I macellai filo-turchi adesso puntano sul Rojava

Mentre al Nusra & C procedono, se pur con qualche intoppo, verso sud (Hama ormai è stata conquistata), l’ans si va rinforzando, anche con l’uso di tank, in direzione est sul fronte di Manbij e Maskanah ancora sotto il controllo delle fds. Preparandosi ad aggredire il Rojava di cui Manbij (100mila abitanti) rappresenta un nodo strategico all’ovest dell’Eufrate. Sia Manbij sia Maskanah, recuperata qualche giorno fa dalle fds, sono ora terreno di scontro tra il principale proxy di Ankara (ans) e le fds (curdi, arabi, armeni, siriaci, turcomanni).
Intanto sono tornati in azione soggetti apertamente legati a Daesh. In questi giorni hanno ucciso un membro del Partito del Futuro (un partito democratico siriano, già perseguitato dal regime di Damasco, con esponenti eletti nell’Assemblea popolare e che partecipa all’Amministrazione autonoma). Altre vittime sono state provocate dai droni e dall’artiglieria turchi.
Ma al di là della drammatica situazione in movimento, forse è il caso di ricordare quanto accadeva nel decennio scorso quando i terroristi di Daesh attaccarono la regione di Shengal (e l’analogia con quanto potrebbe ora ripetersi mi pare evidente). Massacrarono gli uomini e gli anziani, mentre le donne e i bambini venivano catturati e ridotti in schiavitù. Pulizia etnica (o magari genocidio, puro e semplice) che si coniugava con un orrendo femminicidio di massa. Stesso scenario qualche anno dopo (2018) quando i mercenari turchi entrarono in Afrin (“operazione ramoscello d’ulivo”), compiendo innumerevoli crimini di guerra e contro l’umanità, in seguito ampiamente documentati sia dalle ong che dalle Nazioni Unite.
Intanto la comunità internazionale assisteva passivamente, oggettivamente complice, ai rapimenti delle ragazze curde, esibite come animali al mercato e destinate a diventare schiave sessuali dei mercenari filo-turchi dell’Esercito Siriano Libero (fsa, ma si trattava di quello riesumato nel 2016 da Ankara – operazione Scudo dell’Eufrate – per evocare una certa continuità con quello originario del 2011). Come è noto migliaia di cittadini furono espulsi, costretti ad andarsene. Non solo curdi naturalmente, ma anche armeni, cristiani, yazidi.
Per tornare ai nostri giorni, tristi e lividi, un aiuto alla comprensione di quanto sta realmente accadendo (mentre i media parlano fantasiosamente dei cacciatori di scalpi filo-turchi come di “ribelli” e “insorti”) viene dai comunicati – per quanto frammentari data la situazione – del Rojava Information Center (ric), presente sul terreno. Essi quantificano in circa 120mila (in base ai dati forniti dall’aadnes) gli sfollati (rifugiati interni) che finora hanno cercato rifugio nel nes, il nord e l’est della Siria. Spesso costretti durante il viaggio, in media di tre giorni, a dormire all’aperto o in tende provvisorie nel gelo invernale. Situazione critica che rischia di aggravarsi per mancanza di cibo, acqua, medicinali essenziali e possibiltà di alloggio.
Mentre l’Esercito Nazionale Siriano infierisce sui civili usciti da Shehba e Tel Rifaat e ora in fuga verso il Rojava con aggressioni, furti ed estorsioni, crescono i timori per un imminente attacco a Manbij. La città multietnica e governata dall’aadnes, con i suoi 300mila abitanti, in caso di assedio rischia una grave crisi umanitaria.
Invece ad Aleppo, nei quartieri curdi di Sheikh Maqsoud e di Ashrafiyeh, circondati da Hayat Tahrir al-Sham, nella giornata di mercoledì 4 dicembre non si sono registrati scontri. Si teme tuttavia che sia una calma solo apparente. I centri di accoglienza istituiti dall’aadnes e dai consigli locali a Tabqa e Raqqa hanno accolto finora circa 30mila sfollati, la maggior parte provenienti da Shehba. Utilizzando inizialmente accampamenti temporanei, ma in breve tempo una ventina di scuole sono state trasformate in centri di assistenza mettendo a disposizione dei rifugiati coperte, cibo e vestiti.
L’uys (Unione Yazidi di Siria) si sta occupando in particolare di assistere gli yazidi fuggiti da Tel Rifaat, ospitandoli in famiglie di Heseke, Amude e Tirbespi (villaggi yazidi, purtroppo talvolta in abbandono). Molti raccontano di aver subito qualche forma di violenza durante il viaggio (ricordo l’assassinio di Ahmed Husso, mentra la moglie e il fratello sono stati feriti). Si ha notizia anche dell’uccisione di qualche membro della comunità yazidi di Aleppo. E comunque, raccontava un testimone, “molti potrebbero non riuscire ad arrivare fin qui”.
La Mezza Luna Rossa curda ha chiesto a gran voce sostegno, donazioni per affrontare la grave situazione. Così come dal copresidente dell’ufficio per gli Affari dei Rifugiati Interni dell’aadnes è venuta una richiesta alle Nazioni Unite per la riapertura del passaggio di frontiera di Yarubiyah (Tel Kocher), indispensabile per far arrivare aiuti umanitari. Attualmente l’unico operativo resta il passaggio di Semalka (Faysh Khabour), mentre quello di Yaroubiyah resta chiuso dal 2019 per una decisione del consiglio di sicurezzza.
Altre informazioni confermano che i metodi dell’Esercito Nazionale Siriano nei confronti della popolazione rimangono brutali.
I miliziani si starebbero infatti appropriando delle abitazioni dei civili curdi in ogni città e villaggio occupato, compiendo furti, estorsioni, sequestri di persona (ovviamente del tutto illegali) e minacciando i civili. Qualche giorno fa, Amina Hanan, una quarantenne curda disabile, è stata assassinata a Tel Rifaat da membri dell’Esercito Nazionale Siriano.
Sempre a Tel Rifaat, in un video circolato in questi giorni, si vedono combattenti filo-turchi e un uomo che indossava un gilet-stampa (?) aggredire alcune persone prese prigioniere.
Quanto ai curdi che malauguratamente (forse per le difficoltà del viaggio, proibitivo per bambini e anziani) erano rientrati a Afrin, sono stati tutti schedati e almeno una cinquantina arrestati.
Inoltre sessanta autobus che avrebbero dovuto evacuare i profughi e trasportarli verso il nes rimangono bloccati dai miliziani.

Paura ad Aleppo

Avevamo ricordato la situazione dei due quartieri curdi di Aleppo. Da un paio di giorni la situazione, per quanto in una città ormai completamente in mano alle milizie jihadiste, sembrerebbe relativamente tranquilla. Nelle trattative tra fds, aadnes e le milizie jihadiste assedianti di hts si cerca di garantire agli abitanti (e ai molti cristiani che qui si sono rifugiati) la possibilità di scegliere se andarsene o restare.
Già in passato, soprattutto dal 2012 al 2016, Sheikh Maqsoud e Ashrafiyeh avevano subìto gli attacchi delle milizie filo-turche. Ma la gente si era rifiutata di andar via. Ora invece si teme che hts imponga le sue regole islamiche (come l’hijab per le donne) e che si assista al bis di quanto fece l’isis. Per cui molti potrebbero decidere di raggiungere l’est.
E la Turchia? Partecipa direttamente al conflitto attaccando con aerei senza pilota la città di Dayrik (in siriaco; in curdo Dêrika Hemko). Colpendo un’auto e causando almeno due vittime e alcuni feriti nei pressi della stazione degli autobus (luogo scelto forse intenzionalmente dato che le cooperative degli autisti mettevano i mezzi a disposizione per trasportare i rifugiati).
Dopo quello costato la vita al giovane Aziz Sheikho sulla strada tra Qamishlo e Heseke, si tratta del secondo attacco nella nes di questa settimana.
Per oggi, 5 dicembre, direi che basta.