Anche quest’anno in Perù è stato festeggiato il “compleanno” – il 284esimo per la cronaca – di José Gabriel Condorcanqui Noguera, passato alla storia come Tupac Amaru. Nato il 19 marzo del 1738 a Surimana (Cuzco) fu colui che seppe organizzare la grande rivolta indigena anticoloniale, probabilmente la più estesa dell’intera America Latina, contro i viceregni spagnoli del Rio della Plata e del Perù.
Innescata il 4 novembre 1780, la ribellione colse una prima vittoria a Sangararà, ma poi venne soffocata nella battaglia di Checacupe e il ribelle inca finì catturato. Il viceré Jàuregui (dal nome presumibilmente di origine basca, un collaborazionista venduto quindi), prima di assassinarlo il 18 maggio 1781, lo costrinse ad assistere alla tortura e uccisione della moglie e dei figli. Si narra che prima di venir smembrato dal tiro di quattro cavalli Tupac Amaru abbia gridato: “Tornerò e saremo milioni”.
Soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, vari movimenti antimperialisti (dai tupamaros dell’Uruguay ai Tupac Amaru del Perù) si richiamarono al suo nome.
Ma in Perù quest’anno è stata ricordato anche un altro anniversario, particolarmente triste e tragico. Una toccante cerimonia si è svolta nella città di Accomarca (regione andina di Ayacucho) in memoria delle vittime del massacro avvenuto il 14 agosto 1985.
Quel giorno i soldati delle forze antiguerriglia, dopo aver rastrellato la città, radunarono gli abitanti torturando gli uomini e violentando le donne. Una settantina di persone furono rinchiuse in baracche con il tetto di paglia poi date alle fiamme mentre contemporaneamente venivano mitragliate. Tra le vittime almeno 26 bambini.
Episodi simili avvennero regolarmente per tutti gli anni ottanta, soprattutto ai danni delle comunità indigene (quechua) degli altipiani. Comunità che venivano accusate – del tutto ingiustificatamente – di dare sostegno agli insorti maoisti. Inoltre dei massacri venivano falsamente accusate le formazioni guerrigliere.
Ai nostri giorni delle antiche guerriglie sembra sopravvivere ben poco, anche se ogni tanto trapela qualche notizia su presunti rigurgiti insurrezionali. In agosto un sottufficiale dell’esercito peruviano era rimasto ferito negli scontri con un piccolo gruppo di aderenti al PCP-Sl nella valle dei fiumi Apurimac, Ene e Mantaro (VRAEM, regione di Vizcatàn). Un altro militare era rimasto ferito in luglio, sempre nel corso di un’operazione antiguerriglia nell’area. Sempre in agosto, una vasta operazione antiguerriglia denominata “Patriota” si era svolta contro un gruppo appartenente al Partito Comunista Militarizzato del Perù (in pratica gli eredi di Sendero Luminoso) nel medesimo distretto di Vizcatàn, dove i guerriglieri avevano organizzato una base stabile con trincee, tunnel e nascondigli. In base ai dati ufficiali diffusi dall’esercito, sarebbero stati abbattuti una quindicina di guerriglieri, mentre due soldati erano rimasti uccisi.
Verso la metà di settembre, gli agenti della PNP, la polizia nazionale, hanno arrestato a Cuzco cinque sospetti membri del Partito Comunista Militarizzato del Perù. I cinque avrebbero costituito un commando operativo nella regione del VRAEM. Condannati a 18 mesi di detenzione preventiva, in attesa che l’inchiesta porti ulteriori prove a loro carico, i maoisti risultano accusati dell’uccisione di tre persone (presunte spie o ex guerriglieri “pentiti” come Yhon Mancilla, diventato collaboratore della polizia).
Distruzioni e malattie
Ma in questi ultimi mesi sta avvenendo ben di peggio, anche delle passate repressioni e rappresaglie governative che hanno marchiato sanguinosamente il secolo scorso. Ora il governo peruviano rischia di rendersi complice dell’ennesimo genocidio silenzioso nei confronti delle ultime popolazioni tribali “non contattate”. Ossia degli indigeni che hanno scelto volontariamente l’isolamento nei loro territori ancestrali, per evitare contaminazioni di tipo sia sanitario sia culturale.
Come aveva denunciato Survival International, è quanto sta accadendo lungo il Rio Enviranel nel dipartimento di Ucayali (sud-est del Perù). Gruppi di boscaioli invadono illegalmente i territori abitati dagli indigeni costringendoli a fuggire verso il Brasile, dove potrebbero entrare in concorrenza e magari in conflitto con altre popolazioni indigene che vivono isolate (per non parlare dell’accoglienza offerta dagli attuali governanti brasiliani, notoriamente non proprio qualificati in materia).
I boscaioli abbattono soprattutto quanto rimane di alberi di mogano (quella del Perù è una delle ultime riserve di tale legame pregiato). Stando a quanto dichiarato dal portavoce del FUNAI (Fundación Nacional del Indio, organo del governo brasiliano) siamo di fronte a “una migrazione forzata dei gruppi autonomi del Perù e all’ulteriore prelievo di legname nella parte superiore dei fiumi Jurúa, Purús ed Envira”.
Dichiarazioni in aperto contrasto con quelle dell’ex presidente peruviano Alan Garcia (buonanima) secondo cui tali gruppi di indigeni semplicemente “non esistono”.
E le cose non vanno certo meglio nel nord del Paese dove sopravvivono le ultime popolazioni indigene denominate Napo-Tigre (dal nome dei due fiumi del dipartimento di Loreto). Qui alcune imprese multinazionali petrolifere operano da tempo all’interno dei territori ancestrali; e una in particolare, la anglo-francese Perenco, ha espresso l’intenzione di inviare altre centinaia di operai e tecnici nella zona per intensificare le ricerche e le estrazioni impiantando pozzi petroliferi. Proprio nella zona dove si progettava di realizzare una riserva per gli indigeni pananujuri, da alcuni etnologi considerati un sottogruppo dei waorani. E proprio come l’ex presidente peruviano – con cui il presidente della compagnia, François Perrodo, a suo tempo si era incontrato – anche i portavoce della Perenco negano l’esistenza stessa di tali popolazioni.
(Coincidenza: appena un giorno dopo l’incontro tra Francois Perrodo e Alan Garcia veniva approvata una legge secondo cui l’operato della Perenco nella regione veniva classificato come “necessità e interesse nazionale”.)
Tra le altre imprese responsabili della devastazione umana e ambientale in quei territori vanno ricordate la ben nota Repsol-YPF, Conoico Phillips, Ecopetrol (colombiana) e Petrobras (brasiliana).
Non va dimenticato che tali popolazioni indigene rimaste isolate in genere non posseggono una sufficiente immunità verso malattie di origine europea come l’influenza, la varicella, il morbillo e alcune patologie respiratorie. Per cui ora viene messa in discussione la loro stessa sopravvivenza.
Non sarebbe la prima volta che a pochi mesi dal primo contatto la maggior parte dei membri di una comunità indigena (in alcuni casi la totalità) perde la vita a causa delle malattie importate dall’esterno. A titolo di esempio, nel 1996 oltre la metà degli indigeni murunahua morì dopo un primo contatto con boscaioli illegali alla ricerca di mogano. Senza naturalmente dimenticare che spesso i boscaioli, provvisti di armi da fuoco, sparano a vista agli indigeni.
Negando l’esistenza stessa di queste popolazioni autoctone e favorendo l’operato illegale dei boscaioli e delle multinazionali, il governo peruviano si sta rendendo complice di un vero e proprio genocidio.