Indipendentemente dalle ragioni umane e storiche delle parti in conflitto, i misfatti perpetrati contro i cristiani non hanno giustificazioni, anche se si fa di tutto per dimenticarli. E, da orrore a orrore, questa aggressione contribuì alla nascita della dittatura franchista.
La guerra civile spagnola gode di un’ampia bibliografia storiografica. Fu la guerra più crudele di Spagna. I caduti in battaglia e le vittime del conflitto tra repubblicani e nazionalisti portarono a un bilancio difficile da valutare: da varie fonti, invero controverse, si possono ipotizzare nella misura di diverse centinaia di migliaia di morti. Una pagina di storia caduta nell’oblio dalla storiografia, perlomeno fuori dalla Spagna franchista. Nei libri di testo dei nostri licei e nelle nostre università è molto difficile, se non impossibile, affrontare gli orribili fatti avvenuti durante la Repubblica Spagnola dal 1931 al 1939. Dal 1975, con la fine del regime di Francisco Franco, la narrazione dell’evento è diventata esclusiva e mito di una sinistra legata a un passato tramontato, che rifiuta di fare i conti con la propria storia.
Il pregiudizio che ha impedito di far luce sulla verità storica, occultando le pagine buie della persecuzione religiosa, è il risultato di decenni di narrazione politica – libri, media, filmografia – unilaterale e ideologica. Dal 2006, l’apertura dei documenti dell’Archivio Segreto Vaticano sul papato di Pio XI (1922-1939) ha permesso di analizzare oggettivamente gli eventi della Spagna dal 1931 fino al 1939. Fuori dagli stereotipi, dunque è giusto approfondire dopo 86 anni il ruolo della Chiesa Cattolica in difesa della sua sopravvivenza.
Lo storico Vicente Cárcel Ortí, sacerdote spagnolo che da decenni studia negli archivi la storia della Chiesa moderna, ha ammonito: “Pur cosciente del fatto che l’imparzialità totale non esiste, lo storico deve fare lo sforzo di cercare il massimo dell’obiettività di fronte a una materia che, dopo più di ottant’anni, suscita ancora tante polemiche”.
La Spagna, della cui formazione storica il cattolicesimo è parte integrante, negli anni ‘30 subì l’“assalto al Cielo”, per usare la definizione di Karl Marx a proposito della rivoluzione della Comune di Parigi (1871): l’evento raccolse linfa dal secolare attacco al cristianesimo affinché si potesse sciogliere, per sempre, l’interconnessione tra lo Stato e la Chiesa.
Tutto ebbe inizio quando, dopo le elezioni amministrative del 12 aprile 1931, venne proclamata la Seconda Repubblica spagnola, il 14 aprile. I monarchici conseguirono la maggioranza in tutto il Paese, ma a Madrid e in alcune grandi città prevalsero i repubblicani. Re Alfonso XIII, per evitare scontri e spargimenti di sangue, che avverranno comunque, lasciò il trono (abdicò ufficialmente nel 1941) e andò in esilio a Roma. Il 10 maggio a Madrid, Valencia e Málaga, scoppiarono incendi, con saccheggi e devastazioni di chiese e di conventi che porteranno a una prima distruzione del patrimonio artistico storico e culturale della Chiesa. Le elezioni politiche del giugno 1931 vedranno socialisti, repubblicani, liberali, comunisti, marxisti e anarchici uniti in coalizione. Solamente il presidente della Repubblica, Niceto Alcalá Zamora y Torres, e il ministro dell’Interno del governo provvisorio (aprile-luglio 1931) saranno cattolici.
Papa Pio XI, turbato, riunì i cardinali della Sacra Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari affinché si esprimessero sull’opportunità di riconoscere diplomaticamente la Repubblica. La Santa Sede, attraverso il nunzio apostolico di Madrid, avanzò la proposta di un riconoscimento a condizione del rispetto delle proprie prerogative spirituali e pastorali.
Alla fine del 1931, invece, verrà approvata la nuova Costituzione e si comincerà a legiferare in senso anticlericale. Il regime liberticida ridusse la Chiesa a una associazione, ne confiscò i beni a favore dello Stato, nazionalizzò il patrimonio e nel 1932 soppresse la Compagnia di Gesù. Gli assalti agli edifici religiosi continuarono e il primate di Spagna e Arcivescovo di Toledo, il cardinale Pedro Segura y Sáenz, venne cacciato. Costretto a riparare a Roma, tornerà in patria come arcivescovo a Siviglia nel 1937, al solo servizio della Chiesa, cosa che lo metterà in urto con Franco.
Nel 1933 venne promulgata la Ley de Confesiones y Congregaciones Religiosas, che limitò fortemente il culto: le messe, di fatto, verranno celebrate in clandestinità. S’impose la rimozione dei simboli religiosi da edifici pubblici, piazze e strade.S’incentivò la laicizzazione dei matrimoni, dei funerali (proibito seppellire in terreno benedetto chi in vita non ne avesse fatto esplicita richiesta), si adottò il divorzio e “s’inceppò l’insegnamento della religione nelle scuole”.
A questo punto, il 3 giugno 1933, Pio XI si pronunciò per la prima volta ufficialmente sulla situazione spagnola. Con l’Enciclica Dilectissima nobis, parlò chiaramente di persecuzione a causa delle “nuove leggi lesive” dell’ordinamento giuridico. Puntualizzò che la “Chiesa Cattolica non è legata a una forma di governo (monarchia) piuttosto che a un’altra (repubblica), purché restino salvi i diritti di Dio e della coscienza cristiana”. Nel documento pontificio traspariva un via libera all’utilizzo di rimedi a difesa del cattolicesimo da parte degli spagnoli sottoposti, con la Chiesa, alle vessazioni solo per voler vivere liberamente la propria fede. Negli scritti di Eugenio Pacelli, futuro papa Pio XII, si trovano registrati i momenti di tensione del predecessore, il quale sembrava intenzionato a rompere con la Repubblica. Cento note diplomatiche di protesta del nunzio apostolico, cardinal Federico Tedeschini, testimonieranno l’intervento “alla difesa della Fede e per allontanare i pericoli che minacciano lo stesso civile consorzio”.
La “rivoluzione” si scatena
Le elezioni politiche del 1933 portarono alla vittoria del centrodestra, ma con una maggioranza non autosufficiente:per formare un governo esso dovette allearsi con i repubblicani moderati. I risultati vennero respinti dalle sinistre provocando la rivoluzione nelle Asturie, terre di miniere che fin dagli anni venti erano estremamente sindacalizzate. Si costituì una coalizione governativa tra la Confederazione Spagnola delle Destre Autonome (CEDA), che trionfò, e i radicali del massone Alejandro Lerroux, secondi alle elezioni, mentre i socialisti arrivarono terzi. Inspiegabilmente il presidente Niceto Alcalá-Zamora y Torres incaricò Lerroux di costituire un governo e la CEDA lo appoggiò esternamente. L’8 dicembre 1933 si scatenarono violenze anarco-sindacaliste e assalti alle caserme; gli insorti causarono il deragliamento del treno Barcellona-Siviglia. A Saragozza l’esercito impiegò più giorni per domare le ribellioni. Nel frattempo il governo dichiarò lo stato di emergenza e arrestò tutti i capi dei sindacati anarchici della Confederación Nacional del Trabajo e della intransigente Federación Anarquista Ibérica. Il leader dei socialisti Francisco Largo Caballero intensificò le proprie minacce rivoluzionarie.
Il governo Leorrux, formatosi dopo le elezioni del ‘33, si dimise per protesta contro la Ley de Amnistía del 20 aprile 1934 del presidente della Repubblica, che concedeva la grazia al promotore del tentato colpo di Stato di due anni prima: il filo monarchico José Sanjuro. Nell’aprile del 1934 nacque il governo di Ricardo Samper, formato dalle forze politiche che sostenevano Lerroux e dalla Ceda. Quest’ultima però il 26 settembre tolse il suo sostegno al governo e aprì la crisi. Samper si dimise e fu nuovamente incaricato Lerroux, che inserì nel governo tre rappresentanti della CEDA. La sinistra di Azaña attaccò il governo e indisse lo sciopero a Madrid.
Era l’ottobre 1934 e in una settimana vennero trucidati una quarantina di ecclesiastici, tra i quali nove fratelli delle scuole cristiane (canonizzati nel 1999) impegnati come maestri dei bambini dei minatori locali. In questo alternarsi di governi, i repubblicani in qualche misura tentarono di impostare nuovi rapporti con la Santa Sede. Il ministro degli Esteri, Leandro Pita Romero, manifestò la volontà di collaborare, soprattutto nella revisione della Costituzione: punto ineludibile per la Chiesa. Venne ricevuto in Vaticano il 10 giugno 1934. Pio XI e Pacelli ascoltarono proposte e richieste che però ritennero del tutto inaccettabili.
Nell’agosto 1934 Pacelli scrisse:“Il Santo Padre, il quale ha voluto occuparsene personalmente, non vuol negare che l’Ambasciatore mostra qualche buona volontà, ma il suo progettouti iacetnon è accettabile”. E nel marzo 1945 continuava: “Rispondere che, trattandosi da una parte di una Costituzione che essi dicono di non poter cambiare, mentre essa è in linea religiosa vessatoria e persecutrice, teme il Santo Padre che questo modus vivendinon sia che una preparazione; quanto più avremo concesso, tanto meno avremo in mano per un futuro concordato […] Finché le cose stanno così, non si vede come si possa fare un modus vivendi”.
Il 16 luglio il papa autorizzò Pacelli a comunicare all’ambasciatore Pita che “le trattative non sono rotte, ma soltanto sospese, finché la Costituzione potrà essere riformata”.
Con la vittoria delle sinistre unite nel Fronte Popolarealle elezioni del febbraio 1936, la situazione precipitò. I brogli elettorali, le violenze, le divisioni a destra, la costituzione di una “terza forza” cattolica, diedero alle sinistre la maggioranza parlamentare, anche perché la legge elettorale arbitrariamente revocò le elezioni nelle circoscrizioni vinte dalla destra. Le forze rivoluzionarie bloccarono l’attività del governo facendolo cadere. Vennero indette nuove elezioni per il 16 febbraio 1936. Le sinistre del Fronte popolare, gli anarchici e gli extraparlamentari andarono al potere e il massone repubblicano, Manuel Azaña Díaz, venne eletto presidente della Repubblica. Le masse popolari vissero la vittoria come l’inizio di una rivoluzione. Un’esplosione di collera si abbatté contro i proprietari terrieri, i notabili conservatori e il clero cattolico. Le sedi dei partiti di destra furono devastate e militanti subirono arresti illegittimi. Per la Chiesa e i cattolici la situazione diventò drammatica. I repubblicani scatenarono la caccia al religioso (che terminerà solo alla fine della guerra). Dal febbraio al giugno 1936 si conteranno 269 uccisi, 1287 feriti, 251 chiese incendiate, profanate o demolite e conventi presi d’assalto. Il presidente della Repubblica Azaña esultò: “España ha dejado de ser católica!”, la Spagna ha smesso di essere cattolica.
I gruppi di destra risposero con le formazioni falangiste fondate da José Antonio Primo de Rivera nel 1933. Nato il 24 aprile 1903, era figlio del generale Miguel Primo de Rivera, al governo sotto il re Alfonso XIII. Avvocato, cattolico e monarchico, il 29 ottobre del 1933 fondò a Madrid il Movimento Nazional Sindacalista della Falange. Le basi del falangismo erano la patria come missione storica, lo Stato come strumento efficiente e autoritario, una giustizia sociale che superasse il capitalismo e il marxismo, la condanna della lotta di classe e dei partiti, il culto della famiglia e delle corporazioni come nuclei vitali, l’identificazione nella tradizione cattolica, la visione impersonale della vita basata sul sacrificio e sul servizio.
Rivera, inizialmente in contrasto con Franco, aderirà più tardi al progetto insurrezionale dei nazionalisti. Arrestato il 15 marzo del ‘36 dal Fronte Popolare in seguito a un attentato falangista, con l’accusa di porto d’arma illegale, verrà trasferito nel carcere di Alicante. Fu condannato a morte e fucilato il 20 novembre del 1936.
Con la Spagna divisa ormai in due fazioni in guerra, anche per la Chiesa la condizione s’aggraverà e alla fine del 1936 Pio XI chiederà a Pacelli di trattare. La Santa Sede avrebbe voluto contribuire a far cessare le ostilità e ottenere garanzie nelle parti soggette ai rossi. Pio XI non si schiererà. Gli ambasciatori di Francia e Gran Bretagna gli chiederanno d’intervenire secondo i loro interessi, ma egli, pur disponibile, non unirà la sua mediazione né alle forze dell’Asse, né a Londra o Parigi. “Il papa”, dirà Pacelli, “non ha interessi politici da difendere, pensa alla salvezza delle anime e alla salvezza della Chiesa”.
Intanto, per vendetta, il 13 luglio 1936 José Calvo Sotelo, capo della forza d’opposizione Renovación Españolaverrà trucidato dalle Guardias de Asalto, la milizia di sinistra (volevano uccidere il capo del maggior partito di destra spagnolo, la CEDA, ma non lo trovarono in casa). La goccia che farà traboccare il vaso. Fu una morte annunciata. Sotelo aveva protestato in parlamento contro le violenze dei miliziani comunisti, e il presidente del Consiglio,Santiago Casares Quiroga,si era lasciato sfuggire una minaccia nei suoi confronti: “La violenza contro il capo del partito monarchico non sarebbe un crimine”.
Ragioni dell’Alzamiento Nacional
Per la Chiesa cattolica sono note le condizioni che rendono lecita la resistenza attiva contro l’oppressione del potere. L’attualecatechismo le riassume al n. 2243: “Di fronte alla grave illegittimità del potere politico, occorre che non vi siano altri rimedi, che questi non siano peggiori del male che affrontano, e che vi sia una ragionevole speranza di successo”. Non è affatto difficile comprendere perché questo pensiero sia stato preso in considerazione, all’epoca, da parte dei nazionalisti.
Il governo del Fronte Popolare si era insediato per mezzo di violenze, di brogli, falsificazioni e illegittimi annullamenti dei risultati elettorali.
Le aggressioni duravano dalla proclamazione della II Repubblica nel 1931: i disordini, le violenze, i saccheggi, gli omicidi, non venivano sanzionati dalla legge quando le violenze erano delle sinistre. Così il 18 luglio 1936, nel Marocco spagnolo, alti ufficiali dell’esercito al comando di Francisco Franco si sollevarono contro il Fronte Popolare. Franco disse “di aver dato seguito all’insorgenza come un obbligo dettato dall’onore militare e dal senso cattolico”. L’Alzamiento (ribellione) sarà un reazionarismo in difesa della fede, oppure una “cruzada “, termine usato dal vescovo di Salamanca, monsignor Enrique Pla y Deniel, nella lettera pastorale Las dos ciudades del 30 settembre 1936. Anche se il modus operandi franchista paleserà divergenze con l’àmbito cattolico, la Chiesa non poté fare altro che appoggiare la ribellione. Il repubblicano Miguel Maura Gamazo nella primavera del 1936 scrisse: “I cittadini pacifici, dalle simpatie politiche più diverse, credono che ormai la costituzione sia lettera morta e che insulti, violenze, incendi, omicidi, distruzioni di proprietà non contino più per il codice penale se coloro che li commettono si pongono sotto l’egida stellata della falce e del martello. Noi repubblicani democratici che abbiamo fatto i più grandi sforzi per collaborare con il regime veniamo chiamati fascisti”.
Una fede profanata
La Seconda Repubblica spagnola fu il martirio dei credenti: l’odio contro Dio e i suoi servitori, figlio delle ideologie giacobine, radicali, del socialcomunismo marxista e dell’anarchismo. In un solo semestre e in un territorio circoscritto, contro settemila vescovi, sacerdoti, seminaristi e religiosi si consumò la strage. Il manifesto del Partito Socialista incitava a “distruggere la Chiesa e cancellare dalle coscienze la sua nociva influenza”. Innumerevoli furono gli oltraggi sacrileghi ai simboli sacri, la distruzione o la profanazione blasfema e iconoclasta delle chiese, degli arredi e dei vasi sacri, delle reliquie, dei luoghi di culto, dei simboli della fede.
Gli aggressori presero di mira anche i cimiteri. Le tombe, i cadaveri dei religiosi decomposti, gli scheletri vennero profanati e s’infierì su di essi. Sono note le processioni burlesche che non risparmiavano l’Ostia Santa, come le “fucilazioni” del S. Cuore, del Cristo del Cerro de los Angeles presso Madrid, nonché la riesumazione dei cadaveri mummificati di suore esposti al pubblico dileggio a Barcellona. Nella Madrid del 1936 la sinistra faceva sfilare le donne in corteo al grido di “Hijos sì, maridos no”, sì ai figli, no ai mariti; e uno degli slogan più diffusi, che s’insegnava anche ai bambini, era “Ni Dios, ni patria, ni padres”.
Dominati da un’ossessione demoniaca per paura della “contaminazione “ del sacro, i comitati rivoluzionari diffusero bandi che imponevano, sotto pena di morte, la consegna delle immagini, dei libri di pietà cristiana, dei rosari e degli oggetti di culto dei privati affinché fossero dati alle fiamme. La distruzione iconoclasta delle chiese (con propaggini fino al 1939) non fu solo l’effetto dell’isteria anticristiana, ma un’operazione deliberata dalle autorità locali repubblicane come atto amministrativo. Per le organizzazioni politiche della Seconda Repubblica, la Chiesa sarà un capro espiatorio, la sorgente del potere della reazione.
L’Alzamiento non fu tuttavia né organizzato né propiziato dalla Chiesa.
La voce della Chiesa
Una pubblica denuncia al mondo venne redatta dal segretario di Stato, cardinal Eugenio Pacelli, e approvata dal papa all’inizio della guerra: “Il Santo Padre non solo di tutti i credenti, ma anche di tutti i redenti, dice a tutti i nostri figli di Spagna: cessate dal sangue, dall’uccidervi tra voi, perché per il Padre è troppo straziante il vederlo”.
Pio XI si era già espresso, come abbiamo detto, con l’Enciclica Dilectissima nobis, dichiarando la posizione della Chiesa sul conflitto in atto in Spagna e sulle parti protagoniste, e ora prendeva posizione contro gli eccessi e soprattutto le contaminazioni ideologiche di tipo fascista.
Il 14 settembre 1936 il papa ricevette a Castel Gandolfo alcuni esuli spagnoli. Fa un’ampia allocuzione pontificia nella quale si parlava della persecuzione. Egli indirizzò la sua benedizione “a quanti si sono assunti il pericoloso compito di difendere e restaurare i diritti e l’onore di Dio e della religione”. Eppure, nonostante si registrassero già migliaia di ecclesiastici trucidati, il pontefice fece riferimento anche agli uccisori, i repubblicani, chiedendosi: “E gli altri dove sono? Gli altri sono figli nostri anche se loro non ci riconoscono come padre, noi li amiamo con amore di padre perché sono figli nostri”. Fu un discorso che ebbe una vastissima diffusione sulla stampa mondiale: si trattò del primo pronunciamento della Santa Sede sulla situazione spagnola; ma in Spagna, forse a causa della censura franchista, nessuno seppe che il Santo Padre aveva pronunciato quelle parole.
Riportiamo un passaggio della lettera collettiva dell’episcopato spagnolo ai vescovi di tutto il mondo, del 1° luglio 1937, nella quale si espresse apertis verbis: “In Spagna è stata così grave la ricaduta sull’ordine religioso, dove una delle parti belligeranti mirava alla eliminazione della religione cattolica, che noi vescovi non possiamo restarne al di fuori…”. A proposito di questa lettera, per anni è stato strumentalizzato il fatto che il cardinale di Tarragona, Francisco Vidal y Barraquer, e il vescovo di Vitoria, Mateo Múgica, emblemi dell’antifranchismo, non la firmarono. Ciò servì per tentare di sconfessare il carattere “collettivo “ del documento. Omettendo però di dire che dodici vescovi non firmarono perché furono barbaramente trucidati dai repubblicani o perché sottoposti ad atroci supplizi. Soltanto dopo il 1937 la Chiesa appoggiò una delle parti in conflitto, e la lettera dei vescovi venne interpretata come un appoggio ai nazionalisti.
Quanto al riconoscimento, nel giugno 1938, del governo di Franco da parte della Santa Sede, non significò che questa favorisse un allineamento di quel governo con l’Asse Roma-Berlino, ma il contrario. L’azione del Nunzio Apostolico fu utilizzata per contrastare questa eventualità. Pio XI era preoccupato dal nazismo che perseguitava la Chiesa in Germania. Nelle guerre, soprattutto quelle civili, vi sono luci e ombre, e neppure in questo caso possiamo sottrarre i protagonisti alla legge della storia. Tuttavia la Santa Sede fu messa nelle condizioni di riconoscere il governo di Franco: una scelta obbligata poiché egli, che lo si voglia o no, stava salvando la Chiesa spagnola dalla sua estinzione. Senza l’intervento dei nazionalisti la Chiesa sarebbe molto probabilmente scomparsa. Nessuno all’epoca sapeva che Franco sarebbe diventato un dittatore. Tant’è che nel dicembre 1938 Pio XI, con il nuovo nunzio cardinale Gaetano Cicognani, fece ancora un tentativo per porre fine alla guerra, ma il Caudillo si oppose al negoziato. I repubblicani erano stati ormai sconfitti e la guerra si chiuderà con la sua vittoria il 1° aprile 1939.
Beatificazioni e canonizzazioni
La Chiesa custodisce la memoria dei difensori della fede e rispetta tutti i morti, anche non cattolici, ai quali concede la pietas cristiana. Le vittime della persecuzione che accettarono di morire in nome di Dio, perdonando i loro carnefici, sono assurti alla Gloria dei Martiri. Sono coloro i quali non appartennero a fazioni politche, non presero le armi, non fecero la guerra, ma si rifiutarono di bestemmiare, di sputare sul Crocifisso o sulle effigi mariane come condizione posta dai loro aguzzini per aver salva la vita. Infine vi furono religiosi morti da soldati repubblicani e altre vittime innocenti, delle quali non si può provare la morte per fede.
Conclusa la guerra civile, nel 1939 la Santa Sede chiese di raccogliere nelle diocesi e nelle parrocchie i dati sulle persecuzioni. San Paolo VI decise di fermare l’iter ritenendo che fosse opportuno lasciar passare 50 anni da quei fatti dolorosi. Per di più, il papa pose una condizione: la Spagna doveva avere un governo democratico.
Dal 1987 al 2001, san Giovanni Paolo II beatificò più di 400 martiri della persecuzione religiosa, tra i quali le tre carmelitane scalze di Guadalajara nel marzo 1987 e 233 martiri di Valencia l’11 marzo 2001. Il 28 ottobre 2007 furono beatificati a Roma 498 martiri. In Spagna, la cerimonia di beatificazione collettiva non fu affatto apprezzata dalla sinistra. Il Vaticano venne accusato di revisionismo, alcuni giornali parlarono persino di “legittimazione di Franco e del fascismo”. Un po’ come da noi le reazioni alla Giornata del Ricordo! Il 13 ottobre 2013 papa Francesco ne esaltò all’onore degli altari altri 522, beatificati a Tarragona nella cerimonia presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
Con questi ultimi, il numero sale a 1512 beatificati e 11 canonizzati. Risulta che presso la Congregazione delle Cause dei Santi siano pendenti processi riguardanti altre 2000 persone.
In tutto, la persecuzione anticattolica ha causato in Spagna6832 morti. Di questi, 4184 erano membri del clero secolare, fra cui 12 vescovi (di cui 9 già beatificati) e un amministratore apostolico; 2365 erano i religiosi, 283 le religiose e quasi 3000 i laici. Le violenze più intense si ebbero tra il 18 luglio 1936 e il 1º aprile 1939, quando il 70 per cento delle chiese spagnole vennero distrutte con profanazioni e atti palesemente sacrileghi. Per farsi un’idea di quell’abisso, resta sempre validissimo il libro di monsignor Vicente Càrcel Ortì, Buio sull’altare. 1931-1939: la persecuzione della Chiesa in Spagna, Città Nuova, Roma 1999.
Per un approfondimento accurato dei martiri iberici si può utilizzare il libro di Mario A. Iannaccone Persecuzione. La repressione della Chiesa in Spagna fra Seconda Repubblica e Guerra Civile (1931 1939), Lindau 2015. Lo studio di Iannaccone, oltre 600 pagine, il più completo e recente in lingua italiana, documenta il sacrificio immane cui furono sottoposti i cattolici in una delle più feroci persecuzioni contro il cristianesimo. Iannaccone smentisce inoltre la falsità che la Chiesa sia stata perseguitata dai repubblicani del governo Azaña solo dopo che i vescovi si erano schierati con i nazionalisti. In effetti la persecuzione iniziò nel maggio del 1931, e poi con i martiri nella rivoluzione delle Asturie nel 1934. Molti di loro erano giovani seminaristi, studenti tra i 18 e i 21 anni, come i fatebenefratelli di San Giovanni di Dio, gli agostiniani di El Escorial, i francescani, i domenicani, i trinitari, i carmelitani, gli scolopi, i salesiani.
L’autore ha trattato i casi più violenti, come il massacro dei 51 clarettiani di Barbastro, uccisi dal 20 luglio al 18 agosto (nella diocesi di Barbastro vi fu la più alta percentuale di religiosi assassinati in tutta la Spagna): i seminaristi tenuti prigionieri in pessime condizioni, durante un’estate torrida, subirono un lento calvario, mentre i carnefici miliziani tentavano in tutti i modi di farli abiurare, introducendo nel luogo della prigionia delle prostitute e alcune miliziane per sedurli. Fecero sfilare le donne vestite con i paramenti sacri, una sceneggiata per irridere la virilità di uomini che indossavano la tonaca. Gli abiti clericali femminili e soprattutto maschili erano considerati innaturali poiché mortificavano il sesso anatomico (alcuni religiosi prima di essere messi a morte chiedevano perché, e la risposta era: “Per i vestiti che porti”).
A Consuegra (Toledo) vennero uccisi 20 francescani e 16 carmelitani, un’esecuzione accettata dal sindaco e dai membri del consiglio comunale. Venivano uccisi anche i monaci che operavano negli ospedali, come gli 11 hermanos dell’Hospital Infantil de Malavarrosa trucidati a Cabanyal de Valencia. O i 46 hermanos maristas (Montcada, Barcellona): i maristi furono una delle congregazioni più colpite dai miliziani comunisti.
Iannaccone nel libro non risparmia i dettagli più cruenti delle uccisioni, come il caso del giovane padre Gabriel Albiol Plou. Una crudeltà estrema: “Gli tagliarono entrambe le orecchie e poi lo costrinsero a bagnare le ferite con l’acqua di mare. Fu frustato e bastonato in tutto il corpo. Gli furono bucati gli occhi, rendendolo cieco. Gli tagliarono la lingua, poi i genitali, quindi gli infilarono la baionetta in un orecchio. Dopo la tortura fu colpito da alcune pallottole e lasciato morire lentamente a dissanguarsi”.
Dai documenti risulta che, dei circa 8000 religiosi uccisi, soltanto uno abbia abiurato.