Risale ormai a 50 anni fa l’incontro con Lumignano. Con i suoi covoli, pareti, grotte… e con l’Eremo di San Cassiano.
E almeno a 20 i primi – purtroppo preveggenti – allarmi di pericolo. Nascevano dal giustificato timore per l’avviata trasformazione di un ambiente naturale raro e prezioso in sfogatoio consumista per figli – legittimi o meno – della società della merce e dello spettacolo. Purtroppo da allora la situazione è andata soltanto peggiorando.
Così come è avvenuto per San Donato, la Rupe di Barbarano, la zona dei covoli sopra Nanto…
Un degrado, temo, ormai irreversibile.
Sorgono addirittura associazioni autoreferenziali che, nel rivendicare i diritti (presunti) degli arrampicatori, pretendono di richiamarsi a un malinteso senso di “libertà”. A mio avviso non sono altro che pura espressione di mentalità consumista (azzardo: neo-liberista?).
Un Paese (ma anche un “paese”) civile e rispettoso delle proprie radici avrebbe tutelato in modo molto attento questo patrimonio naturale: le particolari formazioni rocciose fra Costozza e Villaga. Unico anche per le varietà endemiche di flora (la Saxifraga berica) e di fauna (il Niphargus costozzae). Da molti anni invece questi luoghi sono diventati una sorta di parco giochi per giovani edonisti che hanno colonizzato con chiodi a pressione e ferraglia tutte le pareti della zona, in nome dell’arrampicata “libera” (eufemismo per dire “datemi un trapano e vado dove mi pare”). Sulle conseguenze negative per l’ecosistema – pareti, covoli e ambiente circostante – provocate da questa attività eravamo spesso intervenuti come associazione ecologista UNA (Uomo-Natura-Animali). Denunciando in particolare il caso limite del Broion, con alcune stalattiti di circa due metri abbattute per far posto a nuove vie di arrampicata (pubblicizzate con risalto sulle riviste locali di alpinismo). Nel giro dei free climbers (da qui in poi FC) si sosteneva sfacciatamente che le stalattiti sarebbero “cadute da sole”. Ma guarda la coincidenza! Rimangono al loro posto per centinaia e centinaia di anni e poi tutte nello stesso periodo (in due fasi, documentate fotograficamente) “cadono” proprio quando le pareti del Broion vengono invase da questi soidisant alpinisti e “amanti della natura”. In realtà il taglio è perfetto: dove prima c’erano le stalattiti adesso passano alcune cosiddette “vie”.
Contemporaneamente si registravano altri danni ambientali: scomparsa di alcune specie di uccelli rapaci qui nidificanti (in particolare il falco pellegrino), rarefazione della caratteristica flora dei covoli, altre concrezioni parietali deturpate o divelte, eccetera.
Dopo aver invaso tutte le pareti attorno a Lumignano (ormai infestate da spit come cadaveri dai vermi), si sperava che fosse finita, anche perché la stessa sorte era già toccata alla “Rupe” sopra Barbarano e a S. Donato. Invece perfino le piccole scogliere dei Covoli di Castegnero vennero gradualmente ricoperte di chiodi a pressione, placche metalliche, catene per sicura.
“Palestra”? Pare un cantiere edile.
Va ricordato che in questa zona, oltre a rapaci notturni – allocco e barbagianni – e diurni, al corvo imperiale, al passero solitario e al picchio muraiolo (nel periodo invernale) in passato nidificavano alcuni esemplari di rondine rossiccia (Hirundo daurica). Presente in Grecia e nella Penisola Iberica è rara, quasi inesistente in Italia. Da quando era iniziata la colonizzazione dei Covoli di Castegnero sembrava essere scomparsa. Come già avvenuto a Lumignano, la vegetazione in prossimità e sulle pareti viene periodicamente estirpata eliminando (in nome della “pulizia delle pareti”) svariati esemplari di Saxifraga Berica, Campanula carnica, Lythrum hyssopifolia, Gnaphalium luteo-album, Adiantum capillus-veneris, Athamanta turbis…
Va poi stigmatizzato il fatto che le pareti beriche rimangono frequentatissime da FC anche nei periodi di nidificazione, quando l’arrampicata viene giustamente limitata a Rocca Pendice (Parco Regionale dei Colli Euganei).
Effetto collaterale: un aumento esponenziale di quelli che si riversano a Lumignano dove sotto copertura della sbandierata “autodisciplina” ognuno fa quel che gli pare. Una conferma del facilmente prevedibile fallimento dei protocolli di autoregolamentazione (si può chiedere ai banditi di controllare gli assalti alla diligenza o ai conciari di Arzignano di tenere pulite le acque?).
Sembra proprio che Lumignano e dintorni siano destinati a diventare una “discarica esistenziale” per gente in cerca di compensazioni. Vanno a sfogarsi “in mezzo alla natura” portandosi appresso tutta l’immondizia, anche simbolica, quotidianamente ingerita e metabolizzata.
Potenza della società dello Spettacolo e della Merce che riesce a spremere profitto anche dal tempo cosiddetto libero.
Sempre valida la solita raccomandazione: “Ma perché non andate ad arrampicarvi sui piloni dell’autostrada?”.
Fra varie amenità pubblicate in passato, brillava un comunicato in cui si leggeva:
La Sezione CAI di Vicenza ha rilevato che i dati emersi dagli studi degli specialisti incaricati dalla Provincia (punto 2.6 habitat 8210 del documento Relazione di studio su vegetazione e fauna), indicano che le formazioni erboree stanno bene; in particolare la specie endemica rara Saxifraga berica “appare in buono stato di salute”. Questo indica che la convivenza con le attività di arrampicata non è andato a detrimento di queste specie e che pertanto la frequentazione delle aree da parte degli arrampicatori non ha alterato quei terreni che risultano essere il naturale habitat delle specie in oggetto. Inoltre, nel documento della Provincia si precisa che la Saxifraga berica cresce in anfratti umidi e posti prevalentemente in ombra. Si tratta di zone che nei Berici non risultano interessate da qualsivoglia attività di arrampicata, che in genere si svolge su versanti soleggiati e non su anfratti.
Su questo punto avrei qualche perplessità e obiezione.
Intanto sulla Provincia di Vicenza . Non mi risulta abbia mai brillato per sensibilità ambientale. A titolo di esempio, vedi quanto era capitato al Lago di Fimon. Per “valorizzarlo” venne letteralmente spostato il canneto (dal lato di Lapio verso quello di Pianezze-Villabalzana) rischiando di farlo sparire (insieme al tarabusino e ad altri volatili qui nidificanti). Non solo. Poco opportunamente nell’antico specchio lacustre venne consentita e favorita (con una serie di “postazioni”) l’attività dei pescatori.
Tornando alla Saxifraga berica, esiste una documentazione fotografica da cui si ricava come fosse presente anche sulle pareti e nei covoli ora invasi da orde di FC. Vive di luce indiretta (all’ombra d’estate grazie al fogliame, non in ombra perenne). Ma da quando sono stati tagliati quasi tutti gli alberi e arbusti sotto e lungo le pareti (trasformandone la base in soleggiata area balneare; si portano su anche le poltrone di plastica per riposare) l’ombra è quasi sparita e la saxifraga o si secca e muore oppure sopravvive a stento.
Ovviamente il paesaggio e l’ambiente si possono devastare in tanti modi. Con opere come la A31 o l’ennesima base militare statunitense (Dal Molin). Ma anche con un costante, capillare, sistematico attacco agli ecosistemi. Più son circoscritti, più sono fragili. Emblematico il caso delle grotte: per far sparire una specie talvolta è sufficiente inquinare una sola cavità! Da questo punto di vista l’analogia con la zona di Lumignano è evidente. Alcune specie vegetali o animali che ancora sopravvivono in zona sono spesso esclusive (come Saxifraga berica o, in grotta, Niphargus costozzae). Oppure erano molto rare come la rondine rossiccia. Ormai definitivamente “andata”, non solo dai Covoli di Castegnero. L’ultima, solitaria, coppia aveva nidificato sopra Nanto nel 2010 e 2011, ma in seguito qualche irresponsabile è arrivato a chiodare anche lì…
E poi, nel 2017, è toccato al corvo imperiale…
“Ultimo viene il corvo”
Il titolo del racconto scritto da Italo Calvino, pubblicato nel 1949, torna fatalmente alla mente. Ma cosa c’entra con Lumignano?
Dopo quelli già citati (falco pellegrino, rondine rossiccia, passero solitario, cui temo si dovrà presto aggiungere il barbagianni), due anni fa veniva il turno del corvo imperiale (Corvus corax) di sloggiare dalle maestose pareti. Un habitat i cui abitanti originari hanno dovuto pian piano, uno a uno, far fagotto per trasformarsi in “profughi ambientali”.
Nel febbraio 2017, a seguito di osservazioni quasi quotidiane, ho potuto assistere ai tentativi, non dico disperati ma sicuramente sempre più frenetici, di una coppia di corvi imperiali (una delle circa 3 mila presenti in Italia) in evidente stato di agitazione. Per ragioni forse legate a fattori climatici o alle rumorose opere di disboscamento, non sembravano più intenzionati a nidificare nella zona sopra l’Eremo. Più volte li ho visti volteggiare e posarsi sul Broion, in particolare in una nicchia dove forse avevano già allestito il nido. Peccato si trovasse su una delle pareti dove, non si sa in base a quali parametri, è consentito arrampicare in ogni periodo dell’anno. Inutile segnalarlo. Se ne fregano, rivendicando uno “spirito libertario” qui del tutto fuori luogo.
La parete del Broion, gradualmente colonizzata dai FC negli ultimi 20 anni, è probabilmente quella che ha subìto maggiori devastazioni. Tralasciando il brutale allontanamento del falco pellegrino (c’è chi ha assistito alla realizzazione di una via a colpi di trapano, con calata dall’alto, in primavera mentre un falco nidificante lanciava inutilmente grida disperate), bisogna ricordare quella dozzina di stalattiti di notevoli dimensioni (da un metro a quasi due) che ornavano la volta di alcuni covoli. Stalattiti abbattute in due fasi successivi (fine anni novanta e inizio del millennio) per poter realizzare le “vie” che ora passano tra i moncherini delle concrezioni.
Quanto ai due corvi, chissà se la coppia è poi riuscita a trovare un’alternativa per nidificare e riprodursi? Anche un successivo – timido – tentativo sopra Villaga (nel 2019) era rimasto appunto solamente un tentativo. Anche qui imperversano i FC fai da te.
Pensare di fermare per qualche mese l’arrampicata sul Broion, mi dicono, è alquanto improbabile. Troppi interessi e troppo potente la corporazione, coccolata da amministrazioni scarsamente interessate alle questioni ambientali. Per non parlare delle associazioni di categoria che da questa attività ricavano lustro e forse anche altro. Arrivando al punto di organizzare vere e proprie gare – in coppia – sulle pareti!
Quindi? Ultimo viene il corvo, si diceva… speriamo non sia l’ultimo corvo che viene.
2018: una piccola strage annunciata
Concludo con quella che possiamo definire una vera “strage degli innocenti” riprendendo quanto era stato denunciato nel marzo 2018 da alcuni ricercatori del CERC (Centro Educazione e Ricerca Chirotteri):
Scempio alla Grotta della Guerra a Lumignano, questi sono i risultati del free climbing, pareti deturpate tagliando e sradicando la vegetazione (ad esempio la bella Saxifraga berica) di fianco all’apertura di una delle più importanti colonie di riproduzione di pipistrelli del Veneto e zona rossa cioè interdetta all’arrampicata. Sembra che alcuni arrampicatori non sappiano né leggere né analizzare le mappe. Sarebbe meglio rendere obbligatori dei corsi per insegnare gli elementi fondamentali dell’arrampicata in sintonia con la natura e del buon vivere. Altrimenti ci sono le palestre artificiali dove potete fare quello che volete.
Questo l’indignato j’accuse, scritto a marzo – sicuramente d’impeto – dopo la scoperta dell’opera vandalica. A diffonderlo sono stati appunto alcuni giovani studiosi, profondi conoscitori del mondo dei chirotteri (oltre che esperti speleologi) del CERC.
E dato che non c’è limite al peggio, dopo qualche giorno è arrivato un aggiornamento che suonava come ulteriore allarme:
Dopo un accurato sopralluogo (02.04.2018) con alcuni componenti della Commissione Scientifica FSV [Federazione Speleologica Veneta], abbiamo scoperto che non sono stati ripuliti [qui mi inserisco per suggerire l’uso di qualche termine più appropriato: deturpati, devastati, vandalizzati, violentati, saccheggiati… il termine “pulizia” quando viene estirpata la vegetazione – rupicola e non – ne evoca fatalmente un’altra: quella etnica di chiara marca franchista, la limpieza, NdA] solamente 40 metri lineari di parete per altrettanti e più in altezza, ma il lavoro è proseguito per alcune centinaia di metri [in totale circa 200, NdA] oltre la Grotta della Mura tagliando alla base piante anche di una certa dimensione per favorire il disseccamento. Risultato: la falesia non tornerà più al suo stato naturale poiché la mancanza di vegetazione arborea favorirà il dilavamento delle pareti e quindi il non attecchimento della vegetazione erbacea. Complimenti a quella fetta di arrampicatori che vedono la parete rocciosa e l’arrampicata non come un confronto rispettoso con la natura e se stessi ma solo come una esternazione del proprio ego superiore chissà a cosa, in maniera irrispettosa sia dell’ambiente circostante sia degli altri frequentatori, umani e non umani (non escludendo che anche altri “frequentatori umani” producano danni, ma questo è un capitolo a parte). Comunque si ipotizza, e quasi si conferma, irrimediabile il danno fatto a tutta la falesia della parete nord del Monte Castellaro. Il vecchio motto “vado in montagna/grotta/arrampico e lascio l’ambiente come l’ho trovato” … non vale più?
Da segnalare poi la protervia con cui si era voluto stroncare sistematicamente, oltre agli alberi, tutte le grandi edere (alcune pluridecennali, forse secolari, rifugio e luogo di nidificazione per varie specie di volatili, merli sengiari in particolare) che rivestivano le pareti.
È lo stesso metodo (una coincidenza?) già sperimentato da un paio di sciagurati sulle minuscole paretine sovrastanti il sentiero che dalla stradina proveniente dalla Fontana di Trene risale verso la vecchia casa dello studioso Leonardi: fino a quattro-cinque anni fa, probabilmente l’ultimo sito di nidificazione della rondine rossiccia, in precedenza già scacciata dai covoli sopra Castegnero. Entrambe le località ormai sono divenute un altro parco-giochi per adulti regrediti (“mini-palestra”…ma si può?).
Un già visto, una ripetizione di quanto era avvenuto negli ultimi 15-20 anni, e su larga scala, lungo tutte le pareti della zona, dalle Priare al Broion. In passato (esiste documentazione fotografica) la vegetazione sulle “rupi beriche soleggiate” (quelle dove imperversano gli adrenalici FC, non negli “anfratti umidi”) era costituita da rigogliosi cespugli, arbusti, alberi: siliquastro, fico, orniello, bagolaro (ve li ricordate i nobili bagolari abbattuti, sradicati in prossimità della “Scacciapuffi” – o della “Danieli” per i più anziani – qualche anno fa ?) e da una grande varietà di elementi floristici, alcuni da “lista rossa”.
Citando da S. Tasinazzo: Adiantum capillus-veneris, Amelanchier ovalis, Allium sphaerocephalon, Athamanta turbith, Bromus condensatus, Blackstonia perfoliata, Campanula carnica, Eucladium verticillatum, Pistacia terebinthus, Galium lucidum, Gnaphalium luteo-album, Lythrum hyssopifolia, Parietaria diffusa, Polypogon monspeliensis, Saxifraga berica…
Ricoprivano il margine inferiore, così come i solchi e le fessure, delle pareti e in parte l’interno dei covoli. Si abbarbicavano alla roccia rendendo quanto mai vario e variegato un ambiente naturale complesso e diversificato, ricco di biodiversità. Ridurlo a nuda e sterile parete, ricoperta di ferraglia oltretutto – rendendo alquanto incerta anche la sopravvivenza dell’endemismo Saxifraga berica (vive di luce indiretta, quindi in periodo estivo gradisce l’ombra del fogliame) – costituisce un’opera vandalica e colonizzatrice.
Quasi ogni anno, in genere ai primi tepori primaverili, i fanatici del decespugliatore intervengono anche intorno ai Covoli di Castegnero e Nanto per sradicare ogni cespuglio e alberello miracolosamente scampato (o tenacemente rispuntato) alle precedenti campagne di deforestazione. Invece un paio di anni fa, sul percorso che sale alla Croce di Lumignano, qualcuno aveva esageratamente allargato il sentiero, già ben percorribile, eliminando – già che c’era – anche una ventina di roverelle di trenta-quaranta centimetri. Ritenendole presumibilmente anonimi e insignificanti arbusti o “erbacce” e ignorando che le querce sono di crescita piuttosto lenta per cui solo per raggiungere quella modesta altezza di neanche mezzo metro potevano averci impiegato tre o quattro anni.
Per la cronaca: erano i giorni immediatamente precedenti una competizione di arrampicata a coppie, quella denominata marathon climbing (in inglese, forse per coinvolgere gli statunitensi di Pluto, Ederle e Dal Molin?) con cui si andava innescando la definitiva trasformazione di Lumignano in divertimentificio. Vista la coincidenza, mi chiedevo se l’indecorosa devastazione non servisse ad accelerare la discesa dei concorrenti tra una risalita e l’altra (vinceva, credo, chi accumulava il maggior numero di vie). O era forse per incrementare la partecipazione, contemplativa, di un maggior numero di spettatori?
Altrimenti che “spettacolo” sarebbe?
Almeno nel 2018 alla grotta della Guerra, grazie alla pronta reazione del CERC la notizia dell’ennesimo ecocidio è trapelata. Costringendo, visto che da soli non ci sarebbero mai arrivati (anche se in teoria si erano assunti il compito di “vigilare”, autogovernarsi), perfino alcuni esponenti dell’alpinismo istituzionalizzato a prendere posizione.
Dopo aver inchiodato, crocifisso per anni ogni angolo possibile di parete, forse temendo le giuste sanzioni (ossia l’auspicabile interdizione per l’arrampicata “sportiva” su tutte le cosiddette falesie dei Colli Berici), hanno preso le distanze da questi loro emuli, seguaci o epigoni. Un po’ come i cacciatori quando viene colto sul fatto un bracconiere (che però, guarda te, ha quasi sempre in tasca la tessera di qualche associazione venatoria).
Ovviamente tergiversando e minimizzando con commenti del tipo “saranno stati dei ragazzotti del paese”. In realtà la professionalità (vedi la chiodatura da manuale) dello scempio operato sulle pareti in questione rende legittimo dedurre che si tratti di FC esperti. E presumibilmente noti, così come sono convinto fossero noti (ma coperti dall’omertà di gruppo) i responsabili dell’abbattimento delle grandi stalattiti del Broion (vedi foto).
Paradossale il modo in cui il CAI si è appropriato della denuncia (“segnalazione di danni ambientali a Lumignano in area SIC zona rossa”) anche con un tardivo convegno, pannicello caldo che lascerà il tempo che trova. Osservo solo che la discutibile classificazione delle pareti era stata inventata di sana pianta. Più che altro funzionale alle esigenze dei FC e senza alcuna valenza di protezione ambientale, tantomeno una seria valutazione di impatto sull’habitat. Esemplare la bufala della Saxifraga berica che crescerebbe, secondo qualche presunto “addetto ai lavori”, solo negli evocativi “anfratti umidi” (e magari anche “muscosi” come gli atrii dell’Adelchi).
Quanto alle zone dove l’arrampicata sarebbe consentita a partire da luglio (arancione?), basta controllare sulla destra del Broion dove gli scanzonati edonisti arrampicano anche in gennaio. In realtà, se nella “zona rossa” non si arrampica (o almeno non si arrampicava) era più che altro per ragioni climatiche o per il divieto dei proprietari (vedi Eremo san Cassiano). Non certo per il (carente) senso civico dei FC e delle associazioni ispirate dai medesimi. Associazioni che magari inalberano la pretesa di voler “valorizzare in modo sostenibile il territorio”. Tranquilli, si valorizza da solo purché la finiate di usarlo e sfruttarlo in vario modo.
E poi tocca ai pipistrelli
Ma, dato che al peggio non c’è mai limite, di seguito arrivava un’altra brutta, bruttissima notizia.
Per farla breve, almeno due dozzine di chirotteri (Miniopterus schreibersii) sono stati ritrovati cadaveri nell’antro iniziale (Sala della Colonna): in prossimità delle pareti ricoperte di spit (“sputi” appunto) o di fittoni inox resinati (non me ne intendo molto, comunque uno schifo). Una moria del tutto anomala e imprevista, in sospetta sincronicità con l’allestimento di due-tre “vie” (chiamano così la riduzione a cantiere edile delle pareti) realizzate a colpi di trapano o chiodatrice che dir si voglia.
L’ipotesi? È probabile che siano stati proprio il fracasso prodotto dai “boscaioli” dilettanti, e soprattutto le vibrazioni e il rimbombo provocati dal trapano nella roccia esterna della cavità a causare un prematuro risveglio (pericoloso per i chirotteri) dal letargo invernale. Con il conseguente decesso.
I ricercatori avevano verificato la presenza dei pipistrelli (in vita) ai primi di febbraio, quando le pareti esterne erano ancora integre. A marzo, contemporaneamente all’amara scoperta delle pareti “diserbate” e chiodate, rinvenivano anche i cadaveri (ancora ben conservati, morti di recente e in maniera presumibilmente repentina). Evento documentato anche da esponenti della Commissione Scientifica della Federazione Speleologica Veneta.
Come spiegavano nella loro relazione Andrea Pereswiet-Soltan e Sofia Rizzi, “i pipistrelli si trovavano posizionati sulla parete interna della sala che dà verso l’esterno e in asse con la corrispondente porzione di roccia interessata dai lavori di chiodatura”. E spiegavano che “la chiodatura consiste nella realizzazioni di fori nella roccia – con uso di trapano – per posizionare i bulloni su cui vengono fissate le placchette di assicurazione”. Un buon lavoro di carpenteria, aggiungo io. Ma forse più congeniale ai piloni dell’autostrada (o al pretenzioso ponte sul Bacchiglione della A31) che alle antiche pareti calcaree.
Sempre dalla relazione citata: “Il periodo invernale rappresenta una fase estremamente delicata per la vita dei pipistrelli, in quanto questi quando sono in fase di ibernazione utilizzano le riserve di grasso accumulate durante l’estate. Se vengono disturbati escono momentaneamente dall’ibernazione consumando energie in modo anomalo e andando quindi incontro alla morte non potendo reintegrarle (durante l’inverno non sono presenti le prede naturali di questa specie)”.
Concludendo. Non saprei dire se – almeno per una parte dei FC – valga ancora la massima evangelica: “perdona loro, non sanno quello che fanno”. Dovrei considerarli vittime, per quanto consenzienti, del sistema merce-spettacolo-merce? Criceti inconsapevoli per quanto nocivi, prigionieri dentro alla loro ruota?
Vai a sapere…
Ma comunque qualche conseguenza bisognerà pur trarla dalle incresciose vicende riportate. Perlomeno sulla inadeguatezza delle varie associazioni nel gestire la sbandierata “autoregolamentazione” .
Cosa altro deve accadere per riconoscere l’assoluta incompatibilità tra la pratica dell’arrampicata “sportiva” e la conservazione della biodiversità in un’area fragile e circoscritta come quella di Lumignano e dintorni (covoli di Castegnero, covoli di Nanto, Rupe di Barbarano, San Donato)?
Non mancano a livello europeo norme legislative in grado di proteggere un habitat così particolare; esiste anche una normativa che tutela le aree carsiche. E i Colli Berici (Lumignano in particolare) con centinaia di covoli, doline, voragini e grotte vi potrebbero rientrare sicuramente.