In questi giorni è stata emessa la sentenza dei tribunali federali di Fiske Menuco (General Roca), con cui venivano condannati a pene dai quattro ai cinque anni i membri delle forze dell’ordine argentine responsabili dell’uccisione, nel novembre 2017, di un giovane indio mapuche di 22 anni, Rafael Nahuel.
I suoi familiari, indignati per l’inconsistenza della condanna rispetto alla gravità del fatto, insieme a esponenti della società civile hanno tentato di superare le transenne, protette da uno schieramento di polizia, per entrare nel tribunale.
Rafael Nahuel era stato ucciso da colpi di arma da fuoco (altri due mapuche erano rimasti feriti) nel corso di una operazione di sgombero degli indigeni (leggi: evacuazione forzata dalle terre ancestrali) nella regione del lago Mascardi, a 35 km da Bariloche. Località turistica ben conosciuta come buen retiro di vecchi arnesi del nazismo (Erik Priebke, Adolf Eichmann, vi sarebbe transitato anche Josef Mengele…), ustascia croati (temporaneamente anche Pavelić) e fascisti italici.
L’istituzione di un parco nazionale diventava il pretesto per l’ulteriore espulsione delle comunità indigene, e le truppe della marina (viene in mente l’ammiraglio golpista e piduista Emilio Eduardo Massera…) si scontravano duramente con i manifestanti organizzati nella ram (resistenza ancestrale mapuche), creata nel 2013 per recuperare le terre espropriate ai nativi da privati e Stati (Argentina e Cile) nel sud del continente.
Il 15 novembre veniva confermata dalla corte suprema argentina l’estradizione in Cile del militante mapuche Facundo Jones Huala, 37 anni, attualmente rinchiuso nel carcere di Esquel. Dopo aver già scontato la maggior parte di una condanna a nove anni (per “incendio e porto illegale di arma da fuoco di costruzione artigianale”, fatti avvenuti nel 2013 nella regione cilena di Los Ríos), nel 2022 aveva ottenuto la libertà condizionale, ma per non essere nuovamente incarcerato aveva valicato la cordillera.
Nonostante la sorte dell’esponente della ram, non sia ancora stabilita definitivamente (sono in atto i ricorsi), per i suoi sostenitori si tratterebbe comunque di una “persecuzione illegittima”. Anche in Argentina Huala si era impegnato nelle lotte del suo popolo partecipando all’occupazione di 500 ettari delle immense proprietà di Benetton (oltre 900mila ettari) in Patagonia. Sebbene dal 1994 sia in vigore un riconoscimento formale della “preexistencia étnica y cultural de los pueblos indígenas argentinos” e anche della “posesión y propiedad comunitarias de las tierras que tradicionalmente ocupan”, la questione rimane aperta (ovviamente a sfavore dei mapuche).
Jones Huala era stato fermato nel 2017 e la sua comunità – Pu Lof Resistencia Cushamen – si mobilitava chiedendone la scarcerazione. Una manifestazione tenutasi a Bariloche era stata repressa duramente, con parecchi arresti e manifestanti feriti, e successivamente (agosto 2017) si scatenava la famosa “caccia al mapuche” che porterà alla scomparsa e alla morte di Santiago Maldonado. Inviato in Cile nel 2018, venne condannato con un processo che molti osservatori definirono “pieno di irregolarità, contraddizioni e con prove deboli”. Tra l’altro non si potè nemmeno dimostrare che fosse effettivamente presente sul luogo dei fatti contestati.
Dopo tre anni di detenzione nel penitenziario di Temuco, dove avrebbe subito maltrattamenti, nel gennaio del 2022 gli fu concessa la scarcerazione. Quasi immediatamente revocata (ma nel frattempo era oltre confine in Argentina). Fermato casualmente in gennaio, finiva rinchiuso nel carcere di Esquel.
In ogni caso val la pena di ricordare alcuni recenti episodi di repressione da parte delle autorità argentine nei confronti degli indigeni. Proprio un anno fa, nell’ottobre 2022, veniva brutalmente sgomberata la comunità mapuche Lafken Winkul Mapu di Villa Mascardi (sempre nei pressi di Bariloche). Qui le truppe federali si gettarono anche contro donne e bambini, rompendo tutto quello che trovavano e arrestando molti membri della comunità.
Le denunce per le violazioni dei diritti umani e dei diritti dei popoli originari commesse in quella circostanza ebbero risonanza internazionale risultando inconfutabili. Perfino l’avvocata Elizabeth Góme Alcorta, all’epoca ministro delle Donne, Generi e Diversità, non riuscì a trovare giustificazioni finendo con il rinunciare al suo incarico.
Il cerchio si chiude
Alla comunità Lafken Wincul Mapu apparteneva Rafael Nahuel, il giovane assassinato – alla schiena – il 25 novembre 2017 da agenti della prefettura navale.
La morte di Nahuel così come quella di Maldonado e la persecuzione contro Jones Huala rientrano nella storia di sistematica repressione e criminalizzazione dei popoli originari operata dall’Argentina.
E ovviamente il Cile segue a ruota. Soltanto qualche settimana fa sono stati condannati a oltre quindici anni quattro comuneros mapuche del Coordinamento Arauco Malleco (cam). Tra di loro, il figlio del dirigente Héctor Llaitul.
Qualche mese prima era stato condannato a 47 anni Joaquín Millanao, un ventenne mapuche, cugino di Camilo Catrillanca.
Previsto per il marzo 2024 il processo contro Héctor. Per lui sia la procura sia le imprese forestali, il latifondo e il governo chiedono una condanna esemplare (si parla di 26 anni). A breve invece la sentenza per Luis Tranamil (richiesti 20 anni di carcere) in merito al caso Nain Retamal. Mijael Carbone Werken dell’Alleanza Territoriale Mapuche rimane in prigione preventiva nel carcere di Temuco, dove è in sciopero della fame.
I difensori dei diritti umani denunciano il sistematico prolungamento dei processi giudiziari, con detenzioni di anni mediante montature o senza prove consistenti. Di conseguenza molti mapuche subiscono anni e anni di carcerazione preventiva, senza sentenza. Grazie al mantenimento della legge antiterrorismo, promulgata il 17 maggio 1984 da Augusto Pinochet e solo parzialmente modificata nelle disposizioni processuali dalla legge 19.047 del 14 febbraio 1991.
Nel frattempo, tra il 13 e il 18 novembre, in Cile cinque prigionieri politici mapuche, tra cui i quattro comuneros del cam, sono entrati in sciopero della fame (e, pare, successivamente anche della sete) per protestare contro la condanna a quindici anni di prigione. In quanto, denunciano i loro avvocati, i processi non avrebbero rispettato il “minimo sindacale” di garanzie giuridiche. Tra le accuse nei loro confronti, aver danneggiato gli interessi di alcune grandi compagnie che stanno saccheggiando il paese.