Intorno agli anni ‘30 e ‘40, una nuova generazione di Gesuiti teorici della nouvelle théologie di estrazione modernista si affacciò sulla scena nel campo teologico. Uno di questi, padre Henri de Lubac (1896-1991), negando che i dogmi di Fede fossero assoluti, affermò che il Magistero della Chiesa avrebbe potuto mutare seguendo “tranquillamente” l’umore della coscienza umana, arrivando al concetto di umanità “autosufficiente.” Demolì il dogma del peccato originale nel senso inteso dalla Chiesa, mortificando il valore della Rivelazione e della Redenzione ridotte a realtà accessorie sulla base della visione gnostica della nouvelle théologie.
La Compagnia di Gesù, fu fondata da sant’Ignazio di Loyola nel 1540 e approvata da papa Paolo III con la bolla Regimini Militantis ecclesiae, Fine primario della Congregazione fu la maggior gloria di Dio (da qui il motto ad Maiorem Dei Gloriam) e la reazione contro l’eresia protestante. Tuttavia i Gesuiti, non essendo riusciti a debellare il protestantesimo, dopo quattro secoli e mezzo cambiarono strategia: non eliminarlo ma integrarlo. Per giungere allo scopo, il gesuita Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) reputò necessaria la modifica dell’identità della Chiesa, sostituendo i dettami cattolici con l’assunto dei Sola luterani.
L’ex Sant’Uffizio esortò gli ordinari e i superiori di istituti religiosi, i rettori dei seminari e delle università a tutelare le anime dai rischi nascosti nelle trame dei suoi scritti, a partire dal concetto di creazione, che contemplava la teologia del “Cristo cosmico” e della noosfera, intesa come “coscienza collettiva”. La manovra messa in atto dai Gesuiti, alla fine degli anni Cinquanta, fu la sostituzione degli “assolutismi” del cattolicesimo, per giungere a un’osmosi etico-morale di natura ecumenica con il protestantesimo.
I Romani Pontefici, nei secoli, hanno sempre dovuto tenere a freno il gesuitismo. Per questo è utile ricordare l’intervento di papa Clemente XIV, il quale nel 1773 firmò l’atto di soppressione della Compagnia, considerato che questa s’intrometteva spesso e volentieri nella politica degli Stati, condizionandola e fornendo in questo modo pretesti contro la Chiesa. Tuttavia non si può negare – grazie a documenti di ricerca, equamente suddivisi tra fonti favorevoli e avverse – che con la soppressione si persero anche gli uomini migliori, i veri alfieri del nobile spirito del Fondatore.
Nel 1814, con la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum, Pio VII ricostituì ufficialmente la Compagnia, la quale però perse poco alla volta l’identità originaria. Dopo la loro rifondazione, i Gesuiti si schierarono contro l’illuminismo e soprattutto la rivoluzione francese considerata un prodotto del demonio. La massoneria fin dalla sua fondazione li contrastò, vedendo in essi i difensori del nemico giurato da annientare, la Chiesa Cattolica.
Karl Rahner
Nel 1850 la Compagnia di Gesù fondò la rivista “La Civiltà Cattolica”. Nei primi decenni del nuovo secolo cambiò paradigma, prendendo una deriva antitetica alle battaglie che aveva affrontato. Si esternarono così le tesi eretiche del gesuita tedesco Karl Rahner (perito del cardinale Franz König durante il Vaticano II), imposto e studiato nei seminari e divenuto protagonista della svolta conciliare. Egli osò dire: “Nostro Signore deve conformarsi al mondo, non quest’ultimo a Lui!”. Il suo “cristianesimo anonimo” decretò che “chiunque segue la propria coscienza, cristiano o non cristiano, ateo o credente, ebbene tale persona è accettata da Dio e può conseguire quella vita eterna che nella nostra fede cristiano-cattolica noi confessiamo come fine di tutti gli uomini”.
La sua influenza si dimostrò devastante; la sua “dottrina”, presentandosi come un simulacro d’ortodossia, di fatto cedette ai desideri del mondo. Rahner invitò all’abbraccio tra teologia e filosofia, contrastato da chi gli obiettava che “se la Verità (teologia) cede alla filosofia, o trattiamo la Verità come tale, o non siamo più di fronte alla Verità, ma al mero relativismo”.
Il suo ideale di Chiesa “inclusiva” necessita, secondo il suo pensiero, di un impianto ecclesiale rivoluzionario: nuove pastorali, nuovi sacramenti, nuova teologia e nuova liturgia, affinché si possa “traslocare” la centralità di Gesù Cristo e la sua Presenza Reale in favore dell’uomo. L’amore per il “diverso” arriva a escludere il prossimo, anche se profondamente credente, per includere il distante, anche se assolutamente miscredente. La fede diventa ciò che immaginiamo del divino e non vediamo, ma si può concretare nell’uomo che vediamo. L’umanità è destinata a ricevere, a suo tempo, per mezzo della Grazia, la divinizzazione promessa, ma il gesuitismo sottrae all’uomo l’esperienza fondamentale della Croce, abolendo la conversione al Cristo Crocifisso, morto e risorto. Il povero viene usato per “divinizzare” l’uomo, senza pensare che anche il povero, come disse Madre Teresa di Calcutta, deve convertirsi a Cristo. La pastorale, com’è d’uso nel gesuitismo, sostituisce la dottrina e chi non accetta questo “dogma” pecca contro la misericordia.
Questa teologia è parte integrante del modernismo, già definito “sintesi di tutte le eresie” da San Pio X nell’Enciclica del 1907 Pascendi Dominici grecis; il quale a proposito dei Gesuiti affermerà: “Non si allontana dal vero chi li ritenga fra i nemici più dannosi della Chiesa”. Il cardinale Carlo Maria Martini, gesuita, dichiarò che “la Chiesa è in ritardo di almeno 300 anni”. In ritardo rispetto a cosa? Alla modernità! Fu un appello a evitare le dispute dottrinali per collaborare soprattutto all’incontro ecumenista. “Grazie” all’invito, i protestanti furono fatti entrare, come “cavalli di Troia”, in qualità di periti dentro il Concilio Vaticano II e integrati in seno al cattolicesimo, il quale non potrà che essere contaminato dai loro “adattamenti teologici”.
L’amletico Paolo VI riconobbe, più o meno convintamente, i gruppi carismatici cattolici originati dall’integrazione con i non cattolici e i non cristiani. La formazione dei loro incontri ecumenici vide sempre i Gesuiti come protagonisti. Negli incontri si abbandonarono il Signum Crucis e l’affermazione centrale e cruciale del credo cristiano cattolico – “nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” – per una generica evocazione dello “spirito”. Ci si concentrò sull’appagamento di una presunta unità insieme ai presenti (cattolici, pentecostali protestanti e non cristiani) sulla base di singole emozioni, facendo credere di adorare una stessa “energia divina”. Il Dio tutt’Uno del De Chardin panteista divenne “un sogno” possibile, e anche il sogno di una umanità “fusa in Dio” (ovviamente non cattolico).
E Gesù Cristo si trasformò in un maestro universale, nato dalla “Nuova Èra” grazie alla spinta spiritualistica dei movimenti carismatici. Non fu più il “capo del Corpo, cioè della Chiesa” (Colossesi 1:18). Il gesuita indiano Anthony de Mello (1931-87), scomunicato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, definì Dio “puro vuoto”, e Gesù Cristo non “figlio di Dio” ma “colui che ha insegnato che tutti gli uomini sono figli di Dio”. Affermò, in un mix di cristianesimo e tradizioni orientali, che “la mente ha un potere che trasforma i desideri in realtà”. Anthony de Mello è morto, ma i suoi insegnamenti sono entrati nella nuova tradizione degli esercizi del gesuitismo.
Ricorrere ai sogni, ai desideri, per renderli una realtà indipendentemente dal sogno o dal desiderio, è tipico del “magistero” gesuitico. Speculazione che si ritrova nella New Age, movimento condannato dalla Chiesa per le sue tesi incompatibili e opposte al cristianesimo, della quale comunque il “pio” gesuita De Chardin fu uno dei principali ispiratori. Il pastore protestante Rick Warren, studente dei centri di formazione dei Gesuiti, scrisse: “La Chiesa (somma di tutte le comunità cristiane cattoliche e non) è più grande di qualsiasi organizzazione al mondo. Tuttavia possiamo allargarci, includere, far entrare i musulmani, i buddhisti, gli induisti, tutte le religioni. Sento davvero che dobbiamo costruire ponti e abbattere ogni muro”… Non sono forse le stesse parole uscite dalla bocca di Bergoglio?
I Gesuiti si sono sempre sentiti prima Gesuiti e poi cattolici. Nel corso del XX secolo si convinsero, come nel XVI, che la Chiesa versasse in pericolo mortale e che solo loro potessero scongiurare la catastrofe. Nel 1954 Pio XII mostrò al suo confessore gesuita padre Entrich gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola: “Qui dentro troviamo la Compagnia di Gesù come Noi l’amiamo. Lo spirito di disciplina della Compagnia si è affievolito […] Noi siamo molto preoccupati dei Gesuiti di oggi. Ci rivolgiamo un rimprovero, di non esser intervenuti in modo più energico”. Il Venerabile Pio XII si chiedeva forse se sarebbe stato opportuno intervenire nella maniera di Clemente XIV?
Durante il papato di Benedetto XVI, il gesuitismo ritenne che la tradizione si stesse troppo rivalutando, che si tornasse indietro nella storia della Chiesa, e l’occasione della sua rinuncia fu troppo ghiotta per non approfittarne. Benedetto, in occasione della 35esima Congregazione Generale della Compagnia di Gesù nel gennaio 2008, pretese il rispetto della fedeltà, sancita dal caratteristico “quarto voto” di obbedienza al Successore di Pietro, e chiese con fermezza che “la congregazione generale riaffermi la propria totale adesione alla dottrina cattolica”.
Bergoglio
Ma ciò che si era paventato nel conclave precedente si materializzò con l’elezione di Jorge Mario Bergoglio. Occorre dire che un gesuita non avrebbe potuto essere eletto cardinale né tanto meno papa, e infatti nessun gesuita fino ad allora, per volontà del fondatore, era diventato pontefice. Bergoglio di fatto non rispettò lo statuto dell’Ordine che impedisce ai membri di accettare le cariche ecclesiastiche. Padre Bartolomeo Sorge, già direttore della “Civiltà cattolica” (oggi guidata da padre Antonio Spadaro, braccio destro del Papa), a parte i suoi demeriti (come guardare con simpatia al movimento cattocomunista della Rete di Leoluca Orlando), in quel caso ebbe il coraggio di esprimere stupore per la scelta del confratello argentino. L’unico precedente era stato il cardinale Martini, che – si disse – aveva accolto la porpora cardinalizia soltanto perché Giovanni Paolo II gliel’aveva imposta. L’obbedienza è l’unica deroga al voto, dunque, e nessuno ovviamente impose a Jorge Mario Bergoglio di accettare la carica di Romano Pontefice.
Arrivati a questo punto, non potendo evidentemente trattare tutta la storia della Compagnia di Gesù, ci chiediamo: “Cosa resta oggi di Sant’Ignazio di Loyola? Che fine ha fatto il ricordo del ritiro in meditazione (1522) del suo fondatore nella grotta di Manresa in Catalogna? Che fine ha fatto il carisma originario dell’Ordine, il quale ha regalato al Cattolicesimo due Dottori della Chiesa come Roberto Bellarmino (1542-1621) e Pietro Canisio (1521-1597), 150 santi, tra cui San Francesco Saverio, e 500 beati? È anche possibile che molti semplici gesuiti non se ne rendano conto, ma i loro capi attuali hanno abbandonato lo spirito originale del santo basco e degli altri santi, fino a diventare una “spina nel fianco” della Chiesa e di molti papi.
Nel 2017 Arturo Sosa Abascal, appena eletto preposito generale della Compagnia Di Gesù, concesse un’intervista al vaticanista Giuseppe Rusconi a proposito del Sinodo della Famiglia, esternando una tesi di questo calibro: “Si dovrebbe fare una riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù sulla famiglia. Al tempo nessuno aveva un registratore […] le parole di Gesù vanno contestualizzate, sono espresse con un linguaggio fatto in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito”. Secondo il “distillato teologico” del gesuita, i Vangeli vanno storicizzati e la Sacra Scrittura dovrebbe essere sottoposta a una nuova ermeneutica. Uso a spararle grosse, Sosa Abascal durante l’ultimo meeting riminese di Comunione e Liberazione ha detto che “il diavolo esiste come realtà simbolica, non come realtà personale”. Il presidente degli esorcisti, padre Francesco Bamonte dei Servi del Cuore Immacolato di Maria, ha replicato: “Il diavolo può assumere forme diverse in relazione all’uomo, ma solo perché è in effetti una realtà concreta e non simbolica”.
L’aneddotica sul gesuitismo potrebbe proseguire, ma si è compreso che le missioni moderne della Compagnia (“muoversi alla luce dei tempi”, per il “progresso delle anime”, nel “rapporto fecondo con le altre culture”, eccetera) ha spinto la stessa alla ricerca compulsiva di un’arbitraria creatività. Ciò ha determinato una dicotomia tra l’origine del messaggio evangelico e i desiderata di un Ordine che, avendo di fatto ordinato la cessione di fette di sovranità cattolica a favore di teorie filosofiche e religiose endogene, è uscito dal perimetro dell’ortodossia, cadendo negli orridi dell’apostasia.