Tutt’altro che una “nazione”, la Spagna è sostanzialmente una rete di potere incentrata sulla monarchia e concentrata su Madrid, epicentro dell’etnia castigliana. Priva di un progetto allargato al bene delle sue componenti, vive con l’unico obiettivo di evitare la disintegrazione dello Stato per non perdere questa struttura di monopolio economico e clientelare che, inevitabilmente, provoca un continuo stillicidio di casi di corruzione nel partito popolare e nel partito socialista che si alternano al potere. Da qui la lotta ossessiva contro l’indipendenza della Catalogna, una crociata in cui la Spagna non esita a usare tutti gli strumenti del potere centrale per contrastare la determinazione catalana alla propria sopravvivenza.
Questa corruzione intrinseca allo Stato ha portato al potere l’attuale governo socialista attraverso una mozione di censura contro il governo di destra, condannato dai tribunali per un grave caso di corruzione. Ma, allo stesso modo, nell’attuale governo è appena scoppiato un altro scandalo  clamoroso che riguarda Santos Cerdán, il numero tre del partito socialista.
Proprio Santos Cerdán sta negoziando in Svizzera con il presidente catalano Carles Puigdemont, in esilio in Belgio dal referendum del 2017 sull’autodeterminazione della Catalogna. Questo negoziato era una condizione posta dai catalani per consentire la rielezione del governo socialista. Senza Cerdán, il dialogo continuerà con l’ex presidente spagnolo Rodríguez Zapatero.
Zapatero non contempla la possibilità di accettare un nuovo referendum sull’autodeterminazione, ritenendolo un meccanismo che divide anziché unire, convinto che non sia possibile risolvere una questione così complessa con un sì o un no. Zapatero però sa bene che nel 1978 si tenne un referendum sulla costituzione spagnola, nel 1986 uno sull’adesione alla nato, nel 2005 un altro sulla costituzione europea e nel 2006 un altro ancora sullo statuto catalano concordato proprio con Zapatero. E si trattava di questioni non meno complesse.
Sembra insomma che i referendum si possano indire soltanto quando il risultato è quello desiderato dalla Spagna. Perché – malgrado l’attuale frizione tra i partiti indipendentisti a causa della forte repressione spagnola e nonostante i sondaggi secondo cui l’opzione indipendentista è in calo – Zapatero sa che, se si terrà una consultazione popolare e il risultato sarà rispettato, la Catalogna voterà per la secessione dalla Spagna.
La Spagna sta anche perseguendo giudizialmente i catalanisti, dimostrando di non essere uno Stato di diritto. La corte costituzionale ha stabilito che la “legge di amnistia” approvata dal parlamento centrale (richiesta dai catalani al governo socialista in cambio dei loro voti) è appunto costituzionale e si dovrebbe smettere di perseguitare Puigdemont e gli altri sostenitori dell’indipendenza; ma i giudici della corte suprema dichiarano che continueranno ad attaccarli, ignorando la legge e disobbedendo ai colleghi costituzionalisti.
In Spagna, i giudici decidono in base a criteri politici, non tanto su istruzioni del governo, cioè per mancanza di indipendenza, quanto perché la maggior parte degli alti magistrati applica di propria iniziativa criteri politici avversi alla Catalogna.
E lo stesso vale per la polizia. Abbiamo appena appreso che nel 2015 il cellulare dell’ex presidente catalano Artur Mas è stato il primo in Europa a essere infettato dal software di spionaggio Pegasus, e il secondo al mondo dopo la giornalista messicana Carmen Aristegui. Questo software può essere acquistato soltanto dagli Stati e solo per combattere il terrorismo e la criminalità organizzata. Ma Artur Mas è stato spiato illegalmente per cinque anni, con un totale di 32 infezioni, durante governi di destra e di sinistra, in momenti in cui venivano indette elezioni, si creavano coalizioni elettorali o si formavano governi.
In altre parole non si combatteva il terrorismo, ma si spiava in base a motivazioni politiche per cercare di sconfiggere un’opzione legittima che era maggioritaria tra i catalani.
Sarà difficile ottenerla, ma noi catalani continueremo a insistere fino a quando non avremo raggiunto l’indipendenza, perché è in gioco la sopravvivenza stessa del nostro popolo.