Chi non pensa che il coronavirus sia un problema politico, dovrebbe mettersi in quarantena dentro una grotta. Le popolazioni di tutto il mondo osservano come i loro leader stanno reagendo alla pandemia, e nei Paesi liberi le loro valutazioni si esprimeranno in cabina elettorale, rafforzando o stroncando carriere politiche. Ma sono a rischio anche la credibilità e la solidità dei regimi totalitari. Alcuni analisti pensano addirittura che il leader cinese Xi Jinping rischi un colpo di stato.
Allora il virus di Wuhan potrebbe realizzare a Teheran in pochi mesi ciò che sette presidenti degli Stati Uniti, diciannove direttori della CIA e legioni di dissidenti iraniani potevano solo sognare di ottenere? Forse: il coronavirus potrebbe semplicemente infliggere il colpo di grazia alla dittatura teocratica che l’Ayatollah Ruhollah Khomeini ha avviato 41 anni fa, ma soltanto se la devastazione dovuta all’inettitudine del governo spingerà tutti quanti gli iraniani, dalle classi inferiori ai dirigenti, a dire basta.
Già ci siamo andati vicino. Nel 2009, in Iran era in atto una vera e propria controrivoluzione dall’interno, ma Barack Obama la ignorò nei suoi tentativi di instaurare relazioni diplomatiche con i falsi “moderati” iraniani. Da allora, le proteste sono diventate più frequenti. La sfida alla Repubblica Islamica si è fatta audace. Ma dovrà diventarlo ancora di più per rovesciare il regime.
Tragica farsa
L’Iran è stato colpito dal Covid-19 più duramente di molti Paesi a causa della grave incompetenza, ignoranza e superstizione dei suoi dirigenti. I dati ufficiali sugli infetti e il numero di decessi giornalieri non sono più affidabili di quelli cinesi. Gli iraniani lo capiscono e sono sempre più critici verso il loro capo, l’Ayatollah Ali Khamenei.
Quando arrivò la notizia del virus nel Paese islamico, la prima reazione spontanea fu di negarla. Tentando di prevenire un massiccio boicottaggio delle elezioni parlamentari del 21 febbraio (consulto in cui si presentano soltanto candidati pre-approvati), Khamenei affermò che la minaccia era stata esagerata, la “propaganda negativa sul virus” utilizzata a bella posta dai nemici dell’Iran per “dissuadere gli elettori iraniani”.
La vetta grottesca della negazione si è toccata quando fanatici religiosi e sicofanti in cerca di plauso governativo si sono filmati mentre leccavano sepolcri nei luoghi di culto sciiti, sfidando la malattia a contagiarli ed esprimendo la certezza che la loro fede li avrebbe protetti. Uno di loro ha dichiarato di essersi recato al santuario di Qom per mostrare a tutti che il virus “non è altro che una menzogna. Vogliono portarci via la nostra religione. Vogliono farci del male. Quello che stanno facendo è insignificante. Non li ascolteremo”. È stato sicuramente il trionfalismo del regime a convincere costoro che i capi dicessero la verità e che la fede li avrebbe salvati. Scienziati iraniani come Hossein Ali Shahriari, membro del comitato medico del Majles (il parlamento), farneticavano che esperti provenienti da tutto il mondo stessero arrivando in Iran non per aiutare gli ammalati ma per imparare dagli studiosi iraniani. “Alla luce delle misure che abbiamo adottato in Iran”, sosteneva Shahriari, il contagio “non durerà sicuramente a lungo”. E rifiutando i consigli dei funzionari OMS: “Di certo costoro non hanno più competenze degli specialisti iraniani”.
Orbene, quali competenze avrebbero elargito gli scienziati iraniani al popolo? Per esempio, il religioso Abbas Tabrizian ha consigliato: “Prima di dormire, metti un batuffolo di cotone imbevuto di olio essenziale di viola nell’ano”. Presumibilmente qualcuno ha dato a Khamenei un consiglio migliore, visto che il 15 febbraio le sue guardie del corpo hanno impedito agli iraniani di baciargli la mano. Una scelta che potrebbe pagare salata, se le forze di opposizione la pubblicizzassero come si deve.
Morbo ebraico, dicono
Quando i corpi hanno iniziato ad accumularsi e negare è diventato inutile, ecco i leader iraniani buttarsi sulle teorie cospiratorie. Il perenne bersaglio dell’odio di regime, Israele e “gli ebrei”, è stato incolpato in una trasmissione del 5 marzo su Iran Press TV, l’emittente di disinformazione in lingua inglese: “Elementi sionisti hanno sviluppato un ceppo mortale di coronavirus contro l’Iran”.
Il 10 marzo il generale Gholamreza Jalali, capo dell’organizzazione per la difesa civile dei guardiani della rivoluzione islamica (IRGC), ha lasciato intendere che il coronavirus “ha molte caratteristiche di un’arma biologica. Gli USA hanno parecchi laboratori biologici nella regione attorno all’Iran che potrebbero essere responsabili della diffusione del virus”.
Un altro esponente del regime, Hossein Momeni, è stato ancor più diretto: “Senza dubbio, una malattia creata dall’uomo e utilizzata come arma contro gli sciiti, contro i musulmani e contro gli iraniani”.
Il 22 marzo, lo stesso Khamenei ha parlato alla nazione in diretta televisiva affermando che sono stati gli USA a creare il coronavirus, citando due dei suoi “esperti” le cui ricerche dimostrano che le spie israeliane e americane stanno usando “demoni” per diffondere il virus in Iran.
Dieci o vent’anni fa Khamenei avrebbe potuto facilmente far fronte a un simile disastro, ma le recenti sommosse in Iran suggeriscono un risveglio della popolazione ormai disillusa sulla probabilità che arrivi un minimo di democrazia nel Paese.
E l’opposizione sta crescendo in numero e in influenza. Il 29 marzo, un gruppo di cento accademici iraniani ha pubblicato una lettera aperta incolpando Khamenei per le morti da Covid-19 nel Paese. La dichiarazione è apparsa su un sito che secondo il Middle East Media Research Institute sarebbe collegato a Mir Hossein Mousavi, il leader della rivoluzione verde del 2009 che sta tuttora vivendo un’esistenza precaria agli arresti domiciliari.
La lettera inizia così: “Signor Khamenei, sei il colpevole numero uno della pandemia da Covid-19 che sta diventando una tragedia nazionale!” Questo saluto iniziale, “signor Khamenei” (invece di “caro leader supremo” o persino “caro Ayatollah Khamenei”) è un affronto sanguinoso. La lettera prosegue accusando Khamenei di “mistificazione” e irride la sua “visione del mondo basata sulla cospirazione”. Il testo si conclude amaramente, sottolineando l’ironica “sventura di una cittadinanza afflitta dalla povertà e dalla fame in un Paese inondato di petrolio”. Praticamente una dichiarazione di guerra.
In ogni rivoluzione vittoriosa arriva un momento in cui i militari smettono di obbedire agli ordini dei capi illegittimi e si schierano con il popolo. Anche se Khamenei dirige uno Stato di polizia esperto nell’arte di terrorizzare, l’aumento delle vittime di COVID-19 potrebbe indurre i militari a non seguirne più le direttive. Dunque, quante sono le probabilità di un colpo di stato “virale” in Iran? Direi un 50 per cento, soprattutto se i membri più anziani del regime moriranno per la malattia. Un calcolo – lo ammetto – un po’ gonfiato dalla mia speranza in un cambio di regime in Iran. Ne discutevo proprio la scorsa settimana con Daniel Pipes, che ha seguito l’Iran più da vicino e più a lungo di me, e ha raffreddato così il mio ottimismo: “Scommetto qualsiasi cifra che il regime sarà ancora lì tra un anno, anche due”. Ho preferito non accettare la scommessa.