Al di là della pietas cristiana, non ci uniremo agli “orfani” del teologo Hans Küng (come ad esempio Georg Bätzing, vescovo di Limburg e presidente della Conferenza Episcopale Tedesca), nato nella terra di Calvino e morto a 93 anni nella terra di Lutero lo scorso 6 aprile.
L’evento ha in effetti causato il pianto dell’ecclesia progressista, che ha perso un formidabile araldo dell’ostilità verso la Chiesa di Roma. Proprio per il suo dissenso nei confronti della Tradizione della Chiesa, che nel libro Credo del 1992 bollò come “mentalità confessionale da ghetto”, fu l’idolo mediatico del cosiddetto “movimento di riforma”. Fu, per questo, il prototipo contemporaneo del teologo continuatore dell’astio antiromano che aveva albergato, fino al parossismo, nell’inquietudine di Martin Lutero. Uno studioso di Dio, con lo sguardo a terra, il quale si spese nel “fare le pulci” all’organizzazione immanente della Chiesa, piuttosto che cogliere il messaggio escatologico dell’eternità nell’abside celeste, cuore del Verbo.
Quando ne affrontò il tema, deragliò subito affermando: “La Chiesa non venne fondata da Gesù; sorse dopo la sua morte. Prima della Pasqua non c’era altro che un movimento escatologico collettivo, ma solo in seguito divenne una comunità, il cui fondamento primo non è il culto o un’organizzazione, ma solo ed esclusivamente la professione di fede nel Messia Gesù”.
Attraverso la tesi della realtà “post pasquale” della Chiesa, Hans Küng cadde nell’arianesimo, sottoponendo la Seconda Persona della Trinità a uno scivolamento di Cristo dalla croce verso la polvere del “Dio solo uomo”. La dimensione trinitaria in effetti, prima, durante e per l’eternità, detiene in Sé il progetto delle fondamenta della Chiesa visibile e Corpo di Cristo. Verità come: filiazione divina, nascita verginale, discesa agli inferi, Resurrezione, Ascensione, Spirito Santo e status della Chiesa, vennero stravolte dall’ego straripante di Küng sfigurando di fatto il cattolicesimo.
Astioso
Distante non solo geograficamente dal cuore di Roma, egli nacque il 19 marzo 1928 nella Svizzera tedesca a Sursee nel Cantone di Lucerna. Studiò teologia all’Università Gregoriana e venne ordinato sacerdote a Roma nel 1954. La sua prima Messa venne celebrata niente meno che nella Basilica di San Pietro, con quell’abito talare dal quale si affrancò presto, dissimulando il cattolicesimo anche nell’esteriorità. Studiò a Parigi all’Istituto Cattolico, e nel 1957 ottenne il dottorato in teologia con una tesi sulla giustificazione basata sugli studi del protestante svizzero Karl Barth. A soli trentadue anni venne nominato professore di Teologia fondamentale e dogmatica nella cittadella universitaria di Tubinga in Germania, dove insegnò con Joseph Ratzinger, colui che sarrebbe giunto sino al Sacro Soglio con il nome di Benedetto XVI.
Küng deragliò presto e, libro dopo libro, manomise l’ortodossia dottrinale, anche se sui suoi testi si sono formate generazioni di sacerdoti, con pesanti conseguenze per la Chiesa. Nel 1963, pubblicò conle Editions du Seuil un’antologia di conferenze tenute durante il Vaticano II dal titolo Le Concile, épreuve de l’Eglise. Il suo connazionale e teologo Charles Journet nella rivista”Nova et Vetera”(ottobre-dicembre 1963) non risparmiò una severa critica al suo testo: “Diverse cose in questo libro ci sembrano deplorevoli”. Lo stesso anno Küng pubblicò Le strutture della Chiesa, apologia del dialogo ecumenico con i protestanti, stigmatizzato dal futuro cardinale Journet il quale nel periodico”Nova et Vetera”(gennaio-marzo 1964) lo accusò di aver alterato copiosamente il Vaticano II attraverso il relativismo dogmatico.
Nel 1970 Küng pubblicò una critica radicale dell’infallibilità papale (traduzione in francese del 1971) nel suo libro Infallibile? Una domanda. Per avere preso posizioni contro l’insegnamento della Chiesa, fu messo all’indice dalla Congregazione per la Dottrina della Fede che gli ritirò la missio canonica,grazie alla quale insegnava teologia nelle università. In quella circostanza non mancò la solidarietà dell’Università di Tubinga che gli creò su misura un istituto per la ricerca ecumenica, consentendogli di insegnare fino al 1996.
Ma l’opera in cui l’acredine di Küng per Roma raggiunse l’apogeo fu Perché un’etica mondiale del 2002: nel libro-intervista del giornalista tedesco Jürgen Hoeren, tradotto in italiano nel 2004 dalla Editrice Queriniana, sosteneva che “l’ostacolo all’ecumenismo fu il papato, mentre la Curia impedì che il Vaticano II decidesse, sia in materia di comunione eucaristica, che in questioni come la contraccezione o il celibato”. Contrario al Concilio Vaticano I, disse: “C’è bisogno di uno spostamento del potere da quel sovrano (il Papa) per dirottarlo collegialmente alle Conferenze episcopali nazionali”.
Egli dette giudizi contrastanti rispetto ai pontefici regnanti sul trono di Pietro. Pio XII per Küng fallì nell’atteggiamento verso gli ebrei (smentito dagli studi recenti su Eugenio Pacelli), affermando arbitrariamente che “per lui gli ebrei erano privi di importanza”. Un accanimento esecrabile in quanto, come ormai è stato assunto storicamente, Pio XII aveva organizzato il salvataggio degli ebrei nei monasteri a Roma e altrove e per questo fu ringraziato da molti rabbini. Inoltre, come Segretario di Stato della Santa Sede sotto Pio XI, aveva concorso nel 1937 alla stesura dell’Enciclica Mit brennender Sorge sulla situazione della Chiesa nel Reich germanico (in opposizione al nazismo), scritta in tedesco e letta in tutte le chiese della Germania. Ovviamente, ciò aveva esposto la Chiesa alle ritorsioni di Hitler. Küng celò volutamente questa prova di coraggio nella foga di spacciare il falso storico di un Pio XII antigiudaico, fino a opporsi alla volontà di beatificarlo prima con Paolo VI e poi con Benedetto XVI.
Contro Wojtyla e Ratzinger
Fu benevolo nei confronti di Giovanni XXIII perché era convinto che Roncalli, oltre ad aver inaugurato una stagione nuova della Chiesa che si affrancava (sic!) da papa Pacelli, avrebbe espresso un paradigma diverso rispetto ai successori presi costantemente di mira dalle sue invettive. Raccontò di essersi “allarmato” dopo la Humanae vitae di Paolo VI, ma quando morì Montini riconobbe che il papa liberale nei suoi confronti non era stato troppo intransigente. Entrò in rotta di collisione con Giovanni Paolo II, ritenuto “una speranza delusa e poi un papa medievale” soprattutto in merito alla dottrina morale. Karol Wojtyla si rifiutò sempre di riceverlo, nonostante le insistenze del teologo.
Nel 1995, Giovanni Paolo II pubblicò l’Enciclica Evangelium vitae, dove a proposito dell’aborto diceva: “Con l’autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi successori, in comunione con i vescovi, che a varie riprese hanno condannato l’aborto […] dichiaro che l’aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta e trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal magistero ordinario e universale”. Invero, non si comprende cosa avrebbe dovuto dire di diverso un Romano Pontefice, eppure Küng (fortunato per non essere vissuto ai tempi di papa Innocenzo III), vomitò su Karol Wojtyla l’accusa infame di essere “un dittatore spirituale” deciso a “distruggere la libertà di coscienza”.
Hans Küng conosceva il coetaneo Joseph Ratzinger. Malgrado questi, appena divenuto papa, lo avesse amichevolmente invitato nella residenza estiva di Castelgandolfo, Küng non riuscì a celare l’invidia verso l’altissimo ufficio sacro assunto dall’ex collega: lo accusò di aver tradito le aperture ecumeniche del Vaticano II, sostenendo che “il Concilio rappresenta, in base al diritto canonico, l’autorità suprema della Chiesa cattolica” (proprio lui che il diritto canonico lo aveva calpestato). Cercò dunque di far credere ai cattolici sprovveduti e ai laicisti, costantemente in malafede con il papa teologo, che Benedetto XVI fosse un reazionario.
Küng mise giustamente il dito sulla grave piaga della pedofilia nella sfera ecclesiastica, ma omise di riconoscere che – già da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede sotto Wojtyla – il cardinale Ratzinger si era adoperato affinché gli autori di abusi sessuali fossero sottoposti ad azioni disciplinari. Il prefetto dell’ex Sant’Uffizio aveva convinto il papa polacco a creare una commissione che facesse piena luce sugli esecrabili fatti.
Küng avrebbe voluto affrancare il cattolicesimo dal “sistema romano”, dalla riforma di san Gregorio VII, dalla Controriforma e dal Vaticano I. In sintesi: fine del celibato sacerdotale, apertura alle donne nella Chiesa, coinvolgimento di clero e laici nella nomina dei vescovi e negoziazione dei valori di bioetica (contraccezione chimica). Infine, quando ormai soffriva del morbo di Parkinson e temeva di diventare dipendente e inabile, nel 2015 pubblicò Morire felici? Lasciare la vita senza paura. Qui difendeva l’idea della “morte assistita”, che chiamò “suicidio assistito” o “accompagnato”, divenendo un sostenitore dell’eutanasia: “Proprio perché credo in una vita eterna, ho il diritto di decidere quando e come morirò. Un Dio che proibisce all’uomo di porre fine alla sua vita quando gli pone pesi insopportabili non sarebbe un Dio amico dell’uomo”.
Hans Küng, uomo di Chiesa, si perse per sempre sulle strade della “riforma”, e nella sua visione teologica si allontanò dalla Chiesa a favore di un relativismo secondo il quale tutte le religioni condurrebbero alla salvezza. Andò oltre ogni comprensibile analisi dell’homo religiosus, dicendo di comprendere il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach il quale affermava che la fede in Dio “può alienare l’uomo da sé stesso e renderlo triste, in quanto l’uomo ha conferito a Dio i tesori del proprio intimo”. In risposta al filosofo ateo, fece una mera “difesa d’ufficio” dell’Altissimo ammettendo che il passo dall’umanità senza divinità alla bestialità è breve.
Favorevole a un’etica mondiale basata su un sincretismo religioso, interpretò la presenza salvifica di Dio nella storia senza l’opzione fondamentale: la conversione al cristianesimo. Mosso dal desiderio dello scandalo del quale si nutrì sempre, osò pronunciare l’impronunciabile dicendo: “La verità è inesauribile, nessuna religione può contenerla. Dio ha molti nomi. Il Cristo è il Signore, ma il Signore non è solo Gesù”. Dimentico del Deus non irridetur di san Paolo, saltò a piè pari nell’abisso. Come se un giorno non gli toccasse rendere conto a Dio delle sue speculazioni, si allontanò dal Vangelo, pur dal piedistallo di teologo più letto al mondo e intellettuale di fama mondiale issato nell’immanenza dai promotori di una Chiesa spogliata della sua fondamentale universalità.
Roberto Giardina giornalista del “Quotidiano Nazionale”, nelle poche righe di un articolo, dopo averlo intervistato, ne sintetizzerà mirabilmente il profilo: “Küng scrisse (nel 1978) il libro Existiert Gott? esiste Dio? Penso che un teologo cattolico, con una cattedra, non possa usare un punto interrogativo. Non si può stare in una Chiesa e allo stesso tempo negarla”.