Centoventi anni di storia patria all’insegna dell’intolleranza
Non tutti sanno che l’Italia fascista disponeva di una ferrea teorizzazione razziale; la mancata applicazione di alcune norme persecutorie e il sostanziale disinteresse dei cittadini per il problema non devono indurre a ritenere che l’ideologia del regime fosse seconda, per inumanità e intolleranza, a quella hitleriana. Un sunto dei principi antropologici che ispirarono il modello di pensiero razzista ci è offerto da un gruppo di studiosi universitari i quali, sui finire degli Anni Trenta, fissarono la posizione del fascismo in tema di tassonomia umana.
Ecco alcuni dei dieci punti fondamentali:
1) Le razze umane esistono – L’esistenza delle razze umane non è già un’astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti, di milioni di uomini, simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi.
3) Il concetto di razza è concetto puramente biologico – Esso è quindi basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perchè essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perchè la costituzione razziale di questi popoli è diversa.
Sono state proporzioni diverse di razze differenti che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
4) La popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana – Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola: ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L’origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell’Europa.
5) È una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici – Dopo l’invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente anche in tempi moderni, per l’Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa; i quarantaquattro milioni d’italiani di oggi rimontano quindi nell’assoluta maggioranza a famiglie che abitano l’Italia da un millennio.
6) Esiste ormai una pura “razza italiana” – Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione, ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
7) E tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti – Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose.
8) La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extraeuropee, questo vuol dire elevare l’italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
9) Gli ebrei non appartengono alla razza italiana – Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perchè essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che danno origine agli Italiani.
10) I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo – L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee, nel quale caso si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un corpo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.
Nei punti citati, si badi bene, sono rappresentate due forme di razzismo apparentemente opposte tra loro e di cui la seconda – sulla quale continua a fondarsi l’esistenza stessa dell’attuale Stato italiano – è solitamente ignorata dai più: ci riferiamo al “razzismo classificatorio” e al “razzismo de-classificatorio” (1); il primo, tradizionale e grossolano, prende spunto dai caratteri differenziali più o meno esistenti tra i gruppi umani e li manipola in funzione etica di superiorità o inferiorità biologica e civile; scientificamente inqualificabile, questa conclusione rivela una trasparente finalità politico-economica, suggerita dalla spinta coloniale e imperialistica di quel regime.
Caratteri fisici
Il razzismo de-classificatorio dimostra ben altra sottigliezza, ma non riesce a nascondere – anche qui – un preciso scopo politico: diversamente dalla precedente, questa posizione nega le differenze esistenti all’interno di un’area umana per aggregarle in un’entità nazionale priva di pulsioni eccentriche, ben governabile e sospinta alla gloria dalle lusinghe di un non precisato primato morale e civile. Il razzismo de-classificatorio è qui rappresentato dai punti della dichiarazione che idealizzano una pura “razza italiana” la quale chiaramente non è mai esistita.
Va rilevato che non conta tanto il livello rispetto al quale si vuole collocare la “diversità” (sia esso genetico, fenotipico (2), sociale, culturale o linguistico), quanto l’atteggiamento con il quale si interpreta la diversità stessa: al giorno d’oggi, infatti, l’assoluta astrazione scientifica della sociologia ambientalista (3) ha cancellato dal vocabolario il termine “razza”, ma ha continuato – con sospetta diligenza – a mantenere in vigore quell’immagine dell’entità penisolana che il “Capo” chiamava razza e che oggi, mediante sostituzione linguistica, si definisce “nazione italiana”. Ci si consenta di affermare che, cambiati i termini, il becero razzismo italianista nei confronti dei diversi è rimasto immutato.
La reazione al pensiero fascista si è risolta, dunque, con un’isterica strage di principi scientifici a opera delle discipline sociali le quali – ben inquadrate da uno Stato nato dalla Resistenza ma con buoni apporti “genetici” del precedente regime – in ultima analisi hanno mantenuto in vigore i principi del razzismo declassificatorio. A questo punto, se vogliamo ripulirci una volta per tutte dalla spazzatura dei regimi passati e presenti, sarà bene che ci decidiamo ad analizzare il problema razziale ed etnico secondo basi rigidamente scientifiche, senza tanti demagogismi e senza voler dimostrare tesi preconcettuali.
Rivediamo criticamente, su queste basi, il manifesto degli illustri docenti; per aiutarci possiamo trarre qualche spunto dalle interpretazioni che ne ha fornito l’organo razzista dell’antropologia mussoliniana. “La difesa della razza” (4).
1) Non vi è dubbio che i gruppi umani si siano differenziati, a livello fenotipico, fino dalla più remota preistoria. L’osservazione antroposcopica (statura, colore degli occhi e dei capelli, pigmentazione della pelle) e antropometrica (misure craniali e ossee) indicano un deciso adattamento evolutivo dei vari gruppi. Il vocabolo “razza” è tuttavia assai impreciso: esso va considerato tutt’al più come sinonimo di “varietà umana”, intesa nel senso più morfologico del termine. Fino a oggi, comunque, nessuno è riuscito a fornire una classificazione decente delle cosiddette razze.
3) Trasferire la tassonomia umana dal piano fenotipico a quello genotipico è compito assai arduo… Esiste però la possibilità che certe forme complessive di comportamento siano geneticamente trasmissibili; i sociobiologi – E.O. Wilson in testa (5) – ritengono addirittura che tutta la sfera sociale e affettiva dell’uomo sia condizionata dal fattore genetico, ma le loro affermazioni sono ancora lontane da una valida dimostrazione. Che i diversi gruppi umani presentino, nel loro complesso statistico, singolarità comportamentali è, tuttavia, fuori di dubbio, né si comprende perché tali peculiarità debbano essere fonte di vergogna o di oppressione.
Nel punto 3) si fa anche una confusione incredibile (peraltro assai in auge ai giorni nostri) tra confini politici e popoli attribuendo, per esempio, la qualifica di razza ai multiformi francesi.
4) Qui siamo sull’orlo della follia pura; i nostri accademici, immemori della connotazione meramente linguistica dei termini, definiscono ariani i popoli che, in realtà, sono portatori di lingue indoeuropee, dandosi – come si dice – la zappa sui piedi: gli italianissimi (secondo loro) Sardi sono probabilmente un popolo pre-indoeuropeo, e pertanto non ariano.
5) La dichiarazione si fonda sul sistema delle “mezze verità”: è sostanzialmente corretta quando nega le grandi invasioni medievali, ma finge di ignorare la presenza già millenaria di popoli non latini che, stranamente, non erano a conoscenza della situazione doganale italiana in età preromana e romana. Ci riferiamo, ovviamente, ai Celti, ai Veneti, agli Etruschi, ai Sardi, agli Slavi, ai Reti e a tutti coloro che nessun confine divideva dai propri connazionali, per il semplice fatto che né l’Italia né gli Italiani erano ancora stati inventati.
Tralasciando il punto 9) (dove noteremo di sfuggita che a) gli Arabi, ancora una volta, sono semiti solo per parte linguistica, b) i loro caratteri antropologici sono patrimonio di gran parte della nazione siciliana, c) gli Ebrei non si sono assimilati solo per tradizione religiosa), possiamo concludere con il clou della nostra indagine: i punti 6), 7) e 10).
Abbiamo già rilevato che non esistono – tanto per percorrere tutta la scala umana – né una varietà antropologica, né un’etnia, né una lingua che siano patrimonio del territorio amministrativo italiano; la “purezza di sangue” è in realtà il più differenziato mescidio di etnie che l’Europa possa vantare. Nondimeno, su “La difesa della razza” leggiamo che “come da Venezia a Verona, cosi, da Napoli a Benevento ed a Salerno la parlata, che oggi non muta, dimostra e misura la scarsissima efficacia etnografica delle invasioni in Italia al confronto dei paesi che ne furono esenti” (Armando Tosti); e ancora, con aulica ispirazione: “Quel tipo di italiano rimasto poi sempre costante, quel tipo nostro, inconfondibile sotto tutti i climi…” (Roberto Bartolozzi). Quante volte ci siamo imbattuti in analoghe idiozie leggendo un quotidiano o ascoltando le sillabe romanesche della TV nazionale!? La variante tra i due capitoli di storia patria si riduce unicamente al tipo fisico (e non solo fisico) proposto: “La difesa della razza”, infatti, adeguandosi all’“indirizzo ariano nordico” pubblica album fotografici dove giganteschi veneti, biondi bolzanini e valdostani dall’occhio ceruleo vengono gabellati come campione di una razza italiana dedita agli esercizi ginnici; al giorno d’oggi, al contrario, piace identificare la “nazione” italica con i caratteri mediterranei e con la pizza. Chi rimane fuori da questo tiro alla fune deve, volta per volta, subire l’immagine altrui e de-classificarsi al rango di minoranza etnica.
(A proposito. I fascisti, pur bastonando talora chi parlava tedesco, o piemontese, o sardo, erano sensibilissimi nei confronti dei problemi etnici: “La difesa…” pubblicava volentieri articoli sulla composita formazione degli stati europei; i suoi esperti sapevano tutto su Bretoni, Provenzali, Fiamminghi, Baschi e Catalani. ed erano sempre pronti a vantare la compattezza italica di fronte a tanta dispersione).
Quali conclusioni siamo in grado di trarre da tanta esperienza storica? Semplicemente questa: possiamo cambiare i vocaboli, le idee, i regimi e gli inni nazionali, possiamo usare violenze culturali invece che fisiche, possiamo giocare alla rivoluzione invece che alla reazione, ma non riusciremo a liberarci dal razzismo nostrano. Chi, centovent’anni or sono, costruì l’Italia con le armi sapeva quello che faceva.
(1) cfr. “Etnie”, maggio 1980: Etnismo e razzismo.
(2) Il fenotipo è l’insieme dei caratteri fisici e psichici sviluppati dal gene.
(3) Gli ambientalisti negano l’influenza del fattore genetico a tutto vantaggio di quello ambientale. In realtà i due fattori si compongono armonicamente in un inscindibile diagramma evolutivo.
(4) “La difesa della razza” fu pubblicata dal 1936 al 1944 con la collaborazione dei migliori antropologi del tempo (Sergi, Landra, ecc.). Il direttore era Teresio Interlandi e il segretario un certo Giorgio Almirante.
(5) E.O. Wilson, Sociobiologia, la nuova sintesi, 1975.