Un secolo e mezzo dopo il Congresso di Vienna, la comunità si è affrancata con un referendum dal cantone di Berna
Nel 1978 il Giura è diventato il 23° cantone svizzero. Stato feudale fin dal XI secolo, il piccolo principato fu per lungo tempo in ballottaggio tra la Francia, la Confederazione e l’autogoverno.
Nel 1815, finalmente, il congresso di Vienna ne decise l’annessione alla Svizzera, senza però tener conto delle richieste di statuto cantonale da parte giurassiana; in pratica, l’ex principato di lingua romanza fu incorporato nel Canton Berna (germanofono): con tali criteri fu, più o meno, creato lo stato italiano… Gli Elvetici, al contrario, sembrano non vergognarsi di mettere riparo – anche se con 163 anni di ritardo – a una palese ingiustizia: le votazioni del marzo 1977 hanno dato ragione ai separatisti antibernesi, e ora il nuovo cantone (68.000 abitanti su un territorio di 837 Kmq) ha nella sua capitale Delémont un parlamento di 60 deputati, un governo di 5 membri e un tribunale cantonale.
La battaglia che ha preceduto la secessione è di carattere squisitamente etnico. Robert Béguelin, segretario del Rassemblement Jurassien, ha dichiarato a Giovanni Bonalumi: “L’etnia del Giura è quella francese. È un fatto incontestabile, suffragato da secoli e secoli di storia. La Svizzera è malauguratamente dominata dall’etnia tedesca”. Problemi simili ai nostri anche nella Confederazione, dunque, ma affrontati con ben altro taglio. Béguelin lamenta anche la colonizzazione del Canton Ticino: “Supponiamo che gli Zurighesi installati ad Ascona ottengano la maggioranza dei voti e decidano di annettere il borgo al cantone di Zurigo. Non ne hanno, grazie a Dio, il diritto. Se il Ticino costituisce una comunità italofona, come di fatto ancora avviene, nessuno è legittimato a unire Ascona allo Stato zurighese. Tocca all’insieme del Ticino decidere”.
Il succo del discorso è il seguente: se un gruppo etnico può decidere democraticamente la propria autodeterminazione o la conservazione della stessa, è indispensabile che siano i suoi appartenenti e nessun altro a esprimersi nel voto. Non è certo il caso della repubblica italiana, dove non esistono “cittadinanze” locali. È, purtroppo, un circolo vizioso: se in un territorio minoritario vi è una massiccia presenza di allogeni, essi hanno diritto di pronunciarsi contro l’autonomia (per non parlare di separazione), rendendo di fatto vano ogni sforzo di autodeterminazione. Senza contare che, in caso di referendum locali, si verrebbero a delineare gruppi etnici di serie B, svantaggiati rispetto ad altri da una maggiore concentrazione di allogeni, cosa inammissibile moralmente e giuridicamente. Oltr’alpe, come abbiamo visto, non si corre un simile rischio. Quanto accade nel Giura deve farci ripensare con indignazione alla semantica generalizzata entro i nostri confini: ciò che in Svizzera sta, infatti, alla base dell’ordinamento giuridico – federalista e pluricratico – viene da noi, inspiegabilmente, chiamato “razzismo”.