Di Cipriano Martos mi avevano parlato alcuni catalani indipendentisti (Crida, Men, MdT) di Sabadell nei primi anni ottanta. Lo avevo quindi citato in alcuni articoli dedicati alla repressione franchista e nella ricostruzione della vicenda di Puig Antich. Invece il piccolo volume a lui dedicato (El desaparecido di Miguel Bunuel) mi era stato regalato da un basco che lo esponeva in una bancarella di libri a Donosti. Ricordo che rifiutò di farselo pagare in quanto “mai avrebbe pensato che qualcuno si occupasse di Cipriano anche in Italia”. Bontà sua.
La vita e la morte di Cipriano Martos Jimenez possiamo definirle esemplari. Spiegano da sole quale sia stata la brutale essenza del fascismo nella sua versione iberica.
Come tanti giovani diseredati (braccianti, contadini poveri, disoccupati) del sud della Spagna, anche l’andaluso Cipriano era stato costretto ad emigrare. Nel 1969 lavorava come operaio proprio a Sabadell, non lontano da Barcellona. Qui avvenne la sua definitiva presa di coscienza politica e la sua adesione alla resistenza antifascista. Si integrò nel frap legato al partito comunista di Spagna (m-l), ma per la sua militanza venne arrestato nell’agosto 1973.
Quello fu un anno particolarmente duro per la resistenza nei Paisos Catalans. Sia la Guardia Civil, sia la bps (brigata politico-sociale) praticarono la tortura in maniera generalizzata e indiscriminata. Timpani e costole rotti non si contavano, e i muri delle celle rimasero letteralmente ricoperti di sangue (come ricordavano, almeno fino a qualche anno fa, i sopravvissuti). Soltanto nel mese di maggio gli arrestati a Barcellona furono parecchie decine e tutti, chi più chi meno, vennero torturati.
E anche Cipriano, nella caserma di Tarragona della Guardia Civil, soffrì maltrattamenti e percosse. Finché, dato che non aveva fornito nessuna informazione, subì l’estrema violenza che gli risulterà fatale.
Lo costrinsero infatti a ingerire acido solforico (secondo una versione quello contenuto in una bottiglia molotov) per poi trasportarlo, già in agonia, all’ospedale di Sant Joan de Reus dove venne sottoposto a lavanda gastrica. Salvato in extremis e ricondotto in caserma, venne nuovamente torturato e costretto a ingerire altro acido solforico. Una seconda lavanda gastrica risulterà inutile e il giovane andaluso morirà il 17 settembre 1973 (dopo 21 giorni di agonia, senza che nessuno avvisasse i familiari di quanto stava accadendo).
Venne frettolosamente sepolto in un luogo sconosciuto senza che alla famiglia venisse concesso di assistere alla tumulazione.
Per anni il fratello si è adoperato per recuperarne i resti, ma solo ora, gennaio 2023, il luogo è stato localizzato (o meglio: le autorità che sicuramente ne erano a conoscenza lo hanno rivelato). Finalmente restituiti alla famiglia, verranno trasferiti nel cimitero di Huétor-Tájar dove sono stati sepolti i suoi genitori.