L’Ucraina è un Paese etnicamente variegato, dato che russi, ungheresi, polacchi, bulgari e romeni vivono a fianco degli ucraini, il gruppo etnolinguistico maggioritario. Oltre alle minoranze citate, vanno annoverate alcune comunità numericamente meno consistenti: il caso più interessante è rappresentato dagli svedesi di Gammalsvenskby. Nell’oblast’ di Kherson, infatti, esiste un villaggio dove tuttora sopravvive un antico dialetto scandinavo. Le origini di tale insediamento risalgono al XVIII secolo, quando l’Impero zarista – dopo la conquista dei Campi selvaggi – iniziò a popolare la zona importando coloni provenienti da tutta Europa.
La colonizzazione della Nuova Russia
Tra la fine del medioevo e l’età moderna, il coronimo Campi selvaggi indicava le terre dell’Ucraina meridionale e orientale, corrispondenti grossomodo alle attuali oblast’ di Odessa, Mykolaïv, Kherson, Zaporižžja, Dnipro, Donec’k, Luhans’k e Kharkiv. Si trattava di territori scarsamente abitati, soggetti a frequenti incursioni da parte di mongoli, turchi nogai e tatari di Crimea. L’unica presenza stabile era rappresentata dai cosacchi ucraini, incaricati di contrastare le incursioni straniere per conto del Commonwealth polacco-lituano, che controllava gran parte della regione.
All’interno di quest’ultima sorse la Sič di Zaporižžja, un’organizzazione proto-statuale fondata dai cosacchi nel XVI secolo, la quale durante la sua esistenza riuscì a sfuggire al controllo dei sovrani polacchi. Successivamente, le truppe ucraine costituirono più a nord un altro soggetto politico, ovvero l’Etmanato, una nuova entità politica sorta all’indomani della rivolta di Bohdan Chmel’nyc’kyj (1648-1657). Si trattava di uno Stato semi-indipendente che riconosceva la Russia come sua protettrice, la quale – in virtù del trattato di Perejaslav (1654) – godeva di alcune prerogative in politica estera. Progressivamente, però, il Cremlino incrementò i propri poteri a scapito dell’autonomia cosacca, arrivando ad abolire in toto sia l’Etmanato che la Sič, scomparsi rispettivamente nel 1764 e nel 1775.
Questi territori, di conseguenza, vennero integrati all’interno dell’Impero russo, che li inquadrò all’interno del governatorato della Nuova Russia, al quale fu successivamente aggregata anche la Crimea, annessa da San Pietroburgo nel 1783. Le terre affacciate sul Mar Nero e sul Mar d’Azov erano molto fertili, ma la popolazione numericamente contenuta non consentiva di sfruttarli adeguatamente: per questo motivo, la zarina Caterina II attuò una politica di colonizzazione demografica, finalizzata sia a consolidare il possesso di quelle zone sia a valorizzarne i terreni.
La nascita di una comunità
San Pietroburgo incentivò l’immigrazione nelle terre di recente acquisizione, stanziando non solo comunità russe e ucraine, ma anche popolazioni appartenenti a ceppi diversi da quello slavo orientale, tra le quali figuravano gruppi di origine scandinava.
All’epoca, la Russia controllava l’Estonia, al cui interno risiedeva una folta minoranza svedese, giunta nel Paese baltico durante la dominazione del Casato di Vasa. Proprio dalle terre estoni – in particolare dall’isola di Hiiumaa – partirono un migliaio di svedesi, intenzionati a stabilirsi nella Nuova Russia. Le autorità zariste, infatti, presentavano la regione come una terra vergine e prospera, un luogo dopo poter iniziare una vita migliore. Si trattava chiaramente di un’immagine edulcorata, che non teneva conto delle difficoltà a cui doverono far fronte i pionieri: molti migranti, colpiti da malattie come la dissenteria, morirono durante o poco dopo il trasferimento.

Nel 1782 i sopravvissuti fondarono Gammalsvenskby, una borgata rurale non lontana dalla città di Kherson. Il loro arrivo fu seguito alcuni anni più tardi dalla fondazione di tre colonie tedesche – ovvero le località di Mühlhausendorf, Schlangendorf e Klosterdorf – edificate nei paraggi del villaggio svedese. Gli abitanti di questi insediamenti provenivano da varie regioni germanofone, come Slesia, Pomerania, Austria, Boemia e Württemberg.
Tra zarismo e comunismo
Nel corso del XIX secolo gli abitanti di Gammalsvenskby custodirono l’idioma materno e la fede luterana, favoriti dal relativo isolamento che caratterizzava la comunità. Il tentativo delle autorità zariste di russificare i residenti – attraverso l’imposizione del russo nelle istituzioni amministrative e scolastiche – fu fallimentare.
L’Unione Sovietica, al contrario, promosse la korenizacija (traducibile come “indigenizzazione” o “radicamento”), una politica volta a tutelare le minoranze etnolinguistiche favorendone al contempo l’inclusione nella vita politica ed economica della nazione. Di conseguenza, a Gammalsvenskby venne aperta una scuola di lingua svedese, destinata ai bambini del paese.
Nonostante ciò, la maggioranza della popolazione rimase diffidente se non apertamente ostile al nuovo regime, soprattutto dopo la campagna di collettivizzazione forzata. Per questa ragione, la maggioranza degli abitanti decise di migrare in Svezia o in Canada nel 1929: soltanto una minoranza dei migranti (circa un quarto) decise di tornare in Ucraina negli anni ’30.

Il periodo stalinista fu particolarmente duro per i cittadini sovietici, compresi i residenti di Gammalsvenskby. Le autorità misero fuori legge l’attività religiosa, ordinarono la chiusura della scuola svedese e arrestarono molti oppositori (o presunti tali): 18 persone persero la vita durante il Grande Terrore.
Occupazione nazista e deportazione in Russia
Nel 1941, con l’attuazione dell’Operazione Barbarossa, la Wehrmacht invase l’Unione Sovietica, occupando rapidamente il territorio ucraino. La minoranza scandinava – al pari di quella germanofona – fu classificata come Volksdeutsche, ottenendo così un trattamento di riguardo. Tuttavia, la riscossa dell’Armata Rossa costrinse le truppe naziste a ritirarsi, portando con sé anche i gruppi Volksdeutsche, evacuati nei territori ancora controllati da Berlino. Molti abitanti di Gammalsvenskby furono obbligati a lavorare per la macchina bellica tedesca, almeno fino al termine del conflitto, quando poterono tornare nella cittadina natale. Eppure la loro odissea non era ancora conclusa.
Infatti, il regime comunista li accusò di collaborazionismo e tradimento, deportandoli coattamente nella Repubblica dei Comi – nella Russia europea – dove molti perirono tragicamente a causa delle condizioni estreme.
Requiem per una minoranza?
Fortunatamente, nel 1947 i sopravvissuti ottennero la libertà e poterono tornare in Ucraina, dove però la situazione appariva profondamente cambiata. Difatti, la comunità germanofona era completamente scomparsa – essendo stata deportata o costretta alla fuga dal regime comunista – lasciando un vuoto colmato da immigrati ucraini, che ormai costituivano la maggioranza della popolazione locale. Gli stessi nomi delle borgate erano stati ucrainizzati, nel tentativo di occultarne le origini: Gammalsvenskby fu ribattezzata Verbivka, mentre Schlangendorf, Mühlhausendorf e Klosterdorf divennero rispettivamente Zmiivka, Mykhailivka e Kostyrka.
In tale contesto, il dialetto svedese – che aveva resistito per oltre un secolo – declinò nell’arco di pochi decenni. Infatti, le uniche lingue impiegate nelle scuole, nella pubblica amministrazione e sui luoghi di lavoro erano ucraino e russo, mentre la parlata minoritaria non godeva di alcun riconoscimento. Peraltro, l’adozione di idiomi slavi fu favorita dalla nuova composizione demografica, poiché la maggioranza degli abitanti non comprendeva le lingue germaniche, rendendo necessaria la conoscenza e l’utilizzo dell’ucraino e/o del russo. Inoltre, i matrimoni misti divennero assai frequenti, facilitando la slavizzazione della componente scandinava. Quest’ultima, del resto, voleva abbandonare il dialetto svedese per integrarsi nella società sovietica, temendo di essere associata all’invasore nazista, con il quale condivideva l’appartenenza al gruppo linguistico germanico.
Soltanto l’indipendenza dell’Ucraina, conseguita nel 1991, ha permesso una timida rinascita della cultura locale. Oggigiorno lo svedese – insegnato nella scuola del posto – può essere parlato liberamente: tuttavia, rimangono poche decine di individui in grado di ricorrere al dialetto locale.
Al momento, la comunità di Gammalsvensbky/Verbivka, frazione di Zmiivka, sta attraversando un periodo molto duro. Nell’inverno 2022 le truppe russe sono avanzate fino a occupare la zona, liberata dall’esercito ucraino nell’autunno dello stesso anno. Il villaggio però continua a essere attaccato dalle forze nemiche, che colpiscono deliberatamente obiettivi civili per causare il numero più alto di vittime. Buona parte degli edifici risulta distrutta o danneggiata, tanto che il numero di residenti abituali ammonta a poche centinaia, soprattutto anziani e ammalati che non possono spostarsi.
Purtroppo – date le premesse – sembra che il destino di questa minoranza sia segnato inesorabilmente, tenendo conto che i parlanti sono tutti in età molto avanzata.