Come è noto, vista la necessità del presidente Pedro Sánchez di ottenere i voti dal partito di Puigdemont, Junts, l’11 giugno scorso è stata approvata una legge di amnistia che avrebbe posto fine alla repressione, anche nei confronti dello stesso Puigdemont. Per questo motivo, in concomitanza con le elezioni catalane del 12 maggio, il leader indipendentista ha dichiarato che sarebbe tornato in Catalogna per partecipare all’investitura del futuro presidente del governo regionale.
La campagna repressiva di Madrid ha fatto sì che l’altro grande partito indipendentista, erc, abbandonasse lo scontro e cercasse di pacificare il Paese, ma la scelta gli ha fatto perdere molti voti dai sostenitori più attivi ed esigenti. Anche un altro partito catalanista, la cup, disorientato in questo scenario, ha perso parecchi voti. Nelle ultime elezioni per il governo catalano, la repressione ha reso ancora una volta impossibile al candidato Puigdemont fare campagna elettorale in Catalogna, costringendolo a operare a distanza via internet senza poter nemmeno partecipare ai dibattiti televisivi.
Alla fine, questo contesto anomalo è riuscito a privare il movimento pro indipendenza della maggioranza assoluta che deteneva da dodici anni. Il psc, partito centralista dello stesso presidente Sánchez, è arrivato primo, ma aveva bisogno dei voti di erc per raggiungere la maggioranza assoluta. E erc, per evitare nuove elezioni – in cui avrebbe perso ulteriormente – ha concesso i suoi voti affinché il psc possa governare una sorta di “colonia pacificata”, in cambio di un’ipotetica sovranità fiscale per la Catalogna (promessa che sappiamo tutti non sarà mantenuta, poiché andrebbe contro il saccheggio fiscale che sta alla base del rapporto Spagna-Catalogna).
E tuttavia i giudici spagnoli, in continuità con il lawfare con cui hanno perseguitato i sostenitori dell’autodeterminazione, si rifiutano di applicare la legge sull’amnistia approvata dal congresso spagnolo, dimostrando impunemente l’uso improprio della giustizia per fini politici.
Malgrado ciò, dopo essere stato eletto deputato del secondo partito più votato nel parlamento catalano, Puigdemont ha annunciato che, come promesso, sarebbe tornato a Barcellona il giorno dell’investitura, l’8 agosto. I giudici hanno dato istruzioni alla polizia catalana che, comandata da erc e obbligata per legge a rispettarle, ha messo in atto un’imponente operazione per impedirgli di entrare in Parlamento.

Lo smacco

Di fronte alla folla accorsa a salutarlo davanti al parco del parlamento, il presidente Puigdemont ha tenuto un discorso affermando chiaramente che i giudici stanno violando la legge, che il conflitto tra Catalogna e Spagna non è terminato e che i catalani continuano a chiedere l’indipendenza della Catalogna. Finito il discorso, si è fatto largo tra la folla ed è fuggito senza essere arrestato. La polizia, minacciata dai giudici, ha attivato l’Operazione Gabbia, chiudendo il traffico su tutte le strade della Catalogna con una vera e propria caccia all’uomo. Un’operazione analoga era stata utilizzata solo contro i terroristi islamici che avevano attaccato a Barcellona il 17 agosto 2017. Ora è stata messa in atto per cercare di arrestare un deputato, eletto da 700.000 catalani, accusato di malversazione; in modo fraudolento, per di più, da quegli stessi giudici che ora si rifiutano applicare una legge di amnistia approvata dal congresso spagnolo… Qualcosa di inspiegabile in una democrazia, se non fosse che Puigdemont e i sostenitori dell’indipendenza catalana sono i nemici numero uno della Spagna.

Il discorso dell’8 agosto a Barcellona. Le foto dell’articolo sono di “Consell de la República”, @ConsellRep

Il presidente Puigdemont ha beffato le forze dell’ordine ed è tornato in esilio in Belgio, dopo aver denunciato l’inaccettabile abuso che i giudici stanno commettendo: un’insubordinazione e una interferenza nella politica da parte della magistratura. Ma in Spagna nessuno li critica e nessuno intende fare qualcosa.
Resta da vedere se Junts ritirerà il sostegno al governo spagnolo. Per il momento, la clamorosa sfida di Puigdemont a Barcellona è servita a riportare il problema catalano sulle prime pagine della stampa mondiale, chiarendo che il conflitto continua e che non ci sarà soluzione politica finché la posizione internazionale della Catalogna non sarà decisa dai catalani stessi.