Da giorni circa tremila profughi che tentano di entrare in Europa attraverso la Polonia sono bloccati alla frontiera, nella foresta. Parecchi di loro – tra cui donne e bambini – sono curdi provenienti dalla regione autonoma dell’Iraq e dal nord della Siria. Ossia da territori sottoposti, se pur in maniera diversa, agli attacchi di Ankara.
Sulla questione è intervenuto il Congresso nazionale del Kurdistan, denunciando come Erdogan, Lukachenko e Putin stiano “utilizzando i rifugiati come un’arma politica”. Evidentemente l’astuto presidente turco (che in questi anni aveva già sperimentato l’utilizzo dei migranti come strumento di pressione nei confronti della UE) ha fatto scuola. Oggi il suo obiettivo, secondo il KNK, sarebbe quello di “cacciare i curdi dalle loro terre per modificarne la stessa demografia”. Sostituendo i curdi con popolazioni e organizzazioni sotto il suo controllo: turchi, turcomanni, addirittura palestinesi.
Da parte del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) un accorato invito, un’esortazione alla popolazione curda affinché non fugga dal Bashur (il Kurdistan del Sud in territorio iracheno), autoesiliandosi. Con la richiesta al governo regionale curdo di metter in campo adeguate iniziative per garantire condizioni di vita dignitose alla popolazione.
Come in Rojava (dove Ankara sta operando con metodi che ricordano la pulizia etnica), così in Bashur, un drastico cambiamento demografico, ossia la sostituzione della popolazione originaria curda, non farebbe altro che gli interessi della Turchia.
Calcolando che almeno 30mila persone hanno lasciato il Bashur in un solo anno, la Commissione Esteri del PKK ha esplicitamente accusato il governo turco e quello della regione autonoma (in pratica il PDK) di esserne responsabili. Sia del massiccio esodo e spopolamento, sia della tragedia in corso sulla frontiera tra Polonia e Bielorussia.
Una tragedia legata alla crisi economica, alla disoccupazione, alla disperazione diffusa. Conseguenza dei “30 anni di politiche attuate dalle autorità del Kurdistan del Sud e dai Paesi occupanti”. Dalla Turchia in particolare. Con il rischio che questa parte del Kurdistan divenga “una zona di espansione per il nazionalismo fascista turco e per l’ideologia dell’islamismo radicale”.
Per questo il PKK chiama la popolazione curda e i giovani in particolare a “non abbandonare il Paese utilizzando la propria forza nella lotta per la giustizia, la democrazia e la libertà”.