Anche una rivoluzione radicalmente democratica e libertaria (nel senso tradizionale, non di “ultraliberista”) come quella del Rojava può essere messa nella condizione di dover ricorrere a mezzi straordinari. Mezzi che, fatalmente, contemplano anche aspetti autoritari, coercitivi. Toccò perfino alla colonna Durruti nel ’36 quando procedeva di villaggio in villaggio per consentire (non imporre: erano autogestite dai contadini poveri e senza terra) le collettivizzazioni a spese dei proprietari terrieri in genere schierati con i franchisti.
Analogamente il comitato degli Affari Interni dell’AANES (l’amministrazione autonoma del nord e dell’est della Siria) si è visto costretto a imporre un “coprifuoco totale”, h24, per almeno una settimana nel cantone di Hassaké, dove le milizie dello stato islamico hanno attaccato un carcere cercando di far evadere i loro affiliati qui detenuti. Nelle altre città del nord e dell’est della Siria viene invece decretato un “coprifuoco parziale per la sicurezza della regione”, cioè dalle ore 18 alle 6 del mattino).
Sicuramente un’imposizione che non mancherà di creare difficoltà e disagi alla popolazione, ma a questo punto diventata non procrastinabile: gli attacchi congiunti dell’esercito turco, coadiuvato dai suoi mercenari, e di Daesh non consentono esitazioni.
La durata per prevista va dal 24 al 31 gennaio. In questo periodo rimarranno aperte soltanto attività essenziali come i panifici, i mulini, gli ambulatori, le stazioni di servizio e gli uffici delle amministrazioni comunali. Anche i trasporti tra una città e l’altra saranno sottoposti a tali restrizioni.
Del resto, come si diceva, la situazione è grave. L’ultimo bilancio – purtroppo, si teme, parziale e provvisorio – parla di almeno 17 combattenti tra membri delle FDS e delle forze di sicurezza interna, oltre ad alcuni volontari, rimasti uccisi negli scontri con le milizie jihadiste intorno al carcere di Sina. I feriti finora segnalati sarebbero oltre una ventina.