brasiliane.
Con queste modifiche esse verrebbero invece aperte e messe a disposizione di un brutale sfruttamento. Sia con l’abbattimento delle foreste sia con l’estrazione di minerali.
Nei giorni scorsi i manifestanti sono stati attaccati senza preavviso dalla polizia, che forse riteneva di poterli disperdere facilmente. Sono stati invece accolti dalla decisa resistenza dei nativi, i quali si sono difesi anche con archi e frecce, e almeno tre poliziotti sono rimasti colpiti dai dardi. Secondo l’associazione dei popoli indigeni del Brasile – che sugli incidenti ha emesso un comunicato – almeno due indigeni sarebbero stati portati in ospedale e diverse donne, bambini e anziani risulterebbero contusi per le manganellate.
A causa degli scontri sono stati sospesi i lavori della commissione parlamentare che sta dibattendo sul progetto di legge messo in discussione dagli indigeni.