È sicuramente importante, per la diffusione di una consapevole cultura autonomista, studiare e divulgare non solo la storia ma anche la cronaca degli eventi che portarono alla fine delle secolari Repubbliche di Venezia e di Genova, le due più importanti realtà storico-politiche della Padania degli ultimi mille anni. Questo tipo di informazione storica desta l’interesse di un pubblico di certo ristretto ma fortemente motivato che, in questo modo, rafforza la propria coscienza identitaria. La maggior parte dei cittadini, tuttavia, forma invece le proprie vaghe opinioni storiche su quella che definirei “ignoranza di base”, ovvero una superficiale formazione scolastica fondamentalmente elusiva rispetto a questi temi storici.
La fine delle Repubbliche
Napoleone ha certamente devastato l’Europa, ma è stato il Congresso di Vienna – una sorta di Yalta ante litteram dal momento che si concluse il 9 giugno 1815, poco prima della battaglia di Waterloo – che ne ha deciso le sorti con conseguenze, dirette e indirette, che si sono protratte fino alla seconda guerra mondiale e, quindi, in un certo senso fino ai giorni nostri. Il Congresso di Vienna ha cancellato gran parte delle novità introdotte nella mappa politica europea dal Direttorio e da Napoleone, senza tuttavia ripristinare gli assetti territoriali dell’Ancien Régime.
Si asseriva, ambiguamente, di voler “restaurare” l’Europa riportandola all’epoca prenapoleonica, ma in realtà, dopo l’esperienza della rivoluzione francese, la parola più temuta era “repubblica”. Si decise, con il tipico cinismo dei vincitori, di porre fine alle seppur secolari e preesistenti Repubbliche di Venezia, Genova, Lucca e Ragusa, in Croazia. Venezia e Genova vennero inglobate rispettivamente nel Regno Lombardo-Veneto e nel Regno di Sardegna.
Una formazione scolastica fuorviante
Possiamo riempire le nostre biblioteche autonomiste con libri sul trattato di Campoformio, le Pasque Veronesi, il Congresso di Vienna, le cronache delle proteste dei rappresentanti della Repubblica di Genova nei confronti dei diplomatici inglesi eccetera, ma il vero problema resta la descrizione superficiale, vaga, elusiva, ovvero assolutamente omissiva di questi fatti nell’insegnamento scolastico. Con particolare riferimento al Congresso di Vienna e ai suoi esiti; così come si sorvola sulla circostanza che i Savoia e gli Asburgo si siano spartiti come un bottino di guerra l’Italia Settentrionale, la Padania, e ne abbiano deciso le sorti future non “restaurando” proprio nulla e impedendo un possibile processo di confederazione come poi avverrà in Germania nel 1871.
La Repubblica di Venezia, purtroppo, fin dal 1797 con il trattato di Campoformio era già stata ridotta a “Provincia Veneta” e merce di scambio come poi avverrà ancora nella guerra del 1866. Genova, liberatasi con l’aiuto dello squadrone di marina dell’ammiraglio William Bentick che la proclamerà nuovamente repubblica il 26 aprile 1814, vivrà ancora un breve periodo di illusoria libertà fino alle infauste decisioni del Congresso, peraltro deliberate su pressione degli stessi inglesi a favore dei Savoia.
A scuola, quasi a giustificazione delle decisioni del Congresso, Venezia e Genova vengono descritte come repubbliche “aristocratiche” e “oligarche” per dire che, in fondo, erano poco democratiche. In realtà, all’epoca non esisteva nessun’altra istituzione statale che fosse minimamente paragonabile a una repubblica e per giunta “democratica”, ovvero, basata sul suffragio universale. In Italia, il suffragio universale maschile sarà introdotto pienamente soltanto nel 1918 e quello femminile nel 1945.
Nei testi scolastici di storia per le superiori, il Congresso di Vienna viene illustrato con sostanziale indifferenza in due paginette, cartine comprese, come un normale atto burocratico. La soppressione delle Repubbliche di Venezia e Genova e la loro spartizione tra Asburgo e Savoia, con il benestare degli inglesi, e la creazione del Regno Lombardo Veneto, descritta in poche righe, viene fatta passare per una variazione di poco conto. Nessuna analisi critica che possa ingenerare dubbi rispetto a una narrazione storica della unificazione dell’Italia “divisa” dove la storia “locale” deve eventualmente concorrere, anacronisticamente, con aneddoti e racconti popolari, a formare appunto questa visione.
La dissociazione identitaria collettiva
Potrei auspicare, un po’ illusoriamente, che prima o poi si riuscirà a ottenere finalmente una riforma dei programmi scolastici di storia e di letteratura perché, senza una coscienza storica, non si può avere consapevolezza della propria identità e, conseguentemente, pretendere una qualche forma di autonomia. Mi limito invece a riportare una riflessione oggettiva di Franco Monteverde (1933-2019), noto esponente della cultura ligure, tratta dal suo libro Liguria Sovrana:
Se appare calzante il recupero della visibilità politica e culturale italiana, senza la quale la lettura di “paesaggi, monumenti, documenti, testimonianze, lettere, retaggi di un glorioso, straordinario passato di grandezza” [sarebbe piuttosto ardua], non viene fatto alcun accenno che questo eccezionale patrimonio non è stato creato dallo stato-nazione, ma da nazioni che sono state private della propria identità politica e culturale. È stato proprio lo stato-nazione a impedire lo studio e la conservazione delle tradizioni, rendendo indecifrabili per gli italiani i patrimoni, tanto spesso retoricamente celebrati, ereditati dalle passate generazioni. Se un popolo si sente privato dei sentimenti di appartenenza ad una patria, non può che perdersi nel gran mare della globalizzazioni dei mercati e della standardizzazione dei consumi. 1)
Incapacità di decifrare la propria storia e i “paesaggi, monumenti, documenti, testimonianze, lettere, retaggi di un glorioso, straordinario passato di grandezza”: l’autonomismo, purtroppo, deve confrontarsi con questa forma di dissociazione identitaria collettiva.
N O T E
1) Franco Monteverde, Liguria Sovrana: una proposta per uscire dalla crisi politica di Genova, De Ferrari Editore, Genova 1999.