Risale al marzo 2017 l’annuncio del ministero tedesco degli Interni con cui si proibiva l’esposizione di simboli (bandiere, adesivi, magliette, manifesti) di YPG, YPJ e PYD in quanto sarebbero “legati al PKK” (il partito dei lavoratori curdi fondato da Ocalan).
Si tratta, ricordo, delle organizzazioni curde che nel Nord della Siria hanno combattuto contro lo Stato Islamico e che ora stanno faticosamente mettendo in pratica i princìpi del Confederalismo democratico.
Ad applicare la norma più severamente, almeno finora, è stata la Baviera. La notizia è di qualche giorno fa. Un curdo che viveva in Germania da oltre 30 anni, padre di quattro figli, veniva espulso per aver sventolato la bandiera delle YPG e per aver preso parte ad alcune manifestazioni a favore del suo popolo. Letteralmente deportato in Turchia, l’uomo sarebbe però riuscito a fuggire ritornando in Germania (qui vive la sua famiglia) dove ha chiesto nuovamente asilo politico. Un altro episodio recente (ma in questo caso la denuncia non aveva comportato l’espulsione in Turchia) riguardava un rifugiato curdo che aveva inserito la bandiera delle YPG sulla sua pagina facebook.
Risale al 5 agosto il comunicato con cui l’Amministrazione autonoma della Siria del Nord e dell’Est (AANES) richiamava l’attenzione dell’ONU e di altri organismi internazionali sulle minacce di invasione del Rojava da parte della Turchia. Un attacco che sicuramente comporterebbe gravi conseguenze per la pace e la sicurezza a livello internazionale. Come sottolineava l’AANES, recentemente la minaccia è diventata ancora più concreta, prossima con “la mobilitazione di forze militari turche alla frontiera nord della Siria , all’est dell’Eufrate”.
Scopo di Ankara, invalidare il progetto democratico curdo e “destabilizzare la sicurezza e la coesistenza tra le varie componenti del popolo siriano”. In pratica estendere, generalizzare i metodi repressivi – al limite della pulizia etnica – ampiamente adottati in Afrin ormai da oltre un anno.
Condannando e denunciando le minacce del regime turco, l’AANES dichiara che “l’amministrazione autonoma, con tutte le sue componenti etniche e religiose, si unirà per fare fronte a tali minacce e resisterà in ogni modo possibile per difendere la sicurezza, la stabilità, la coesistenza in questa regione dove vivono oltre cinque milioni di persone, compresi gli sfollati e i rifugiati e senza dimenticare le migliaia di esponenti di Daesh (ISIS) detenuti nelle nostre prigioni”.
Sottintendendo, secondo me, che questi tagliagole (su cui i curdi comunque non hanno voluto infierire) verrebbero rimessi in circolazione dai loro alleati turchi.
Nel comunicato si ricorda poi che “i popoli del nord e dell’est della Siria hanno combattuto il terrorismo mondiale” morendo a migliaia. Mentre la comunità internazionale si interroga sulla situazione di Idlib, sembra invece voler ignorare quanto sta per accadere in Rojava. E ancora una volta l’’AANES assicura che il loro “progetto politico è un progetto democratico e non secessionista”, garantendo così di voler mantenere l’unità sia del territorio sia del popolo siriano.