Per chi si occupava della guerra civile libanese nel secolo scorso, i drusi costituivano sostanzialmente una entità ben distinta, dotata di agguerrite milizie, guidata dal clan Jumblatt (legato all’internazionale socialista) e arroccata nelle aree montagnose dello Shūf. Talvolta a fianco della Siria (e dei palestinesi), talvolta no. Punto.
In realtà essi costituiscono un caratteristico gruppo etno-religioso (arabo, monoteista, di derivazione sciita-ismaelita) presente, oltre che nel Libano, in Siria, Giordania e Israele. Loro malgrado, i drusi sono tornati alla ribalta in questi giorni quando, il 20 giugno scorso, i militari israeliani hanno impedito agli abitanti di Al-Hafair (a est di Masada, nelle zone occupate del Golan) di accedere ai loro campi.
Qui si vorrebbe realizzare, a spese non solo dei legittimi proprietari ma dell’intera popolazione autoctona, circa 25mila abitanti, un progetto di “energia pulita” eolica denominato Giant Turbines.
Negli scontri scoppiati in seguito alle proteste di centinaia di persone contro la confisca dei terreni, molti drusi sono rimasti intossicati dai gas lacrimogeni (di tipo molto aggressivo, presumibilmente cs o peggio). La realizzazione delle nuove gigantesche turbine, ciascuna alta circa 200 metri, rientra in un piano di confisca di terreni per circa seimila ettari. Come è noto nel Golan sotto occupazione israeliana molti altri terreni sono stati confiscati per realizzarci almeno una trentina di colonie (come in Cisgiordania).
Oltre ai lacrimogeni, contro i manifestanti che avevano incendiato pneumatici per rallentare i lavori, sono stati sparati anche proiettili di plastica. Con un bilancio finale di numerosi feriti (alcuni gravemente) e con molte persone arrestate.
Nel giorno successivo agli scontri, veniva indetto lo sciopero generale mentre l’esercito israeliano mobilitava alcune unità di truppe speciali instaurando numerosi posti di blocco.
Va anche considerato che oltre ai terreni agricoli il progetto comporterebbe la confisca di alcune strade e di altri terreni per varie strutture, come depositi, magazzini e alloggi.
Risale ormai a quindici anni fa il progetto israeliano di produrre un 20% dell’energia necessaria al Paese utilizzando fonti alternative (eolico, solare): inizialmente si parlava “soltanto” di 25 turbine, diventate poi oltre una settantina (42 nella regione di Tal al-Faras, 30 nella valle di al-Mansoura).
Con i previsti 152 megawatt di energia prodotti da tali impianti, i guadagni per la società elettrica israeliana arriverebbero a oltre 40 milioni di dollari annuali.
Contro il progetto è intervenuto anche il governo siriano con un ricorso presso il consiglio di sicurezza e l’assemblea generale delle Nazioni Unite.