Dove inizia e dove finisce l’Europa? E poi, esiste un “popolo europeo”? Chiunque si accosti alla storia europea, a partire dall’antichità greco-romana, avrà chiara la consapevolezza del mosaico di popoli e di etnie che hanno abitato e abitano tuttora il continente, la cui estensione rimane anch’essa un problema politico e non solo geografico; e avrà altrettanto chiara la pluralità delle lingue, delle religioni e delle culture (in senso lato) che hanno contrassegnato le vicende del continente europeo e che oggi continuano a determinare la non sempre chiara suddivisione territoriale, sociale, politica ed economica di quello spazio comune che comunque chiamiamo Europa; un’Europa, intesa come continente, a cui si sovrappone (o si contrappone), senza peraltro alcuna esatta corrispondenza, quell’Unione Europea che non è mai diventata una comunità sovranazionale di Stati come i suoi padri (Schuman, Spinelli, Adenauer, eccetera) probabilmente avevano in mente; e che appare addirittura incapace oggi di sviluppare un legame solidale tra i suoi popoli al di là delle unioni economiche e commerciali, come le recenti vicende collegate alla Brexit e alla gestione spesso isterica e scoordinata della pandemia da coronavirus hanno ulteriormente dimostrato.
D’altronde, anche nel Rapporto 1992 della stessa Commissione Europea fu scritto, nero su bianco, che

il termine “Europa” non è ufficialmente definito. Esso combina elementi geografici, storici e culturali che tutti insieme hanno contribuito all’identità europea. L’esperienza condivisa della prossimità, idee, valori e interazione storica, non può essere condensata in una semplice formula, ed è soggetta a revisione da parte di ogni generazione che segue. La Commissione crede che non sia possibile, né sia opportuno stabilire le nuove frontiere dell’Unione Europea, i cui contorni saranno disegnati lungo gli anni a venire.

E allora, che dire? Come definire questa apparente incolmabile incongruenza?
Proviamo a fare un salto indietro nel tempo. La cultura greca, con la sua saggezza filosofica e la concezione della cittadinanza democratica, ha rappresentato certamente uno dei fondamentali tasselli dell’identità europea; e molte volte di questo passato e di questa cultura comune è stato fatto tesoro, talora idealizzandolo, come accadde nell’umanesimo o nel periodo neoclassico di fine ‘700, che impose l’antichità come canone estetico di riferimento. Anche la civiltà romana, in grado di creare un impero ancor più vasto di quello di Alessandro, che dal vallo di Adriano si estendeva fino al Reno e al Danubio comprendendo tutti i territori che a sud si affacciavano sul Mediterraneo, ha esercitato una enorme influenza sulla storia europea per molteplici fattori, tra i quali risalta il diritto romano, che sarebbe divenuto, a partire dal medioevo, la struttura giuridica di riferimento in tutto l’occidente.
Tuttavia, nonostante il potente influsso culturale esercitato sulla futura storia del continente, va notato come l’età antica non abbia in realtà mai conosciuto davvero il concetto di “Europa”; mentre centrale, in essa, appaia il Mediterraneo che, lungi dal separare le varie sponde del bacino marino, funse da trafficata via di comunicazione per traffici e scambi.
È con il medioevo, èra in cui la terraferma sottrasse la centralità al mare, e soprattutto al principio dell’età moderna che prese progressivamente forma l’idea di Europa, connotata peraltro in senso culturale e non politico. Carlo Magno, artefice di un nuovo impero in grado di conquistare buona parte dei territori del continente nel segno della cristianità, fu significativamente chiamato dai contemporanei “pater Europae”.
Tuttavia, secondo la maggior parte degli studiosi, è solo con l’età moderna e con la costruzione della comunità internazionale degli studiosi (chierici o umanisti) che si cominciò a definire una società e una regione “europee”, come sottolineato anche da P. Rossi. 1)
Poi le guerre combattute nel corso degli ultimi secoli tra i vari Stati fino alle devastazioni delle due guerre mondiali nel corso della prima metà del ‘900 per finire alle guerre balcaniche di fine ‘900 e all’attuale conflitto russo-ucraino, hanno imposto una visione diversa del “vecchio continente”, cioè di quella parte del mondo da dove in ogni caso è emersa quella che oggi si chiama “civiltà occidentale”; e per questo similitudini, uguaglianze e diversità hanno reso possibile parlare di una complessa varietà delle “radici” dell’Europa, che possono essere peraltro oggetto di distinzioni e analisi variegate a cura degli studiosi di diversa estrazione, anche se nella realtà per noi è inconcepibile separarle l’una dall’altra nel tentativo di costruire un’identità europea tutt’al più contraffatta e storicamente insensata.
Forse è proprio la varietà delle tante Europe che si trovano all’interno di questo continente, ognuna con le sue peculiarità e ognuna con le potenzialità di ricchezza che è in grado di offrire a tutte le altre, che andrebbe attentamente studiata e conosciuta la nostra grande casa comune, senza atteggiamenti nazionalistici e aprioristici che ne potrebbero falsare la comprensione, soprattutto adesso che sono cadute le cortine di ferro del passato e che quindi è possibile entrare davvero in contatto con la gente che abita nei vari Stati senza quei filtri o quelle paure che un tempo impedivano a tanti di farlo, temendo il contatto con gli stranieri. Sperando che l’attuale conflitto in Ucraina, spegnendosi al più presto come accaduto anche nel recente passato per i conflitti nei Balcani, possa essere dimenticato catalogandosi come un “incidente di percorso della storia”…

Origini ed evoluzione di un continente

All’incirca quarantamila anni fa, quando l’ultima era glaciale era al culmine, ai confini sudorientali dell’Europa iniziarono a giungere i primi rappresentanti di homo sapiens (dal quale tutti noi discendiamo), che nel giro di qualche millennio sarebbero diventati i signori incontrastati del nostro continente, portando all’estinzione, secondo processi non ancora del tutto chiari, gli uomini di neanderthal che da almeno trecentomila anni avevano popolato fino a quel momento incontrastati l’intero territorio europeo.
Si trattava di tribù nomadi, costrette dall’avanzata dei ghiacciai a spostarsi dove il clima permetteva insediamenti più sicuri. Non sappiamo quanto inizialmente all’interno di quelle tribù fosse ricompreso un concetto di “famiglia”: i pochi dati su cui gli storici dell’antichità sono concordi sono quelli relativi alle attività di quegli individui, dediti alla caccia e alla raccolta di piante e frutti della terra. Ma fu proprio la loro capacità di adattamento alle condizioni estreme di quella glaciazione a consentire ai sapiens di sopravvivere, evolvendosi nel tempo; mentre si ritiene che, al contrario, furono i caratteri genomici dei neanderthaliani a rivelarsi svantaggiosi per la loro sopravvivenza e quindi a causare di fatto la loro lenta ma graduale estinzione.

Una recente ricerca pubblicata su “Nature” ha confrontato i dati ricavati dal genoma dei resti di una cinquantina di persone vissute in questo periodo, cioè tra i quarantamila e i settemila anni fa, fornendo per la prima volta un’analisi dettagliata della storia genetica delle popolazioni presenti in Europa prima della rivoluzione causata dall’introduzione dell’agricoltura; i dati rivelano la scomparsa e la successiva ricomparsa di un gruppo che costituisce parte dell’eredità genetica degli europei di oggi, e descrive quando e come questi antichi europei acquisirono caratteri genetici da popolazioni provenienti dall’oriente.
Inoltre, i risultati dello studio mostrano come l’ammontare di dna ereditato dagli uomini di neanderthal, ancora presente nei moderni genomi, si sia ridotto nel corso dei millenni fino all’attuale 2% presente negli uomini del terzo millennio dell’èra cristiana (non tutti sanno che un po’ tutte le popolazioni europee attuali hanno ancora tracce, nel loro dna, del legame con i vecchi antenati neanderthaliani).
L’introduzione dell’agricoltura in Europa risale probabilmente a circa ottomila-novemila anni prima di Cristo, e con ogni probabilità i primi agricoltori giunsero dal vicino oriente accoppiandosi o rimpiazzando i precedenti “europei” che erano solo dei cacciatori o dei raccoglitori. L’incontro di queste due popolazioni sarebbe avvenuto in concomitanza con una fase di grande disgelo che causò il ritiro dei ghiacciai che ricoprivano buona parte del nostro continente: il clima più caldo potrebbe aver dunque favorito l’ingresso di popolazioni del vicino oriente in Europa (probabilmente attraverso la Turchia e la regione caucasica). Queste tribù di agricoltori avrebbero quindi continuato a espandersi verso nord e verso ovest dilagando poi pian piano su tutto il continente a mano a mano che i ghiacciai si andavano ritirando.
Dall’Asia minore all’inizio del III millennio a.C. si ebbero i primi insediamenti di popolazioni indoeuropee in Grecia e poi nei Balcani, mentre popolazioni celtiche si andavano stanziando nell’area centro-settentrionale del continente spingendosi fino al nord della penisola iberica e alle isole britanniche.

Ma la prima civiltà europea di cui si conservino documenti scritti è da ricondursi sicuramente alla Grecia antica, la cui civiltà ebbe il suo culmine nei secoli V e IV a.C. Proprio qui, in Grecia, si consolidò la coscienza di una realtà di popoli legati da cultura, costumi e istituzioni che si contrapponevano a quelle dei “barbari” del vicino oriente, di cui furono testimonianza, per esempio, le guerre combattute contro i persiani o, ancor prima, quella mitica combattuta contro Troia, che recenti studi hanno identificato come una guerra combattuta contro una coalizione di popoli anatolici (lici, lidi, cari, lelegi, eccetera).
Questa contrapposizione tra popolazioni europee e popolazioni del vicino oriente venne fortemente attenuata alla fine del IV secolo dalle conquiste di Alessandro Magno, che mirò a un incontro e all’amalgama delle due parti. Il disegno di Alessandro, morto giovanissimo, trovò però la sua compiuta realizzazione solo per opera dei romani i quali, a partire dal II secolo a.C., iniziarono un’espansione territoriale che li avrebbe portato sotto gli imperatori Traiano e Adriano, nei primi decenni del II secolo d.C., alla massima espansione del loro grande impero anche oltre il continente europeo, fino alle coste dell’Africa mediterranea e in Asia.

L’opera di universalizzazione delle istituzioni perpetrata dai romani ebbe come nuclei consapevoli della loro originalità e superiorità l’Italia peninsulare e il bacino culturale greco-latino, di fronte ai quali i popoli diversi (ed estranei) restavano comunque “barbari” (letteralmente barbaro significa balbuziente, in quanto persona che non sa parlare bene la lingua).
Una prima modifica di questo impianto politico e culturale ebbe luogo a partire dal III secolo, con il baricentro dell’impero diviso in due metà, la prima a Roma e la seconda a Costantinopoli, e soprattutto nei due secoli successivi in seguito alla diffusione del cristianesimo e alla sua erezione a religione ufficiale dei romani al posto di quella pagana, dopo i lunghi anni delle persecuzioni dei primi cristiani.
Ma proprio in quegli anni avveniva sempre più marcatamente la migrazione all’interno dei confini romani dei popoli “barbarici” da nord e da est; per parecchi decenni ciò avvenne in modo pacifico con l’obiettivo da parte dei nuovi popoli di conquistare prima o poi lo status di “civis romanus”. 2) Questo avvenne con l’editto emanato dall’imperatore Caracalla nel 212, che concedeva la cittadinanza a tutte le popolazioni abitanti entro i confini dell’Impero. L’editto fu un provvedimento di grande importanza atto a eliminare ogni differenza di status tra vincitori e vinti, tra conquistatori e conquistati, tra cittadini e provinciali; e se Roma e l’Italia perdevano i loro privilegi, in compenso tutto il territorio imperiale era conquistato per sempre alla civiltà di Roma. In questo modo tutti coloro i quali avevano diritti politici potevano aspirare a far parte della classe dirigente imperiale (funzionari, senatori, consoli, ma anche imperatori). Infine, concedendo la cittadinanza, Roma legava a sé le popolazioni sottomesse e soprattutto le loro classi dirigenti, e questo fu uno dei motivi dell’assenza (o quasi) di rivolte periferiche nel periodo imperiale, a differenza di quanto invece era avvenuto in età repubblicana.
Ciò nonostante, la pressione ai confini dell’impero di popolazioni sempre più numerose e meno disposte all’integrazione portò a nuove ondate (e meno pacifiche) di migrazioni a partire dal V secolo, allorquando dette migrazioni si trasformarono in vere e proprie invasioni dei territori imperiali. Furono proprio queste invasioni, operate da vari popoli che riuscirono a dilagare finanche nella penisola, a determinare nel 476 la caduta della capitale imperiale d’Occidente, Roma, e a portare quindi al crollo finale dell’impero come istituzione geo-politica, con la formazione dei cosiddetti regni romano-barbarici. Questi diedero volto alla nuova Europa sulla base dell’incontro tra eredità culturale romana, primato politico-militare dell’elemento barbarico (germanico e slavo) e ruolo spirituale e civile dominante della Chiesa romana, che nel frattempo si era data un assetto gerarchico e istituzionale, mentre in Oriente l’Impero sopravviveva con la seconda capitale, Costantinopoli (che verrà poi chiamata Bisanzio), ma in un regime sempre più chiuso al mondo esterno: le due civiltà, quella romana e quella bizantina, sarebbero state così destinate a non incontrarsi più.

Probabilmente la disgregazione dell’Europa negli Stati formatisi dopo la caduta di Roma sarebbe stata irreversibile se, a partire dall’VIII secolo, non ci si fosse messa di mezzo la dirompente espansione araba che, partendo dal sud del Mediterraneo, penetrò profondamente in Spagna e in Sicilia: fu proprio la lotta contro il nemico islamico a rafforzare tra il IX e il XII secolo l’identità europea intorno all’idea di un continente che voleva riaffermare la sua storia come culla della cristianità e insieme come erede della civiltà romana; e fu proprio questa nascente identità europea a generare una nuova concezione sovranazionale con la rinascita del concetto di “Impero Romano”, una sorta di agglomerato di territori dell’Europa centrale e occidentale concretizzatasi dapprima con l’incoronazione nell’anno 800 di Carlo Magno, quindi con la nascita dell’Impero Germanico sotto Ottone I, anche se il primo a ufficializzare il termine “sacro” alla denominazione di Impero Romano fu nel 1157 Federico Barbarossa.
In tal modo si intese sottolineare che la rinascita del potere imperiale doveva considerarsi voluta da Dio e per tale motivo il potere di incoronare l’imperatore era attribuito al papa.
Nel contempo l’avanzata dell’Impero Ottomano a oriente, culminata nel 1453 nella conquista di Costantinopoli, vide l’Europa nel periodo medievale sempre più impegnata da un lato nella conversione al cristianesimo delle popolazioni slave orientali e dall’altro nelle guerre contro i musulmani, che ebbero i momenti più significativi nelle crociate per liberare la Terra Santa nei secoli dall’XI al XIII e nella riconquista della Spagna conclusa con la caduta dell’ultimo lembo arabo nella penisola iberica nel 1492.
I secoli successivi furono quelli della definitiva affermazione della centralità dell’Europa rispetto al resto del mondo, grazie anche alla superiorità scientifica, tecnologica e militare evidenziatasi nei vari Stati europei, in particolare in Spagna, in Francia e in Inghilterra, dove si andarono affermando i primi grandi Stati nazionali legati alla formula dell’assolutismo monarchico.
Con il rinascimento si ebbe una straordinaria fioritura culturale soprattutto in Italia e nelle Fiandre. Il ‘500 fu anche il secolo delle grandi scoperte geografiche che portarono alla costituzione di immensi imperi coloniali, legati in particolare alle corone di Spagna e Portogallo, i due Stati che per la loro dislocazione geografica erano anche i più esposti verso l’Atlantico; ma fu anche il secolo della grande crisi religiosa che sconvolse il continente europeo con la rottura nel 1517 dell’unità cristiana e la divisione di un’Europa protestante a nord e di un’Europa cattolica a sud, tra loro contrapposte anche sul piano militare; mentre nell’Europa dell’est, la dottrina greco-bizantina si espandeva tra le popolazioni slave determinando nel contempo l’europeizzazione della grande Russia.

Le guerre religiose tra cattolici e protestanti sconvolsero di fatto tutta l’Europa per oltre un secolo, devastando Germania, Francia, Paesi Bassi e gran parte dell’Europa nord-orientale. Anche se il conflitto più duraturo fu la guerra dei trent’anni, svoltasi tra il 1618 e il 1648, la situazione era precipitata già all’indomani del passaggio alla Riforma dei primi principati tedeschi. Proprio in Germania, l’imperatore Carlo V decise di contrastare il passo al luteranesimo trionfante ordinando ai principi e alle città passate alla nuova religione la restituzione delle terre strappate alla Chiesa. I principi protestanti si unirono invece nel 1530 nella Lega di Smalcalda e andarono allo scontro con Carlo V raggiungendo alla fine nel 1555 la pace di Augusta, con la quale l’imperatore fu costretto a riconoscere ai vari principi la libertà di adottare o la confessione cattolica o quella luterana, mentre per i sudditi era valido il principio del “cuius regio eius religio” (cioè erano obbligati a seguire la confessione del loro principe, qualunque essa fosse).
Anche la Francia fu lacerata per anni da lotte religiose: l’episodio più clamoroso fu il massacro della notte di San Bartolomeo, tra il 23 e il 24 agosto del 1572, di tremila ugonotti (i calvinisti francesi), che erano giunti a Parigi in occasione delle nozze di Enrico di Borbone con Margherita di Valois, sorella del Re Carlo IX. Il conflitto che ne seguì, appoggiato dalle potenze straniere cattoliche e protestanti, procedette a fasi alterne fino a quando nel 1588 venne ucciso Enrico di Guisa su ordine del nuovo re di Francia Enrico III, il quale nel 1589 rimase a sua volta vittima di un fanatico cattolico. Egli però aveva designato come erede legittimo al trono Enrico di Borbone, a condizione che si convertisse al cattolicesimo.
Nel 1594, dopo essersi convertito, Enrico IV veniva accolto trionfalmente a Parigi dai suoi sudditi (e in tale occasione avrebbe pronunciato la celebre frase “Parigi val bene una messa”). Nel 1598 con l’Editto di Nantes, Enrico IV accordò ai calvinisti, suoi ex correligionari, libertà di culto e parità di diritti civili con tutti gli altri francesi.
La guerra tra cattolici e protestanti interessò anche i Paesi Bassi, che rientravano nei domini di Filippo II, che li aveva ereditati dal padre Carlo V. Essi erano divisi per lingua e religione: le regioni settentrionali, le Fiandre corrispondenti all’attuale Olanda, con popolazione di stirpe fiamminga e di religione calvinista; quelle meridionali, corrispondenti all’attuale Belgio, con popolazioni valloni e di fede cattolica.
Mentre Carlo V aveva rispettato le autonomie di queste regioni, Filippo II decise di limitare i privilegi locali, e ciò fece divampare la rivolta antispagnola nelle province calviniste del nord che si estese ben presto però anche al sud cattolico: si costituì così nel 1576 l’Unione di Gand, mentre le province meridionali cattoliche tre anni dopo costituirono l’Unione di Arras giurando la loro sottomissione al re di Spagna. Alla fine la pace fu raggiunta solo nel 1648 con l’assegnazione alla Spagna delle sole province meridionali e l’autonomia delle Fiandre, cioè delle province settentrionali.
Ma, come dicevamo, il maggiore conflitto europeo della storia moderna fu la guerra dei trent’anni, una sanguinosa guerra che per tre decenni dalla Germania si spostò fino a coinvolgere tutta l’Europa. La guerra vera e propria prese avvio con la ribellione dei boemi (calvinisti) e la “defenestrazione” da parte dei praghesi nel maggio del 1618 dei luogotenenti imperiali, gettati giù dalla torre cittadina; a quel punto scoppiò la rivolta in tutto il Paese, una rivolta trasformatasi in guerra aperta internazionale, coinvolgendo anche danesi, svedesi e francesi che scesero in campo contro gli Asburgo e la Spagna, alfieri del fronte cattolico.
Dopo un trentennio di devastazioni operate anche da eserciti mercenari al soldo dell’una o dell’altra parte, fu infine sottoscritta da tutti gli attori del conflitto nel 1648 la Pace di Westfalia, con la quale veniva riconosciuta all’interno dell’impero l’esistenza di tre confessioni religiose – cattolica, luterana e calvinista – e il diritto dei sudditi di professare liberamente una delle tre anche se in contrasto con quella dei loro principi.

Con l’illuminismo, propagatosi dall’Europa verso tutto l’occidente, anche nelle nuove colonie d’oltre Atlantico, la cultura europea trovò la sua ultima grandiosa affermazione portando con sé un movimento di riforma teso a rinnovare le istituzioni e a laicizzare la politica e la cultura, promuovendo ulteriormente la tolleranza religiosa e affidando alla scienza il primato che per secoli era stato della teologia.
Nella seconda metà del secolo si affermò quindi tra le grandi potenze la nuova Inghilterra che fu capofila della rivoluzione industriale e della grande modernizzazione economica guidata dalla sempre più forte borghesia. Logica conclusione del secolo dei lumi fu, quindi, la rivoluzione francese iniziata nel 1789, che portò alla distruzione degli antichi regimi, retti da monarchie assolute e fondati sui privilegi della nobiltà, e all’ascesa definitiva della borghesia anche come classe politica, aprendo un periodo di scontro epocale tra la Francia, dapprima rivoluzionaria e poi napoleonica da una parte, e l’Inghilterra e le potenze controrivoluzionarie continentali dall’altra, conclusosi nel 1815 con il crollo dell’Impero Napoleonico e dell’ideale stesso di “impero” transnazionale.
L’importanza dell’Europa come continente egemone in tutto il mondo durò comunque ancora per tutto l’800: la Gran Bretagna, la Francia, la Russia e, a partire dal 1870, anche la Germania furono le potenze che dominarono di fatto gran parte del mondo creando i rispettivi imperi coloniali; unica eccezione furono gli Stati Uniti d’America, che riuscirono ad affrancarsi con la guerra di liberazione dal potere coloniale inglese inserendosi ben presto con il ruolo di comprimari nella lotta per le supremazia tra le principali potenze economiche mondiali. Ma l’Europa rimase comunque al centro del processo di modernizzazione del mondo, seppur dilaniata da aspri conflitti politici e sociali tra le classi e dalle grandi rivalità tra le sue maggiori potenze, che esplosero infine nel 1914 con la prima guerra mondiale, che i nostri nonni chiamavano “guerra europea” perché, anche se vi parteciparono altri Stati, in definitiva si svolse tutta o quasi sui campi di battaglia europei.
Un po’ tutta l’Europa si trovò quindi al centro delle due devastanti guerre mondiali andando incontro per tutta la prima metà del ‘900 a una crisi via via sempre più profonda; gli Stati europei si dimostrarono incapaci di preservare l’ordine internazionale, e le nascenti dittature (il comunismo russo, il fascismo italiano, il nazismo tedesco) gettarono il continente in una guerra civile senza precedenti che si risolse dopo infiniti orrori nel 1945 con la sconfitta delle potenze totalitarie fasciste, il ridimensionamento della Gran Bretagna e della Francia come potenze mondiali e l’emergere definitivo di due nuove superpotenze, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, le quali si divisero l’Europa in due aree di influenza: quella occidentale, sottoposta all’egemonia americana, e quella orientale, soggetta al dominio comunista, nel quadro di una nuova guerra ideologica, non combattuta più sui campi di battaglia ma sui freddi tavoli delle cancellerie e dietro le cortine di ferro.
Questa divisione durò fino alla caduta del suo emblema, il muro di Berlino, e al crollo uno dopo l’altro dei regimi comunisti dell’Europa dell’est, avvenuto nel 1989, che portarono anche alla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 e all’allargamento verso est dell’Unione Europea.
Subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale, tra gli Stati dell’Europa occidentale era infatti nata la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, prima istituzione sovranazionale tesa a unire i Paesi europei sul piano almeno economico al fine di garantire una pace duratura sul continente. I sei membri fondatori di questa Comunità erano stati, sotto l’egida americana, il Belgio, la Francia, la Germania, l’Italia, il Lussemburgo e i Paesi Bassi.
Nel 1957 col trattato di Roma quella prima comunità si trasformava nella Comunità Economica Europea (cee), per garantire le prime forme di libero mercato all’interno dei Paesi interessati, senza più l’applicazione di dazi doganali negli scambi reciproci. Altro campo primario di applicazione delle nuove regole comunitarie furono il mercato agricolo e la produzione alimentare, con l’obiettivo di garantire il sufficiente approvvigionamento di tutte le popolazioni interessate.
Con l’adesione della Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito il 1° gennaio 1973, il numero degli Stati membri dell’Unione Europea saliva a nove; la politica regionale comunitaria cominciava a destinare da questo momento ingenti somme di denaro alla creazione di nuovi posti di lavoro e di infrastrutture nelle aree più povere. Il Parlamento Europeo accresceva nel contempo la propria influenza nelle attività dell’Unione, e nel 1979 veniva eletto per la prima volta a suffragio universale. Nel 1981 la Grecia diventava il decimo Stato membro, e il Portogallo e la Spagna vi aderirono cinque anni dopo. Nel 1986 veniva firmato l’Atto Unico Europeo, che poneva le basi per il cosiddetto “mercato unico”.

Alla fine del 1989 veniva abbattuto, come già accennato, il muro di Berlino e questo avvenimento l’anno successivo porterà alla riunificazione delle due Germanie. Da quel momento la rinata capitale della Germania unificata è diventata di fatto la vera capitale della nuova Europa, all’interno della quale nel 1993 viene completato il mercato unico in virtù delle quattro libertà di circolazione (di beni, servizi, persone e capitali). Gli anni Novanta sono poi il decennio di due importanti trattati: il trattato di Maastricht sull’Unione Europea (1993) e il trattato di Amsterdam (1999). Una piccola località del Lussemburgo dà quindi il nome agli accordi di Schengen che, gradualmente, consentono ai cittadini di viaggiare liberamente senza controllo dei passaporti alle frontiere; inoltre milioni di giovani iniziano a studiare anche all’estero col sostegno finanziario della ue grazie al progetto Erasmus.
Di lì a poco viene varato l’euro come nuova moneta per molti europei. Viene quindi istituita l’Unione Bancaria, allo scopo di rendere il settore bancario più sicuro e affidabile, e nel 2012 l’Unione Europea riceve il premio Nobel per la pace. Nel 2007 anche gli Stati che avevano fatto parte del blocco dell’ex Europa comunista dell’est entrano a far parte dell’Unione, ma ben presto gli attriti tra gli Stati vecchi e nuovi oltre che la dilaniante crisi economica del 2008 portano anche l’Europa politica a perdere consensi tra i cittadini dei vari Paesi, fino alla situazione attuale e all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione.

Multiculturalità europea, fenomeno tutto da studiare

Se abbiamo dedicato questo spazio a ricostruire, seppur in estrema sintesi, una storia dell’Europa, è perché appare necessario che i percorsi operativi dell’antropologo e quelli dello storico trovino comunque una sintesi a fronte della quale diviene poi molto più facile identificare le ragioni della “multiculturalità” tipica del nostro continente. Un fenomeno riconducibile prima di tutto a due grandi fattori storici: le diverse professioni religiose, che hanno marcato in profondità il carattere culturale e sociale delle popolazioni; e i grandi processi migratori che hanno interessato in passato (e che continuano a interessare anche oggi) i vari Stati e che si manifestano con caratteri differenti rispetto a quelli evidenziabili in altre realtà geografiche (come il nord America), seppur con una certa disomogeneità legata anche all’afflusso in alcuni Stati di popolazioni provenienti dai relativi ex possedimenti coloniali, anche se questo da solo non ne ha necessariamente favorito l’integrazione.

Donna frisona.

Per altro, nel parlare di nuove tendenze migratorie, non vogliamo fare riferimento necessariamente a quelle che hanno caratterizzato negli ultimi anni il vecchio continente con i flussi provenienti dal nord Africa attraverso i barconi dei migranti del Sahel attraverso il Mediterraneo o a quelli che sono giunti in Europa attraverso la rotta balcanica dal vicino oriente dilaniato da guerre e terrorismo. Ci riferiamo piuttosto ai movimenti avvenuti all’interno dello stesso continente europeo e all’interno della stessa ue tra Paesi occidentali, divenuti meta di immigrati economici, e Paesi orientali, caratterizzati da un continuo esodo di popolazione in cerca di lavoro soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino.

Donna sami.

Pertanto, a fronte di un continente geografico (di cui, comunque, sono assai labili i confini orientali) e di un’Unione Europea fin troppo poco coesa in questi ultimi tempi, che però tende a mostrarsi come sovrapponibile all’Europa geografica, dobbiamo tenere conto da un punto di vista etnografico di un più vasto panorama culturale europeo all’interno del quale possono individuarsi almeno tre, se non quattro, macro-aree.
La prima, partendo da sud, è quella che si identifica con l’Europa mediterranea e comprende pertanto i popoli della penisola iberica (tranne alcuni gruppi etnici che vivono lungo le coste settentrionali della Spagna), della Francia centro-meridionale, di parte dell’Italia, delle isole e delle coste greche, a larga maggioranza di religione cattolica, tranne in Grecia dove è presente il culto greco-ortodosso.
La seconda è quella dell’Europa slava, con i vari Stati dell’Europa orientale e della penisola balcanica, per la stragrande maggioranza di culto ortodosso, con l’eccezione dei polacchi e della maggioranza di ungheresi, cechi, slovacchi e lituani di fede cattolica, e alcune minoranze luterane.
La terza è quella germanica dell’Europa centro-settentrionale, che si estende a nord delle Alpi e fino al Baltico e al Mare del Nord, a maggioranza luterana o calvinista, con oasi e minoranze cattoliche soprattutto a sud.
La quarta è quella dell’Europa celtica, presente nelle isole britanniche, tra Scozia, Galles orientale e Irlanda, ma anche nella Galizia spagnola e in Bretagna, a maggioranza cattolica.

Uomo bosniaco.

Accanto a queste macro-aree – denotate da un’ampia corrispondenza, proprio per sedimentazioni storiche, tra territorio geografico, nazionalità e culto religioso – si evidenziano delle “isole” etnico-culturali di minore ampiezza, all’interno di territori circoscritti, legate a insediamenti di popolazioni immigrate nel passato e legate a una sorta di isolamento sociale, linguistico e culturale che ha tenuto vive le rispettive tradizioni senza che queste andassero perdute amalgamandosi con quelle delle popolazioni confinanti: parliamo prima di tutto della grande “isola albanese” nel cuore dei Balcani, tra Albania, Macedonia e Kosovo, in maggioranza di religione musulmana, legata alla dominazione ottomana di quest’area fino all’inizio del ‘900, ma anche delle micro-isole albanesi tra Sicilia e Calabria settentrionale, con una popolazione in queste ultime però di religione cattolica, anche se di rito bizantino e non romano; parliamo della “isola basca” nell’area dei Pirenei tra la Spagna e la Francia; parliamo della vasta area del grande nord scandinavo tra Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia popolata dai sami, popolazione un tempo nomade proveniente dalle steppe mongole e ancora oggi legata spesso al revival degli antichi culti sciamanici; parliamo degli insediamenti walser al confine alpino tra Val d’Aosta, Val d’Ossola e Vallese elvetico, con l’antica parlata protogermanica rimasta pressoché intatta fino ai giorni nostri; parliamo della “isola rom” sparsa in parte della Romania (da dove ha preso il nome), Ungheria, Slovacchia e Ucraina, ma diffusa attraverso comunità nomadi in piccole celle sparse in tutta Europa, legata in gran parte al culto cristiano cattolico o ortodosso, seppur con alcune “variazioni” all’interno di specifici gruppi (famiglie); parliamo infine delle comunità turche o maghrebine di più recente immigrazione, divenute sempre più consistenti soprattutto in Francia, Belgio, Germania e Svezia, poco inclini all’integrazione e per questo rimaste ancorate alle proprie tradizioni e a tutte le norme sociali delle leggi coraniche.
Volendo altresì introdurre una breve parentesi di antropologia fisica, non si può fare a meno di evidenziare alcune differenze nelle caratteristiche somatiche delle popolazioni europee, con le genti dell’Europa meridionale (Italia del Sud, Grecia, Albania, Malta, Spagna, Portogallo) che, grazie anche alla loro maggiore vicinanza e mescolanza storica con quelle del Maghreb, appaiono identificabili dal colore un po’ scuro della pelle, dai capelli lisci o ondulati generalmente scuri o neri, dagli occhi prevalentemente scuri, dal viso stretto e allungato e dalla statura generalmente medio-bassa; con i popoli dell’area germanica e nordica, in particolare quelli che vivono nella penisola scandinava, caratterizzati da una statura più alta e robusta, dalla pigmentazione chiara della pelle e dal colore chiaro anche degli occhi e dei capelli, spesso biondi e di norma solamente lisci; e con i popoli dell’area slava caratterizzati da un viso normalmente più tondo, statura media o medio-alta (soprattutto gli slavi del nord come i russi), capelli e occhi scuri; e con altre micro-aree, come quella fiamminga, dove è più alta la percentuale di persone dalla pelle molto chiara e dalla pigmentazione rossastra dei capelli (non a caso il termine fiammingo deriva dal latino flamma, fiamma); quella sami, nella regione lappone situata nel nord di Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia, dove vive una popolazione con caratteristiche leggermente mongolidi, con occhi a mandorla e visi molto allungati; o come quella romena e slovacca dei Carpazi orientali dove maggiori sono gli insediamenti di popolazione rom, con il colore olivastro della pelle e con occhi e capelli scuri (che assai spesso le giovani donne tingono di un colore biondo del tutto innaturale).
Per tutte queste ragioni un po’ tutto il continente europeo può fornire un incomparabile terreno d’analisi, di studio comparativo e di interesse per un insieme di culture che, lungi dall’essere travolte e cancellate dalle forti spinte omologanti della moderna globalizzazione socio-economica, rappresentano ancora un ampio ventaglio culturale tutto da scoprire e da studiare. Si tratta di un’Europa dalle mille sfaccettature, eterogenea e spesso contraddittoria, nella quale, come ben sappiamo noi italiani – esempi macroscopici di uno Stato con fortissimi caratteri etno-regionali – convivono tradizioni e “civiltà” completamente diverse l’una dall’altra anche all’interno degli stessi confini statali.

Ragazza slava.

Se dunque il politologo francese Raymond Aron negli anni ’70 del secolo scorso sosteneva che non esistono animali della specie “cittadini europei”, ma solamente cittadini francesi, tedeschi, italiani, eccetera, noi riteniamo sicuramente più corretto affermare che l’Europa è un contenitore di Stati (alcuni dei quali aggregatisi in una comunità sovranazionale dal forte impatto economico ma dallo scarso valore politico), non tutti però coincidenti con le relative “nazionalità”; inoltre alcuni di questi Stati presentano internamente caratteristiche e connotati di forte regionalismo dove l’integrazione non è riuscita a sopprimere differenze culturali e storie particolari, e dove infatti non sempre coincidono memorie e significati condivisi, simboli e miti, o persino lingue e tradizioni.
Forse proprio in questa concreta parcellizzazione delle culture sta la grandezza dell’Europa e delle sue popolazioni, restie a un’integrazione politica che finirebbe – per come è stata progettata – con lo sciogliere nell’acido, nel giro di poche generazioni, tutte quelle diversità che costituiscono la sua ricchezza e la sua immensa capacità di essere ancora grande e importante per tutto il resto dell’umanità. Se non economicamente (partita definitivamente già persa rispetto agli Stati Uniti e alla Cina), almeno culturalmente.
Purtroppo non è questa l’Europa che un americano, un cinese o un giapponese di media alfabetizzazione può provare a conoscere nel breve volgere di un classico viaggio che tocca nel giro di pochi giorni il famoso Big Ben di Bruxelles, la torre pendente di Parigi, il Canal Grande di Amsterdam e il Louvre di Firenze… Ma è un’Europa a disposizione di qualunque europeo, residente a nord o a sud, a est o a ovest, che sia disponibile a studiarla da vicino per saperne riconoscere le enormi differenze e le infinite potenzialità, senza fermarsi alle apparenze o peggio ai pregiudizi, immergendosi in uno studio sul campo, quanto meno similmente a come fa l’antropologo grazie alla consapevolezza della sua scienza, al suo relativismo culturale e alla sua insanabile voglia di conoscenza anche di tratti apparentemente minori e marginali della cultura degli altri.

N O T E

1) L’identità dell’Europa, Bologna 2007.
2) Civis Romanus sum (sono cittadino romano) è una famosa locuzione latina adoperata anche da Cicerone che indicava lo status di cittadino e quindi l’appartenenza della persona all’Impero Romano, sottintendendo tutti i diritti e i doveri connessi a tale stato.