La “cavallerizza” – apprendo dal dizionario – è un luogo attrezzato destinato all’insegnamento o all’esercizio del cavalcare. Con una certa sorpresa, ritrovo il termine anche nella toponomastica veneziana.
Giuseppe Tassini, nella sua fondamentale opera Curiosità veneziane, ci parla di una Calle della Cavallerizza: “È situata questa vicina ai Mendicanti, capace per 70 e più cavalli […] Nel 1735 fu chiusa, e ridotta a savoneria, ma poscia nel 1750 venne rimessa, e durò fino agli ultimi tempi della Repubblica. L’area è ora occupata dal grandioso fabbricato aggiuntosi ai nostri tempi alla Casa di Ricovero”.
Può sembrare strana ai giorni nostri la presenza di cavalli in una città come Venezia; ma va ricordato che ancor oggi nel campanile di San Marco c’è una campana chiamata “la trottiera”, utilizzata per sollecitare i componenti del Maggior Consiglio e a far trottare i loro cavalli per essere puntuali. Solo in seguito ci furono decreti che proibirono l’uso del cavallo.
Tra Monopoli e Alberobello
Non avrei mai pensato, però, di trovarmi una “Cavallerizza della Serenissima” in Puglia, lungo la strada che da Monopoli porta ad Alberobello, al chilometro 14 per la precisione. E che su questa struttura esistesse anche un libro, scritto da Giuseppe Notarnicola nel 1933, pubblicato da Gastone Bellini editore in Venezia con la prefazione di Gino Damerini.
Damerini, notevole figura della cultura veneziana nella prima metà del secolo scorso, direttore per tanti anni de “La Gazzetta di Venezia”, autore di diversi volumi di arte, storia e teatro, sottolinea nella prefazione
i legami affettuosi che intercedettero tra la Serenissima e la terra di Puglia, e lasciarono sì profonda traccia di simpatia reciproca nei rapporti sentimentali e commerciali, e negli scambi etnici, tra le popolazioni di San Marco e quelle di San Nicola. Ancor oggi a distanza di secoli, Bari non manca di celebrare, nell’Ascensione, la ricorrenza annuale dell’8 ottobre 1002 quando la flotta veneziana – Doge Pietro Orseolo II – la liberò dalle barbariche incursioni dei Saraceni. Tradizione gentile: ma questo libro richiamerà agevolmente alla mente del lettore le origini della dominazione veneziana in Puglia, svelando la profondità centenaria di una solidarietà marinara.
Quattro note anche sull’autore. Giuseppe Notarnicola, nato ad Alberobello nel 1883, studiò da geometra e poi si trasferì a Firenze dove frequentò la Scuola Filologica di Lingue Moderne e dove fece parte della redazione della rivista “Scena illustrata”; ritornò poi ad Alberobello dove fu eletto consigliere comunale. Nel 1923 fu nominato “Regio Ispettore ai Monumenti e Scavi”, occupandosi soprattutto della tutela e della salvaguardia dei trulli; nel frattempo insegnò inglese a Maglie, Taranto, Venezia, Zara, Foggia, Barletta e Bari. Numerosi e importanti furono i suoi saggi, tra i quali va ricordato I Trulli di Alberobello, il primo studio organico sui questi monumenti e sulla storia della cittadina. Morì nel 1957 ad Alberobello.
Notarnicola dimostra di conoscere molto bene la storia e la civiltà dei veneti. Sentite cosa scrive nel capitolo La passione atavica dei Veneti per gli equini. Vollero incrociare la loro razza con la pugliese:
Per darci piena ragione della straordinaria importanza che i Veneziani annettevano all’allevamento dei cavalli, dobbiamo risalire alla passione dei Veneti, primigeni della Paflagonia per le razze nobili degli equini. Di questa loro inclinazione fanno menzione Omero (Odissea), Euripide (Hippol.) e Strabone (Libri V).
[…] erano di conseguenza, I Veneti, gelosi della loro razza e per nessuna ragione cedevano le loro cavalle “lupifere”, così chiamate per la figura di un lupo, impressa sulla coscia. Grande vendita facevano essi invece di cavalli, chiamati leonini, per l’analoga ragione di portare il marchio del leone marciano.
Non so se sia una nota sua o dell’editore, ma nell’ultima di copertina del volume in oggetto si intima: “Si prega il Possessore di questo libro di non prestarlo ad altri, perché la lettura gratuita è un furto ai danni dell’Autore e dell’Editore. Inoltre i libri prestati ritornano sempre deteriorati e, sovente, non ritornano mai più”: correva l’anno 1933, XI…
E finalmente concentriamoci sulla Cavallerizza.
Fu la Cavallerizza una importantissima stazione di allevamento e di allenamento di equini che il Governo della Serenissima possedè in Puglia dal 1495 al 1530 […] Essa sorge sul pendio di una delle colline delle Murge che fiancheggiano il lato destro della valle, Canale di Pilo […] La Cavallerizza, a m. 335 sm, è esposta a mezzogiorno, in amena posizione dominante la immensa ferale vallata […] Il caseggiato della Cavallerizza consta di un nucleo centrale, con pianterreno e primo piano a forma di palazzotto (il quale dovette essere la dimora della famiglia del governatore della stazione d’ippocultura), e di un aggregato di alloggi per i cavallari e gli altri subalterni; di una chiesetta, di magazzini, stalle, rimesse, pagliai, fienili, cortili e cisterne con ampie pile di abbeveramento.
La Cavallerizza era stata fondata verso la metà del XV secolo da Alfonso di Trastamara detto il Magnanimo (1393-1458) che poi divenne re Alfonso V di Aragona e re Alfonso I di Napoli dal 1442 al 1458, passato alla storia per essere il capostipite del ramo aragonese di Napoli.
Ma quando e in che modo la bandiera del Leone di San Marco sventolò su Monopoli e sulle altre città della Puglia?
Seguendo quando riportato dal professor Notarnicola, tutto ha inizio con la battaglia di Fornovo (o del fiume Taro) del 6 luglio 1495 nella quale si scontrarono gli eserciti capitanati da Carlo VIII di Francia (1470-1498) e quello della “Lega Santa” (termine che ricorre con una certa facilità nella storia d’Europa…) guidata dal papa Alessandro VI e sostenuta da Milano e da Venezia, la quale riuscì nell’impresa di bloccare il disegno espansionista del re di Francia. La battaglia finì sostanzialmente in parità con numerose perdite da un parte e dall’altra.
Dopo qualche giorno, il 20 agosto 1495, il papa Alessandro VI scrive una lettera al doge Agostino Barbarigo nella quale esprime tutta la gratitudine papale, affermando tra l’altro:
Abbiamo implorato l’assistenza degli altri Principi e la vostra per difendere quel Regno [di Napoli], il patrimonio di S. Pietro e l’Italia tutta da siffatta invasione di truppe straniere. Voi, carissimo figlio, non chiudeste le orecchie ai lamenti nostri e alle nostre istanze; ma docile alle persuasioni, tostochè vi fu noto, che il terrore seminato dalle armi francesi ci aveva costretto a partire dalla Santa Città; usaste prontamente in favore nostro del potere vostro, e spiegando il vessillo del vostro solito zelo, radunaste una forte armata terrestre, allestiste una numerosa flotta sul mare, non risparmiaste fatiche, spese, pericoli, riputando giustizia e gloria l’accorrere colla più leale sollecitudine in aiuto nostro e di questa Santa Madre Chiesa, che ha rigenerato la nobiltà vostra in Gesù Cristo, per la salute dell’Italia, nostra patria comune, e per sostegno di tutti i nostri alleati. Costoro [i Francesi], che volevano invadere la Chiesa ed opprimere l’Italia, sono stati schiacciati dal valore incomparabile degli eserciti vostri, che hanno trionfato a costo del proprio sangue. La vostra flotta strappò la Puglia dalle mani dei nemici e siamo sicuri che i vostri guerrieri si faranno vieppiù sempre ogni giorno gloriosi con più segnalate imprese.
La Serenissima dovette attendere però ancora qualche mese per estendere i suoi possedimenti in Puglia. L’occasione si presentò quando Ferdinando II d’Aragona invocò l’aiuto militare e finanziario della Repubblica Veneta per liberare il suo regno dai francesi: Venezia gli prestò 200.000 ducati e gli mise a disposizione milizie terrestri e la flotta comandata da Antonio Grimani, chiedendo in cambio, oltre a Monopoli, Polignano e Mola, già facenti parte della Repubblica Veneta, anche Gallipoli, Otranto, Brindisi e Trani. I francesi furono spazzati via e le città pugliesi entrarono a far parte della Serenissima.
Monopoli, fortemente presidiata dai francesi, fu espugnata il 29 giugno 1495 dalla flotta del Grimani, che nominò governatore provvisorio Nicolò Corner, poi sostituito il 31 ottobre 1495 dal governatore effettivo della “terra di Monopoli”, ser Alvise Loredan, eletto dal Consiglio dei Pregadi.
Pochi mesi dopo, l’8 gennaio 1496, il doge Agostino Barbarigo spiegò al governatore Loredan come impostare la presenza della Serenissima a Monopoli: il governo doveva essere mite, clemente e tenersi in buone relazioni con le popolazioni confinanti; doveva interessarsi della costruzione di una cittadella e di un porto, spendendo nel caso fino a 1000 ducati; doveva continuare a concedere le esenzioni sulla tassa sul sale e altri balzelli promesse dal Grimani.
Inoltre doveva attendere con cura ai rifornimenti del salnitro, di cui c’era abbondanza in quella terra e del quale la Repubblica aveva bisogno per la confezione delle polveri piriche per usi militari. E soprattutto, doveva conservare e migliorare gli armenti dei cavalli di razza, e pertanto raccomandava d’ispezionare, provvedere e riferire con ogni diligenza.
Giuseppe Notarnicola sottolinea con particolare attenzione L’influsso di civiltà esercitato dai Veneziani in Puglia: ecco il capitolo.
Dalla Deliberazione del Consiglio Veneto del 20 dicembre 1505 apprendiamo che i 17 giorni della fiera in onore di San Marco, istituita dai Veneziani fin dal loro primo stabilirsi in Monopoli, venivano ripartiti in 8 giorni di fiera per la festa della Santissima Annunziata (25 marzo) e 9 per la fiera di San Marco (25 aprile).
Questo particolare ci rivela che l’influsso di civiltà esercitato dai Veneziani in Puglia fu molteplice; non si limitò alla vita politica e civile, bensì anche a quella religiosa, poiché introdusse il culto marciano che si diffuse nei centri abitati e nelle campagne, ove stabilmente rimase con effetti anche toponomastici: ricordiamo fra l’altro la frazione San Marco nell’agro di Locorotondo.
Insieme con il culto di diversi santi introdussero l’arte religiosa, dotando le chiese di capolavori pittorici e scultorei di artisti veneti. Inoltre la presenza dei Veneti, con loro propri usi e costumi, promosse l’importazione delle mille cose relative: quindi la venuta di mercanti, di merci, di artisti ed artieri veneziani nella Terra di Puglia trapiantandovi nuovi vocaboli e cognomi quali: Bernardi, De Marco, Leo, Leone, Morelli, Pasqualigo, Schiavone, Trevisani […]
È da supporre che le predette due fiere, tutt’oggi osservate, essendo di merci e bestiame, avevano lo scopo di esitare non solo merci e prodotti veneti, bensì anche di esibire i bei cavalli della razza.
In un altro passo, l’autore ricorda come il Maggior Consiglio imponesse al governatore della Cavallerizza “di non accettare cavalli, giumente o altri animali, che fossero mandate da Rettori, Ufficiali o chicchessia, ove non si trattasse dei soli animali mandati dalla Signoria, e portanti il marchio del Leone di San Marco”.
La presenza della Serenissima in Puglia fu però di breve durata: i suoi nemici, guidati da papa Giulio II, si coalizzarono nella Lega di Cambrai (10 dicembre 1508) e dopo qualche mese ci fu la terribile disfatta di Agnadello in seguito alla quale la Repubblica perse quasi tutti i propri territori, dalla Lombardia al Veneto alla Puglia, dove ritornarono a comandare gli spagnoli.
Il leone ruggisce ancora
Ma le vicende della Serenissima nella Puglia non si conclusero nel 1509. Il 17 maggio 1526 nacque a Cognac un’alleanza promossa dalla Francia e da papa Clemente VII, che coinvolse Milano, Genova, Firenze, Ferrara, Mantova e, appunto, la Serenissima con lo scopo di liberare dagli spagnoli il Ducato di Milano e il Regno di Napoli.
Con l’azione combinata di 16 galee comandate da Giovanni Moro e di 1000 cavalleggeri guidati da Andrea Ciurano, la Serenissima riconquistò non solo Trani, Mola, Polignano, Monopoli, Brindisi e Otranto, ma anche Ostuni, S. Pietro Vernotico, Lecce e altre terre pugliesi, che volontariamente le si offersero in sudditanza, preferendo il suo umano governo alla dura oppressione spagnola, per usare ancora una volta le parole del professor Notarnicola.
Nella primavera del 1528 il Leone di San Marco tornò a sventolare sulle città della Puglia per un periodo breve e turbatissimo: il flagello della peste colpì pesantemente queste terre e il con Congresso di Bologna del dicembre 1529 si ridisegnò nuovamente la carta politica della Puglia, ritornata sotto il tallone del re di Spagna, Carlo V. Le parole di Girolamo Contarini, provveditore dell’Armata Veneta, esprimono tutto il dolore e la rabbia dei veneti: “Noi esponiamo la vita nostra a tanti pericoli per acquistare Stati alla Signoria e non per restituir quello che guadagniamo colla punta della spada e che compriamo col sangue proprio e colla vita”.
Il 21 febbraio 1530 il gonfalone del Leone di San Marco discese mestamente dalle torri di Monopoli e il provveditore veneto Andrea Gritti consegnò la città al governatore spagnolo Francesco de’ Pedrosa.
E qui la storia sembra finita; ma iterum rudit leo, il leone ruggisce ancora, e dopo oltre quattro secoli, nel 1946, il simbolo di San Marco fu murato sulla Cavallerizza: scolpito da Cosmo Giannini su indicazione del professor Giuseppe Notarnicola e per volere del munifico Salvatore Rotolo, come sta scritto sulla lapide che – con un po’ di fortuna e dopo averlo cercata lungamente – ho potuto ammirare in una calda giornata del giugno 2022.