Ma cosa sta succedendo in Pakistan? Davvero siamo alle soglie di una guerra civile? O stiamo assistendo al preludio “con altri mezzi” della campagna elettorale in vista delle elezioni di ottobre (salvo modifiche o rinvii)?
In realtà per alcune minoranze etniche o religiose – hazara, beluci, cristiani, sciiti – così come per le donne, i bambini e un gran numero di diseredati, la situazione era già difficile. Tra attentati, aggressioni, (guerra a bassa intensità ?), discriminazioni, che si vengono a sovrapporre, con effetti sinergici, alla grave crisi economica e alla disastrosa situazione sanitaria. Per non parlare di alluvioni e altre emergenze ambientali.
Ma questo non sembra turbare più di tanto i vacanzieri d’alta quota. Sempre intenti a individuare qualche residua “cima inviolata” (lapsus rivelatore?) da cui scendere con gli sci (anche qualche giorno fa nella regione del Gilgit-Baltistan).
Mentre, che so, negli anni ottanta del secolo scorso era quasi normale, almeno per persone con un minimo di coscienza sociale, boicottare turisticamente un Paese come il Sudafrica dell’apartheid e in epoca più recente la Turchia che reprime il popolo curdo, oggi come oggi andare a trascorrere le “settimane bianche” in Pakistan per alpinisti, escursionisti e sciatori nostrani non sembra assolutamente fuori luogo. Anche a persone che magari poi se la tirano con le questioni umanitarie e ambientali. Ultimamente uno dei personaggi più in vista, noto per le sue superspedizioni sponsorizzate (neocolonialismo?) è andato in televisione a denunciare il riscaldamento globale consigliando ai comuni mortali di “farsi meno docce”!
Cominciasse lui a rinunciare a elicotteri e altro, magari si potrebbe anche riparlarne.
O quelli che, mentre denunciano lo scioglimento dei ghiacciai del “Terzo Polo”, vi contribuiscono con i loro mezzi (nel senso di veicoli).
Detto questo, segnalo un recente avvenimento, sintomo emblematico di una situazione in via di ulteriore degrado… e qui non mi riferisco a quello ambientale. Qualche giorno fa Muhammad Alam Khan, un poliziotto assegnato alla protezione della Catholic Public High School, una scuola cattolica femminile nel nord-ovest del Pakistan (a Sangota, nella valle dello Swat, provincia del Khyber Pakhtunkhwa), ha aperto il fuoco contro il pulmino che trasportava le allieve uccidendone una di 8 anni e ferendone altre sei e un’insegnante.
Il tragico episodio è avvenuto nella stessa regione da cui proviene Malala Yousafzai, l’attivista premio Nobel per la pace per aver condotto una campagna contro il divieto all’istruzione femminile imposto dal Tehreek-e Taliban Pakistan (ttp, i talebani pakistani). Nel 2012 anche lei era stata colpita alla testa da un proiettile sull’autobus per tornare a casa da scuola, mentre anni fa la Catholic Public High School aveva dovuto chiudere per le minacce e per gli attentati.
Nel 2022 in questa provincia si sono registrati almeno 225 attentati (“solo” 168 nel 2021). Quantomeno secondo le cifre ufficiali. Da parte loro i miliziani legati al ttp ne avevano rivendicato oltre 360. Senza dimenticare gli attacchi di un’altra organizzazione jihadista-terrorista operativa anche in Pakistan, lo Stato Islamico, che solo nel marzo 2022 aveva ucciso oltre 60 persone.
E anche il 2023 non sembra promettere bene. Solo nei primi quattro mesi sono già 180 i morti ufficiali.
Nel gennaio di quest’anno i talebani pakistani avevano rivendicato anche il sanguinoso attacco suicida, con oltre una trentina di morti e centinaia di feriti, a una moschea di Peshawar, situata in un complesso dove si trova il quartiere generale della provincia del Khyber Pakhtunkhwa.
Per completezza va anche ricordato che gli attentati non sono monopolio esclusivo degli estremisti islamici. Un attacco suicida dell’agosto 2021 nella città di Gwadar contro un veicolo cinese era stato rivendicato dai separatisti beluci.
Una situazione drammatica, convulsa e foriera di ulteriori lutti.
Non per niente tra le questioni sollevate dall’attuale conflitto interno tra governo e opposizione (ma anche tra militari e una parte della società civile) appare rilevante l’accusa di ambiguità rivolta all’ex primo ministro Imran Khan. Per aver consentito e favorito il rientro in patria dei talebani pakistani purché garantissero di deporre le armi (cosa auspicabile ma difficile da realizzare). Come era prevedibile, nonostante le trattative per il loro reinserimento e per una “soluzione politica” del conflitto, dopo poco tempo gli attentati erano ripresi. Alimentando il sospetto che i colloqui, le trattative avessero in realtà consentito al ttp di riorganizzarsi.
Quanto alle numerose azioni giudiziarie lanciate contro il leader del Pakistan, Tehreek-e-Insaf (pti), per corruzione e reati finanziari (e anche un probabile tentativo di eliminarlo fisicamente, stroncato dalla mobilitazione dei militanti del pti), presumibilmente in parte strumentali, per ora sembrano aver portato più che altro all’incarcerazione di tanti suoi seguaci; pare, anche, dietro sua indicazione: farsi arrestare per “saturare le carceri e screditare il governo” (un rischioso azzardo, direi).
Tra le accuse principali, quella relativa all’Al-Qadir Trust, proprietà di Khan e della moglie, a cui l’impresa immobiliare Bahria Town avrebbe fornito un terreno del valore di 530 milioni di rupie (1,71 milioni di euro)
Ma forse Imran Khan sta anche pagando il prezzo di un suo avvicinamento alla Russia (malvisto dagli usa, oltre che dall’India per ragioni inverse). Questo potrebbe aver innescato la rottura con l’esercito e favorito la sua defenestrazione.
Come è noto l’ex primo ministro è stato arrestato (a quanto sembra da un gruppo paramilitare legato ai servizi segreti) mentre si trovava all’alta corte di Islamabad per testimoniare in un processo.
Naturalmente non mancano (anche a sinistra, tra quella più “campista”) gli estimatori del regime pakistano. Pensando di intravedervi una componente di possibili ”blocchi egemonici alternativi musulmani” per un mondo multipolare contro l’imperialismo statunitense. Blocchi di cui potrebbero far parte sia la Turchia sia l’Iran e in buoni rapporti con Russia e Cina. Sarà, ma non mi convince. In realtà è più probabile che il Pakistan, come da tradizione, continuerà a giocare su due tavoli. Se con gli Stati Uniti prevale la collaborazione sul piano militare (e di finanziamenti), con la Cina si va sviluppando l’aspetto commerciale (vedi la Via della Seta).
Lasciando per ora da parte l’altro rischio, quello di un possibile conflitto nucleare con l’India… Magari a causa di un “malfunzionamento tecnico”, di un errore. Come quando nel marzo scorso l’India ha lanciato accidentalmente un missile supersonico in Pakistan. Caduto senza danni particolari nel Punjab (distretto di Khanewal).